Nord e Sud - anno V - n. 47 - ottobre 1958

liarità di tale cultura, le sue te11denze proprie, il positivo contributo e insieme le molteplici ragioni del suo esaurimento, che mostrasse infine che ci si trova innanzi ad un fenomeno naturale, alla crisi di una scienza già depauperata per un processo autonomo di ossificazione, una crisi che è agevolata ed accelerata dà.I sorgere di una cultura più viva e vigorosamente innovatrice, una cultura che preferiva esprimersi non tanto in cosmogonie, quanto in opere di concreta ricerca storica. Fu appunto questo duplice e complice processo di disseccamento interno e di incapacità a reggere, per così dire, alla concorrenza di altre correnti culturali, che rende ragione del declino della sociologia in Italia alla vigilia del primo conflitto mondiale. Pure ciò non è sufficiente ancora a rendere ragione del perchè la nuova sociologia, quella che come si accennava ha avuto il suo massimo sviluppo negli· Stati Uniti, non sia affatto penetrata in Italia alla vigilia della seconda guerra mondiale e incontri ancora oggi molte difficoltà. E a questo punto giova ricordare che fu il fascismo a provocare un grave rallentamento dello sviluppo delle scienze della società nel nostro paese. Culturalmente rozzo, ad onta degli abbracci attualistici, il fascismo non favorì, non agevolò insomma nessun clima cultu!ale che fosse particolarmente sfavorevole a questa o quella disciplina sociale, ma ne bloccò semplicemente lo sviluppo: appunto perchè esso pretendeva di essere la soluzione politico-sociale valida per sempre, il fascismo impedì sostanzialmente che si studiasse la società italiana così com'era. La società italiana doveva essere studiata per come il nuovo regime l'aveva trasformata, cioè come una società perfetta o in via di divenire tale: s'intende facilmente perchè una disciplina come la nuova sociologia, che si voleva fondata sull'analisi obiettiva e che ad onta di ogni pretesa di distacco e di impassibilità, era percorsa da una segreta inquietudine riformatrice, non poteva attecchire nell'Italia di quegli anni. Non era soltanto questione di resistenza nazionalistica ad una suggestione culturale che veniva dall'esterno, era piuttosto questione di un'incompatibilità fondamentale. D'altro canto il fascismo se non agevolò nessun clima culturale, agevolò l'opposto: favorì cioè l'incultura travestita di cultura, e cioè la filosofia facile ed orecchiabile, buona per il salotto come pel circolo di provincia, la pseudo preparazione storica intessuta di ricordi della romanità e di testimonianze del genio della stirpe, la scienza politica a vuoto, non fondata su nulla se non sulla retorica del millennio fascista ... E si potrebbe continuare per un pezzo. Tale era la cultura dei ceti medi italiani negli anni '40: una cultura cioè che doveva restare ostinatamente sorda, nella normalità dei casi, a discipline che si volevano rigorose ed antiretoriche. È da vedere qui una delle ragioni per cui ancora all'indomani del 1945 il clima culturale italiano è stato, a differenza di quello francese, chiuso ai nuovi sviluppi delle scienze sociali. E se l'alta cultura, anche quella di formazione storicistica, fu in- . [58] Biblioteca Gino Bianco

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