cordo fra le due parti, nella convinzione che << quando la violenza risponde alla violenza in un delirio che si esaspera e rende impossibil~ il semplice linguaggio della ragione, il ruolo degli intellettuali può essere ~oltanto quello di lavorare nel senso di un accordo, affinchè la ragione recuperi tutte le sue possibilità» (v. pagina 18). Alieno da ogni astratto moralismo e da ogni compiacenza predicatoria (il nome di Gandhi ricorre nel libro una sola volta) Camus non ha cessato un solo istante di lavorare a comporre questa tran1a impossibile: dall'inchiesta in Cabilia del 1939 alla crisi del 1945, dall'articolo su Ferhart Abbas (il capo del << partito del manifesto», poi passato nél FLN), alla lettera ad Aziz Kessous (deciso come lui a tentare la via del dialogo fra governo e ribelli), dalla conferenza svolta in Algeri nel 1956 all'appello per la scarcerazione di Jean de Maisonseul - reo di aver aderito alla proposta di tregua civile e imprigionato dal governo di Parigi nel '57 - la ferma e intransigente posizione di Camus non muta. Convinto della grandezza della missione civilizzatrice della Francia e dell'Europa nei secoli scorsi e ·della necessità della presenza occidentale in Africa come negli altri Paesi sottosviluppati (ma quanti intellettuali sarebbero oggi disposti a sottoscrivere dichiarazioni del genere?), Camus precisa con molta chiarezza le profonde differenze fra la civilizzazione ancora necessaria e il colonialismo in via di liquidazione. E pur senza nulla concedere al mito della grandeur della Francia, Camus fa la sua dichiarazione di fede nel suo Paese,· in quelle forze della libertà di cui anche lui ha intravisto, se non la crisi definitiva, l' eclisse pericolosa e carica di incognite paurose. I fatti del 13 maggio, la sedizione militare, l' avvento al potere di De Gaulle hanno confermato la sua previsione che la chiave del destino della Francia era - come è stata sempre - in Algeria. Nella polemica ormai annosa fra intellettuali che si _sono schierati dalla parte dei contendenti, chi per l'abbandono del1' Algeria, chi per la repressione violenta (polemica che la Question di Alleg ha reso incandescente pochi n1esi fa) Camus si è in un certo senso tenuto in disparte, non nell'olimpo della saggezza verbale, ma nella ricerca concreta di una soluzione pratica, di uno strumento politico efficace, di un'azione capace di tradursi nei fatti. Lui stesso riassume alla fine del volume il suo pensiero in merito alla situazione algerina: << Che cosa c'è di legittimo nella rivoluzione araba? Questa ha ragione - ed ogni francese lo sa - di rifiutare e di denunciare il colonialismo e i suoi abusi, che sono istituzionali; la menzogna ripetuta dell'assimilazione, sem- . pre promessa e mai attuata, menzogna che ha compromessa tutta l'evoluzione fin dall'inizio; le elezioni truccate del 1948 che in particolare hanno scoraggiato definitivamente il popolo arabo (fino a quel1' epoca gli arabi volevano essere francesi, a partire da quella data essi non hanno più voluto esserlo), l'ingiustizia evidente della ripartizione agraria e della distribuzione del reddito, irrimidiabilmente aggravate dall'incremento demografico galoppante, la sofferenza psicologica, gli atteggiamenti spesso sprezzanti e disinvolti di molti francesi che hanno creato negli arabi (con una serie di stupide misure) [124] Biblioteca Gino Bianco
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