Nord e Sud - anno V - n. 47 - ottobre 1958

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna .. ANNO V * NUMERO 47 * OTTOBRE 1958 I · ib ioteèa ino Bianco

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. ., Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Michele Tito L'avvento di De Gaulle [6] Fabio Fabbri Politica agraria del Partito Socialista [21] N.d.R. Antonio Nitto Aldo Durante Alberto Prozzillo Vittorio De Caprariis GIORNALEA PIÙ VOCI Equivoci mediorientali [34] Il Minùtero dell'Igiene [ 43] La cooperazione agricola e gli Enti di Riforma [ 47] I «ciceroni» e la Costituzione [53] Vecchia e nuova sociologia z·n Italia [56] DOCUMENTIE INCHIESTE Marcello Fabbri La città in campagna [ 6~] Antonio Ghirelli Foot-ball 1958: gli elementi della crisi [73] Giorgio Tu tino Quartieri di Napoli ar/leurne [ 87] RASSEGNE Atanasio Mozzillo Comunità e centri sociali [ 101] Bruno Isabella Luigi Amirante Alberto Sensini Ennio Ceccarini Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti i Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versameoti enl C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibliotecaginobianco RECENSIONI L'economia dell'industria atomica [ 115] Costituzionalismo antz"coe moderno [121] Actuelles III. Cronique algérienne [ 123] L'Italia dei poveri [ 126] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 - Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

Editoriale Dopo la penosa esperienza del governo Zoli noi· abbiamo accolto questo governo esprimendo sentimenti di" benevola attesa e propositi" di appoggio vigilante. E oggi, dopo tre mes·i, non si può non ri'conoscere all'on. Ferrar,,' Aggradi' i'l merùo di' aver finalmente ridotto il prezzo del grano e allo stesso on. Fanfani· ii merùo di' aver annunzi'ato un pi"ano edili'zi·o e un p·Z:anoper la scuola. Nello stesso tempo, però, non si· possono non regùtrare le preoccupazi'om· meri'di'onalùti'che ed europeùti'che che derivano da un certo attivismo demomusulmano in polùica estera, le cui ampli'ficazi'oni retori.che, nel dùcorso inaugurale del Presidente del Consigli'o e nei· commenti di taluni· g1.'ornali',hanno accompagnato, ammorbandone l'atmosfera, anche una mamfestazi"one del più quali'ficato meridi'o11alùmo come la Fiera del Levante. Comunque, di' queste preoccupazi"om·, denunàate con molta i'rri'tazi'onema non confutate con altrettanta persuasione dalla ri'vista ufficiosa del Mi'nùtero degli' Esteri, parli"amo di'ffusamente nella nota della redazione che si· legge pi'ù avanti i'n questo numero di· Nord e Sud. Qui·, pi'uttosto, ci preme mettere i'n ri'salto un parti'colare aspetto della sùuazione meri'di'onale che ri'chi'ederebbe ormai' decùi'om: polùiche non più procrastz'nabi'li'e tali da condi'zionare perfino la sta~·i"lùàe 1:z consoù'damento dell'attuale maggioranza parlamentare, le benevole attese e quelle diffi'denti·, gli appoggi· e le opposizi'om· vigi'lanti". Opportunamente e tempesti'vamente è stato ri'levato dalla Voce Repubblicana che « a Roma, come del resto oggi· in Siàli'a, funziona i'n pieno ttn' alleanza fra la D.C. e il MSI che contraddi'ce gravemente all'·i"ndi·ri·zzo tolùi'co del partùo di maggioranza, che contrasta con i proposùi espressi· da esso stesso e dal governo, che è gravemente lesi·va degli' i'nteressi· della c1ttadi'nanza >> e, aggiungi.amo noi·, dell' esi'genza di promuovere nel Mez- [3] Bibliotecaginobianco

zogi,orno un più coerente i'mpegno di' pt'ù efft'denti' classi' di'ri'genti' non solo ai fini dell'industr1:alz'zzaz,ione 1ma anche ai· fini della moralizzaz-1:one della vi.ta pubblt'ca. La deplorazi'one per quanto è avvenuto a Venezi'a (tentati'vo d,i varare una gz'unta con il PCI) comporta necessariamente, ha affermato la Voce Repubblicana, la deplorazione per quanto avvi'ene in numerosi altri comuni' non ad inizz'ativa del PSDI, ma ad iniziativa della DC (accordi· con f asc/sti azzurr1: e con f asci·sti neri che dal 1956 coprono quasi e forse pz'ù d,,;due terzi dell'area ammi·n,istrativa del Mezzogiorno; che ancora durano come se la lezione di' Napoli non f asse servz·ta a nulla; che anzi .si sono estes'i fino ad includere Roma e, con z·z passaggio dal governo Aless-i al governo La Loggia, le regz·one Siciliana). La Voce Repubblicana non è stata sola a rilevare questa deplorevole .situazione: non da oggi la si'nistra democristiana si è impegnata con tenacia e con coerenza a far rilevare, sia a Piazza del Gesù che al Viminale, .come non sz·a possibile « consentire cento politz'clie, contrastanti· tra loro, .una al V1:mz·naleed una a Pàlermo, una in Campidoglio e l'altra a Venezia, senza 1:ngenerare equi·vocz· ed incertezze che, al limite, si· ripercuotono, a tutto danno della stessa Democrazia Crz'stia_na ». Giova agg1:ungere a questo punto che pi·ù deplorevole, contraddittorz·o, dannoso è fra tutti il contrasto tra la formula e il tono del governo presi·eduto a Roma dall'on Fanfani e .la formula e il tono del governo presieduto a Palermo dal << f anf anz·ano )) La Loggia. Questa di Palermo, di' un governo che è sostenuto nel partito democrz·st1:anodalle correnti' « fanf aniane )) e nel parlamento regz·onale si regge con una maggioranza d1: cui monarchi.ci e fasci·sti sono elementi indispensabili e condizi'onanti, è anzi' la prz·ma sz·tuazz·one da bonificare perchè qui· veramente - come ·ha osservato il Mondo - nel governo regz·onale e in quasi tutte le prz'ncipali ammi·ni'strazion-1:dell'Isola « avviene che il MSI e il PNM sono parte integrante della maggioranza, fino al punto di dettare condizz·onz·che la DC fedelmente esegue, fino al punto di costringere la DC a scegliere per incarz'chi di giunta o nomine in consz·gli di amministrazz·one, l'uno piuttosto ehe l'altro suo uomo )); o, naturalmente, a elargire tali z·ncarz'chie a concedere tali nomz·ne per esponenti: di quelle corrotte clientele di estrema destra che andrebbero decapz·tate, non assimilate, se si vuole evitare l'ulteriore impaludimento della situazione politica naz,ionale, se non si vuole che il governo Fanfani ri:peta nel Mezzog1:ornoi nefasti del governo Zoli. [4] Biblioteca Gino Bianco

Per avere una idea di quanto un impaludimento politico del genere possa riuscire funesto alla stessa industrializzaz-ione, basta pensare, del resto, che, proprio fra gli ultimi casi di Si.cilia, ce n'è uno molto eloquente in questo senso. Sull'Espresso del 17 agosto si è letto delle vi·cende che h·anno portato, per intervento del governo reg,ionale condizionato dai fascisti e da1:mafiosi·, alla degenerazione di una iniziatz·va, come quella della S oci·età Fz'nanziari·a Sici·1i·ana,ri·cca di· promesse per l''z.ndustrializzazi'one dell'Isola. C'è dunque un problema prec,iso che si pone al governo di centro-si'nistra, all'on. Fanfani come Presidente del Consigli·o e all'on. Pastore come Pres·idente del Comi·tato de1:Mini.stri per il Mezzog,iorno, all'on. Colombo come leader della DC nel Mezzogi·orno e a tutta la di·rezione del parti.to di maggi·oranza: è il problema delle alleanze amm-inistrative della DC nel Mezzogiorno, nella consapevolezza politica che con alleanze come quella di· Roma e come quella di Palermo non si fa l'industrializzazione e non si fa la moralizzazione, n1,asi arriva fatalmente a quella degradazione levantina della vita pol1:ticae civile cui la consorteria d-i armatori e appaltatori che faceva capo a Lauro, non senza l'ausilio di complicità della destra democri·stiana, ha condotto Napoli·. Roma e Palermo sono i·nfatti oramai molto vi'ci'ne,quasi simili· alla Napoli della consorteri·a armatoriale. Ma questo è un problema che si pone anche all'on. Saragat e all'on. Reale, alla di·rezi"onedel partito socialdemocratico che partecipa al governo e alla dz'rezione del partito repubblicano che condiz1:ona la maggi·oranza parlamentare. Noi ci auguriamo vi·vamente che, accanto alla riduzione del prezzo del grano e accanto all'inizio di una impegnativa poli.ti.cadella Pubblica Istruzi·one, si possa /scrivere fra i meri.ti· del governo Fanfani anche e soprattutto quello di aver intrapreso la bonifica delle sabbi'e mobili merz'dionali, la liquidazz'one degli accordi amministrativi con monarchi'ci e f ascistz·: anzi.tutto di quello che ha dato luogo all'am,mi'nistrazione << andreotti·ana >> di Roma e di quello che mantiene in vi·ta il governo ( non meno << andreottiano >), ma definz·to << f anf anz'ano >)) d,,;Palermo. [51 Biblioteca Gino Bianco

L'avvento di De Gaulle di Michele Tito « Generale, parlate, parlate presto»: l'editoriale di Alain de Serigny sull' « Echo d' Alger », ·pochi giorni prima del 13 maggio, costituisce molto probabilmente una prova di come siano possibili, nei periodi critici di un paese, 1 le più avventurose coincidenze. Quell'articolo è la· solà cosa sicura di tutto ciò che nel suo libro di recente pu·bblicato an.che in Italia, a cura di Mondad·ori, sulla « rivoluzione » del 13 maggio, Alain de Serigny racconta. In,dubbiamente molti dettagli r~eriti nel libro sono esatti, certamente non possono essere messi in discussione alcuni episodi. Ma ciò che appare estremamente fragile a chi ha vissuto da vicino quelle giornate terribili che videro dissolversi la quarta repubblica è la tesi ,centrale del libro: la tesi, cioè, che tende a dimostrare che il colpo del 13 maggio fu realizzato per portare de Gaulle al potere, e .che gli uomini del 13 maggio avevano fin dal primo momento · · la consapevolezza che essi stavano ·battendosi per il ritorno del generale I e per tutto ciò che un tale ritorno significava. Esistono sull'origine dell'articolo famoso di Alain de Serigny numerose versioni. Nonostante le affermazioni di de Serigny, i meglio informati sanno che l'appello a de Gaulle apparso sull' << E·cho d'Alder » era, piuttosto che un'invocazione, un tentativo di mettere de .Gaulle fuori gioco, implicitamente accusandolo di un silenzio prolungato e di una neutralità quasi colpevole. La realtà è che, nel clima di oltranzismo sciovinista che la Francia subiva prima del 13 maggio, l'estrema destra incontrava un solo ostacolo serio: quello frappostogli da Mendès-France e in genere dai gruppi del centro-sinistra, che erano riusciti a far credere 1 che ,de Gaulle approv_assela loro attività e che un ri- [6] Biblioteca Gino Bianco

torno o un qualsiasi intervento del generale avrebbe significato il successo delle loro tesi e l'applicazione della loro politica. Ad Algeri non si aveva paura dell' « Express » per se stesso, ma dell' « Express >> che da mesi sviluppava una campagna per il ritorno di de Gaulle e ne riverniciava, con eccezionale assiduità, il mito. Naturalmente, tutti sapevano, e ora se ne ha la conferma, ,che Mendès-France non ,desiderava de Gaulle e non credeva 11el suo mito. Ma all'estrema destra il pericolo di questo mito rinascente sulle sponde della sinistra democratica non poteva non apparire come un ostacolo quasi insormontabile nei confronti delle possibilità di controllo della pubblica opinione e, soprattutto, per realizzare l'operazione, più volte tentata nella disattenzione generale, di portare l'esercito contro la repubblica. Fu per questo che Alain de Serigny pensò di servirsi dell'arma stessa forbita da Mendès-France cercando di volgere contro di lui il mito de Gaulle: e Mendès-France aveva consumato l'errore irreparabile di arroc- ·carsi, egli, i suoi amici e coloro che, non essen,dogli amici, si preoccupavano tuttavia ,come lui dell'evoluzione che subiva la ·situazione in Algeria, dietro l,ombra di de Gaulle. A coloro che temevano i pericoli che questa strategia implicava, Mendès-P~ance e i suoi amici più intimi rispondevano con due argomenti: 1°) che intanto, attraverso la minaccia del1l' « operazione de Gaulle>>, la destra era stata tenuta a freno per molti mesi; 2°) che, sempre per l' << operazione de Gaulle», Mendès-France poteva ancora condizionare indirettamente i movimenti dei socialisti e impedire a. Mollet di toccare gli estremi confini logici della sua politica. Argomenti validi: senza l' << operazione de Gaulle>> di Mendès-France, molto probabilmente, Mollet si sarebbe trovato totalmente in ·balia dell'estrema destra, e questa avreb·be potuto già da molto tempo guidare la rivolta aperta delresercito. Ma intanto il regime agonizzava: l'averlo costretto alla scelta tra l'oltranzismo di Algeri e de Gaulle voleva dire averlo condannato a morte. ;È straordinario che la sinistra democratica fran.cese si sia illusa che si potesse durare ancora a lungo in quella specie di limbo eh' era la situazione prima de1 13 maggio: senza che l'estrema destra, da tempo sul piede di guerra, si muovesse e ·senza che il mito gollista si realizzasse. Bidault aveva capito che MendèsFrance faceva una politica di « 1 bluff » : egli disse testual1 mente a La.coste, ai primi di maggio, mentre ancora bru.ciava d'amarezza per il proprio tentativo fallito di costituire il governo: << c'è una .sola cosa da fare per ritor- [7] Biblioteca Gino Bianco

nare coi piedi sulla terra: dire a quelli [Mendès-France, ecc.] che vogliamo «vedere>>, come al polcer ». E quando Alain de Serigny disse: «vedo>>, la sinistra democratica francese rivelò il proprio «bluff». L'abilità politica di de Serigny è consistita nell'immediatezza con la quale ha ,compreso che, sorpresi gli avversari, inermi e privi delle _carte che essi avevano così a lungo minacciato di scoprire, era giunto il m~ mento decisivo. Ma, tutto sommato, iche cosa intendeva il direttore del1 'E c ho d' Alger per « momento decisivo >>? Ora si parla di «rivoluzione» e si tende a far credere che tutto ciò che è a,ccaduto era stato previsto e vo-- luto e che non si ebbe paura di ciò che si stava preparando. Gli obiettivi dell'estrema destra francese erano relativamente modesti: nessuno dei protagonisti del 13 maggio ebbe lontanamente la sensazione di stare per sconvolgere la Francia. Tutto sommato, l'estrema destra tentava un'operazione che, dal tempo della guerra d'Indocina, le era più volte riuscita. La maggiore decisione, la brutalità, anzi, 1con la quale si agiva tra la fine di aprile e i primi di maggio nascevano non da un sentimento di forza accresciuta, ma da una circostanza che aveva creato una convergenza di interessi immediati con gli esponenti dell'esercito d'Algeria. La circostanza si era verifì,cata 1'8 febbraio, col bombardamento del villaggio tunisino di Sakiet-Sidi-Yussef. Il bombardamento era stato voluto effettivamente dagli uomini di Algeri, preoccupati dalla politica moderata che Burghiba aveva inaugurato nei confronti della Francia,; ma il Ministro della Difesa ne era al corrente, e, tenendo i propri colleghi di governo nell'ignoranza, aveva lasciato fare. Nonostante ciò, gli stati ,maggiori vissero giorni di forte inquietudine: la stampa, il parlamento, l'opinione ·pubblica mondiale protestavano; l'esercito si trovava sotto a,ccusa. Per un momento il presidente del Consiglio Gaillard ·pensò di sconfessare l'operato dell'esercito, ma la solidarietà che dai gradi inferiori fino al capo di stato maggior generale, Ely, univa tutti i settori dell'esercito nel pretendere che il governo non dissociasse le proprie responsabilità da quelle del corpo di spedizione in Algeria, costrinse Gaillard a tenere, di mala voglia, e forse consapevole del proprio suicidio, l'atteggiamento ambiguo che lo condusse appunto alla rovina. Ma, mentre si sviluppava la singolare vicenda dei buoni uffici angloamericani, che dovevano avere l'assurda e quasi incredibile conseguenza [8] Biblioteca Gino Bianco

.. di restituire l'opinione pubblica alla solidarietà con l'esercito, tra il potere politico e l'autorità militare .cominciava la prova di forza, silenziosa, sotterranea, insidiosa. Il governo, che aveva sentito di non essere più in grado di controllare l'esercito, cominciò a studiare un vasto piano di trasferimento di generali e di colonnelli, e giunse a rivedere, interamente, rivoluzionandola, la lista delle promozioni che lo .Stato Maggiore aveva approntato. Il governo •potèmalamente difendersi dalle accuse precise e documentate di << favoritismi politici >> nel gioco delle promozioni e delle attribuzioni militari: un ispettore dell'esercito dette le dimissioni in segno di protesta; un altro, comandante delle truppe in Germania, si appellò, in una circolare, ai •propri ufficiali 1cercando di mobilitarli contro il governo. In quell'occasione l'estrema destra che, dopo il fallimento della CED, non era più riuscita ad « impegnare » per proprio ,conto l'esercito, si schierò ,eontro il governo e con gli Stati Maggiori, riuscendo, per giunta, a limitare ai socialisti la responsabilità dei pretesi « favoritismi politici». In che consistevano, in realtà, questi << favoritismi ».? Lo Stato Maggiore tendeva ad affidare i cofilandi più impegnativi e le responsabilità più direttamente collegate con la politica ad uomini cosiddetti « sicuri » : era un processo in corso dal tempo della guerra d'Indocina e che aveva fatto dell'esercito francese una vera e ·propria ,casta militare. Il governo, attraverso quelli che la destra chian1ava « favoritismi politici », tentava l'operazione inversa, e la tentava con una certa spregiudicatezza, facendo fare ad alcuni ufficiali carriere rapidissime e affidando i posti di maggiore delicatezza a generali e colonnelli sicuramente leali: là dove i generali e i colonnelli mancavano, venivano promossi i maggiori e perfino i capitani. La destra potè denunciare un movimento « politico » che interessava non meno di centotrenta alti ufficiali: in realtà il governo mirava a svecchiare gli alti gradi, convinto che i giovani ufficiali fossero più leali dei vecchi, forma ti dal maresciallo J uin. In questo e solo in questo consisteva lo << scandalo dei generali », che provocò tanto rumore nella pubblica opinione. Esso si risolse in un disastro per l'autorità civile, perchè favorì il riannodarsi dei rapporti tra l'estrema patriottarda e oltranzista, e magari anche venata di nostalgia petai- • nista, con gli Stati Maggiori. La destra perseguiva i suoi obiettivi politici ,[9] Biblioteca Gino Bianco

generali, mentre I'esercito vedeva nella rinnovata alleanza la possibilità di difendesi da una minaiccia immediata e, soprattutto, di salvare non tanto il prestigio quanto addirittura la sua esistenza e quindi il suo potere. Perchè il particolare ignorato ,da molti è questo: che 1 senza il colpo del 13 maggio l'esercito non poteva mantenere la propria unità. I colonnelli della scuola di Lacheroy, cioè della scuola psicologica nata nei campi di prigionia cinesi al tempo della guerra d'Indocina, non tolleravano i vecchi metodi e il rigore di casta degli Stati Maggiori. ,Gli atti di insubordinazione si succedevano quasi senza interruzione, e solo a fatica lo Stato Maggiore Generale riusciva a far credere di avere autorità effettiva e indiscussa su tutti i quadri subordinati. C'era poi, invisibile ma in atto, la frattura tra il corpo di spedizione in Algeria e 1' esercito della metropoli. Diviso e suddiviso, praticamente capace di sopravvivere come ,casta soltanto nella misura in _cuiriusciva a mobilitarsi contro i << politici >>, l'esercito doveva difendersi. L'ottenere che i ministri della difesa fossero di suo gradimento, come aveva ottenuto da dieci anni a questa parte (singolare analogia con la detestata Wehrmacht!), non poteva più bastargli. Nè poteva affidarsi alla destra per essere rappresentato indirettamente, poichè era nella logica del suo affermarsi come potere distinto il servirsi di altri piuttosto che .il servirli. E finalmente l'ufficialità diffidava dei mistici della « presenza francese » e riteneva irrevocabilmente condannato lo smisurato oltranzismo 1cui questi si ispiravano e voleva soltanto una soluzione che non suonasse come la ratifica di una cocente sconfitta. In tal modo, nelle more della crisi profonda che lacerò le coscienze e il paese dopo il bombardamento di Sakiet-Sidi-Yussef, maturò nell'esercito la volontà di agire direttamente. Alain de Serigny, che racconta d'aver ispirato e .determinato la-« rivoluzione >>, era, in realtà, in ritardo, quando scriveva il famoso articolo di fondo per eliminare l'ipoteca de Gaulle. L'esercito aveva già predisposto come .meglio gli conveniva i propri reparti, distribuendo attraverso l'intera Francia metropolitana unità coloniali e concentrando ad Algeri i paracadutisti. Il colonnello Lacheroy aveva già elaborato i piani per la mobilitazione delle masse musulmane attraverso la tecnica della << guerra psi1 cologica » e del « controllo delle masse », ,che ora si insegna in una scuola di Stato Maggiore, a Parigi, con l'ausilio dei testi di Lenin e di Mao Tse [10] Biblioteca Gino Bianco

Tung. Erano preparativi di cui ,molti erano al corrente: i giornaJi del centro-sinistra e dell'estrema sinistra li denunciavano ogni giorno; gli am- . basciatori, compreso l'italiano Quaroni, erano in grado di informare i loro governi ,che l' eser,cito si preparava per un colpo di forza e sapevano che la caduta del governo Gaillard avrebbe fatto scoccare per i militari « l'ora X». Nient'altro che questo significava la caduta di Gaillard. La destra, pertanto, non ha fatto che inserirsi nel movimento nella speranza di profittarne, o, piuttosto, e molti testi e molti fatti possono dimostrar lo, per la paura di trovarsi isolata tra l'esercito e le forze veramente democratiche. Per sua esplicita ammissione queste considerazioni spinsero Pinay verso le posizioni cl.egli oltranzisti. Quando Gaillard ,cadde, e cadde su un pretesto della destra che era stata la prima ad invocare i << buoni uffici » e li condannava proprio nel momento in cui stavano per portare a risultati positivi, fu detto giustamente che la crisi era stata voluta « con disperazione>>. Gaillard non meritava un destino migliore; ma non c'erano in quel momento obiettive ragioni per rovesciarlo: la sua caduta fu voluta dall'esercito. E, con molta diffidenza, i militari co11sentironoa che il governo Gaillard fosse sostituito da un governo ultranazionalista ,capeggiato da Bidau1t: era il prezzo che la destra chiedeva per la crisi che aveva •provocato. Essa 1 pensava di assicurarsi tutti i vantaggi e di evitare tutti i pericoli, s'illudeva che la minaccia de11'esercito costringesse i democristiani e i socialisti a sostenere l'esperimento Bidault; pensava di poter governare in minoranza col sostegno dell'eser.cito. Non pensava neppure lontana-mente che il gioco avrebbe potuto risolversi a favore di de Gaulle, del quale aveva ragione di temere le tendenze liberali nella politica coloniale e la demagogia· sociale nella politica economica. Dal canto suo l'esercito pensava ancor meno a de Gaulle, che appariva ad esso come un politicante responsabile della forza del comunismo e tendenzialmente portato a sacrifiteare il prestigio dei militari ·per la vanità del « moi, de Gaulle>>. Nessuno aveva idee perfettamente èhiare. E forse la sola testa lucida e. fredda, in quei giorni, era quella di Soustelle, il quale abilmente fece da intermediario tra Parigi e Algeri, tr~ la destra e l'esercito, e mobilitò gli uomini del servizio di controspionaggio, ch'egli dirigeva durante la guer- . ra e che erano stati mantenuti ai posti chiave dell1'organizzazione statale. · '[11] Biblioteca Gino Bianco

Solo Soustelle pensava probabilmente che si offrisse la possibilità di volgere la situazione a favore di de Gaulle. Comunque, quando la destra vide che il Presidente della RepubbLica, n·onostante tutte le pressioni, non si decideva ad affidare l'incarico a Bidault 0 a Soustelle, finse una manovra di riavvicinamento coi socialisti. Ci furono lunghe trattative, che, naturalmente, fallirono. Ma esse portarono a due risultati che Al,ain de Serigny, Bidault, Soustelle e gli altri politici di estrema destra dovevano giudicare preziosi: 1 °) intimorire l'esercito, facendogli temere un compromesso a sue spese tra le forze politiche; 2°) inasprire la ·posizione di Mollet, che era stato ,costantemente tentato, nonostante l'opposizione dei suoi amici, di favorire la designazione di un uomo di estrema destra perchè << fosse fatta la prova » che la destra non poteva governare. Mollet _caddenella trappola (e, dopo il 13 maggio, egli ha riconosciuto, in una riunione del gruppo parlamentare SFIO l'importanza di questo episodio). Il leader socialista si chiuse in una posizione di riserva e proclamò che ormai al capo dello Stato toccava sperimentare le capacità della destra. Ma Coty non riusciva a decidersi; e d'altra parte la ostilità dei democristiani a una soluzione di destra, la loro decisione di restare imperterriti al fianco dei socialisti, finirono con l'impedire che si producesse anche quel tanto di vantaggio che pure poteva scaturire dall'errore di Mollet. In ogni caso, l'esercito era intimorito. La destra ottenne finalmente, e qui soltanto comincia l'azione diretta di Serigny, che i generali di Algeria inviassero a Coty un memorandum, firmato da Salan (e ciò toglie · ogni dubbio sulle responsabilità ·del capo dell'esercito d'Algeria e sui suoi orientamenti), co1quale si esigeva la designazione di Bidault o di Soustelle. Era un vero e proprio ultimatum: Mollet non ne avvertì la gravità, credette anzi che esso potesse facilitare la sua manovra e incoraggiò Coty a fare appello a Bidault. Egli sperava sempre 1che,una volta bruciato Bidault, Ìa minaccia della. destra e della sua collusione con l'esercito sarebbe caduta. Bidault venne designato, ma, per l'opposizione del suo stesso partito, guidato da Pflimlin, cadde: L'uomo avrebbe forse potuto tentare il suo gioco se avesse costituito un ministero meno caratterizzato di quello che disse di voler costituire, con Soustelle, J acquinot, e altri esponenti del.Io' ltranzismo. Tuttavia Bidault, che sapeva di non avere che scarsissime proba- . [12] Biblioteca Gino Bianco

bilità, si preoccupò, nel suo tentativo, di dare una manifestazione delle proprie concezioni politiche: e fece dichiarazioni intransigenti e lanciò appelli reazionari. La sua preoccupazione era non tanto di ottenere i voti dei deputati quanto di dimostrare agli uomini di Algeri che i1 Parlamento non lo intimoriva e che il suo oltranzismo era senza riserve. Ma il fallimento del tentativo Bidault ebbe un effetto disastroso. Fu allora che le coscienze, ad Algeri, si infiammarono e l'opinione pubblica fu indotta a credere che quaLsiasi altro governo sarebbe stato, per il fatto stesso che Bidault aveva dovuto ritirarsi, un governo di « abbandono ». L'esercito avrebbe probabilmente accettato Pflimlin, le cui idee e ~I cui programma erano per esso molto più accettabili delle idee e dei programmi di Bidault. Ma, ormai, il tentativo si contrapponeva troppo evidentemente a quello di Bidault, e il suo significato risultava snaturato. Il fatto che il 26 aprile, quando Pflimlin non era stato ancora chi~mato dal Capo dello Stato, fosse compiuta ad Algeri la prova generale della rivolta dimostra non già, come dice de Serigny, che non si voleva Pflimlin o il suo equivalente, ma che non si poteva accettare più niente se non Bidault o Soustelle. In quei giorni si sapeva che non sarebbe stato accettato neppure Pinay. Questi sono i precedenti del 13 maggio. Gli episodi e i fatti narrati non avrebbero, naturalmente, che un valore marginale se non si tenesse conto che le vicende si svolgevano in un clima deteriorato al massimo, nei corridoi di un Parlamento screditato, nel quadro di una democrazia soltanto formale, dopo dodici anni di incessante e petulante critica fatta dal gollismo (che, inserito da Lanieli nel sistema, vi svolgeva la funzione di un cavallo di Troia e teneva in pugno i destini dei governi per il solo fatto d'avere il coraggio della suprema follia, di allearsi cioè coi comunisti nelle votazioni importanti), mentre si consumava una incredibile serie di errori di Mendès-France, il quale, indirettamente, esercitava anch'egli la critica e il sabotaggio del sistema, quando ormai l,a socialdemocrazia era venuta totalmente meno ai suoi programmi e ai suoi compiti; e, soprattutto, in u·na società totalmente spoliticizzata e priva, come nessun complesso sociale in Europa, di qualsiasi flessibilità (d~gli studenti universitari solo il 2 per cento sono di origine contadina ed operaia e 1'80 per cento sono figli di professionisti). '(13] Biblioteca G.ino Bianco

Tutto ciò che narra de Serigny a proposito dei giorni che precedettero iL 13 maggio, i suoi colloqui con Lacoste, i suoi contatti con Soustelle, ecc., è indubbiamente importante; ma non è stato determinante nella crisi. Durante lo svolgin1ento di questa il ruolo p1 iù importante doveva essere quello del segretario generale della SFIO~ di Guy Mollet. Quan,do fu chiaro che FflimLin si sarebbe pres.entato all'Assemblea per l'investitura, ad Algeri si decise, come narra lo stesso de Serigny, di imp·edire .che egli avesse ii voto favorevole. Si pensava, in realtà, che fallito il tentativo Pflimlin, e realizzate fulmineamente alcune operazioni di spostamenti di reparti militari, la ,classe politica dirigente si sarebbe rassegnata a un governo di coalizione, detto di « unione nazionale >> che operasse il reinserimento nel gioco dei Bidault e dei SousteLle. In principio, • era tutto qui. E, h1:tto som~ato, anche se, sul terreno dei principi, la democrazia risultava egualmente colpita a morte, perchè sarebbe stato imposto, con la minaccia della violenza, un certo governo che l'Assemblea doveva aocettare malgré soi, non c'era ne1la manovra, almeno agli occhi di coloro che la concepivano, niente di veramente straordinario. Le ·masse di Algeri e , l'esercito avevano imp·osto a Mollet decisioni 1che egli spontaneamente, qruand'era al potere, non avreb,be mai preso. La classe politica dirigente era abituata ai colpi di testa dell'esercito, e vi era da tempo rassegnata. Gli uomini di Algeri .credettero, dunque, il, 13 maggio, mentre Pflimlin pront1nciava il proprio discorso di investitura, di effettuare un'operazione un po' più clamorosa delle precedenti, ma sostanzialmente non diversa da tante ,altre. Il grande spiegamento di com1 plotti, ,di -contatti, di attività clan- .destine dello stesso Ministro della Difesa del governo Gail1 lard, si giustificava soltanto nella misura in cui si sapeva e si sentiva che Pflimlin, che nei precedenti governi era stato il solo a resistere ad ·ogni 1ntimazione dei miìitari, non avrebbe ceduto facilmente. E se l'esercito osò varcare i Limiti che pure aveva fino allora osservato, fu soprattutto perchè era sicuro che l'Assemblea, intimidita, non avreb,be dato la fiducia a Pflimlin e perchè sapeva che quest'ultimo aveva accettato l'incarico .offertogli da Coty a condizione di poter .procedere ad una vasta epurazione nell'esercito (si par1ava di almeno venti generali da destituire). Si sentiva che l'uomo di Stato intendeva sconvolgere un sistema in atto da oltre dieci anni .e si voleva [14] Bibl.ioteca Gino Bianco

evitare che, una volta impegnatisi nel sostegno, i gruppi parlamenta 1 ri si trovassero, in caso di una prova di forza decisiva, •Costrettia continuare a sostenere l' << alsaziano di ferro ». . Il mattino del 13 maggio fu lo stesso MRP 1chesuggerì a Pflimlin di non tentare la ,prova e di rinunciare: Mollet era dello stesso avviso; la destra era incerta tra il negare in anticipo qualsiasi speranza al Pr,esidente designato e il lasciarlo << abbrustolire alla tribuna», come du detto. Comunque, Pflimlin fece sapere che non rinunciava a presentarsi dinanzi alla Camera. IL piano predisposto ad Algeri fu attuato, e alle 15 cominciarono le manifestazioni. Tutti sapevano che esse dovevano risolversi nell'assalto al governatorato: i -corris,pondenti più attenti dei giornali stranieri lo avevano già segnalato ai propri lettori. Mentre Pflimlin pronunciava il proprio discorso, che risuLtò molto meno sicuro di quello che si attendeva ma che in ogni caso non era fatto per calmare gli animi, i manifestanti di Algeri, _conla •com1 plicità dell'esercito, prendevano possesso della città. Le prime notizie giunsero a Parigi, sul1a telescriv·ente della Camera, alle 17: •c'era interruzione di seduta e i deputati, avvertiti, non dettero peso alla ,cosa. Le' notizie via via si aggravavano, ma i deputati 1continuavano ad ostentare una gran calma e suggerivano di considerare gli avvenimenti come uno sfogo ,passionale di animi . eccitati che l'esercito, fingendo l'adesione, si sforzava di contenere e di controllare. Ma quando alle 21 riprese la seduta gli avvenimenti apparivano già in tutta la Lorogravità. Pure i deputati impedirono a Pflrmlin di parlarne appellandosi all'ordine del giorno: essi non volevano che alla rivolta, che non era ancora tale, venisse dato peso e contavano soltanto sulla resa di Pflim1in. L'allarme vero si ebbe, tra i deputati, quando ,giunse la notizia che Massu aveva sopravanzato Salan. Si vide allora nelle file di destra dit- . fondersi lo stupore e lo sgomento. Pflimlin credette giu·nto il momento per passare al contrattacco e, conquistata quasi di forza la tribuna, disse le parole famose: « Siamo sull'orlo della gu1 erra civile>>,e, tra lo stupore generale, chiamò le cose col loro nome affermando che i generali di Algeri si erano ribellati. La rivolta cominciò allora: ma, in realtà, era PElimlin che si ribeLlava al potere dei generali alleati alla destra. I Quale fu la reazione di Mollet? Fu identica a quella della destra: [15] Biblioteca Gino Bianco

Pflimlin doveva rinunciare. Mollet escogitò, e lo fece accettare a Pinay, lo stratagemma per una ritirata che salvasse la faccia: i Ministri moderati si dimet~evano, e -ciòcostituiva per Pflimlin un pretesto sufficiente per la rinuncia. Mollet stesso si impegnava ad assumere la Presidenza del Consiglio ed a costituire un gover,no di <<coalizione», lo stesso governo che 11assu avevà perentoriamente 1chiesto a Coty chiamandolo di « salute pub.- blica ». Pflimlin resistette: fu, anzi, solo a resistere; e la responsabilità o il merito sono interamente suoi. L'Assemblea fu così forzata, come se subisse una condanna a morte, a· dare la fiducia a Pflimlin. Era l'alba del 14 maggio: in quel momento l'estrema destra e l'esercito subivano una sconfitta cocente. Tutti i piani di Alain de Serigny erano sconvolti. Il 14 maggio, anche in virtù delle misure fulmineamen~e adottate da Pfl.imlin, ,che ·bloccò gli aeroporti e tenne praticamente prigioniero Soustelle impe~endogli di raggiunger,e Algeri, il movimento di rivolta perdeva fiato. Se l'estrema destra aveva conservato in parte il senso delle cose che accadevano e non ·aveva perso se non raramente la consapevolezza della sua manovra, i generali s'erano !,imitati ad agire per evitare che Pflimlin fosse investito. Ora l'investitura li coglieva alla sprovvista: i cOlonnelli cominciavano a disertare il movimento di rivolta; Massu si giustificava.. Gl,i ·estremisti di Parigi cominciavano ad avvedersi ,che l'esercito non voleva superare certi limiti; Algeri era in preda alle recriminazioni, alle divisioni, alle minacce: i civili erano contro i militari, i generali contro i colonnelli, Salan contro Massu. Le forze democratiche e parlamentari riprendevano fiato: si aveva, sicura, la sensazione che la resistenza del governo avrebbe in pochi giorni .riportato la normalità nei dipartimenti ... algerini. Dal 13 maggio al mattino del 15 non si foce, nè a Parigi I nè ad Algeri, il nome di de Gaulle. Al personaggio della mitologia della riscossa si fece ricorso solo il mattino del 15, e fu per l'esercito come per l'estrema •des-trauna soluzione di ripiego: non si credeva ancora che de Gaulle si sarebbe impegnato nel movimento, ma almeno il suo nome costituiva una giustificazione politica, dava una ,bandiera a coloro che rischiavano di .agitare solo gli stracci tristi di un « pronunciamento », paralizzava praticamente la metropoli e ridava coraggio ad Algeri. Non c'è alcun dubbio che la crisi toccò il suo vertice, e cominciò a precipitare, il 15 pomeriggio, quando de Gaulle, improvvisamente, fece [16] Biblioteca Gino Bianco ,..

diftondere il suo messaggio. A questo punto, l3uomo che appariva con1è il solo capace di risolvere la crisi e di evitare alla Francia le ·prove peggiori, · era in realtà colui che determinava la crisi e che la faceva precipitare. E non tanto perchè egli avesse un particolare ascendente sull'opinione pubblica che, nonostante gli sforzi della destra e della sinistra democratica, lo aveva dimenticato, quanto principalmente perchè il fatto ch'egli interveniva mobilitava tutti i rancori antiparlamentari, dava, in quel momento di sbandamento estremo, unità alle forze più disparate, evitava ai gruppi dirigenti, alle coscienze più sensibili e perfino a numerosi esponenti dell'esercito, una scelta che poteva essere drammatica. Il risultato dell'operazione di de Gaulle fu quello di isolare il Parlamento perchè portava la lotta al di fuori delle ragioni del Parlamento, e perciò della democrazia. Non appariva chiaro in quei giorni in che misura de Gaulle fosse complice degli uomini del 13 maggio. Soustelle faceva intendere che de Gaulle era a1 corrente, ma i moderati tenevano a sottolineare che de Gaulle era estraneo al complotto per evitare che egli apparisse trop,po legato all'esercito e che perciò, nella delicatezza dei rapporti di alleanza tra destra ed esercito, i generali diventassero troppo forti. Si racconta che Soustelle non riuscì mai, prima del 13 maggio, ad esser ricevuto da de Gaulle e che da lui aveva solo avuto due parole di saluto: << Buongiorno, Soustelle >>. In realtà la q·uestione non ha importanza: ,dei ,preparativi di Algeri quasi tutti erano al corrente, e de Gaulle, naturalmente, non meno degli altri. Il suo messaggio del 1S maggio rivela che egli s'era preparato all'evento; e s'è poi saputo che era intervenuto il 15 e non il 14 perchè la sua apparisse anche agli uomini di Algeri come la sola soluzione possibile. De Gaulle, dunque, aveva preparato il proprio ritorno al potere. Ma Mollet, che era disposto a cedere, se si poteva salvare la faccia, ad Algeri, non era disposto a cedere a de Gaulle, che sentiva come una minaccia diretta al regime democratico. Per questo decise di entrare nel governo Pflimlin onde rafforzarlo; ed era sincero. I suoi amici sono convinti ùi q,uesto: il fatto stesso d'aver indicato Moch, •un avversario all'interno del ·partito, per il Ministero degli Interni lo prova. Ma la decisione di Mollet, il 16 maggio, aveva un limite: ·che, cioè, non si profilasse la prospettiva di un fronte popolare. Le domande che il leader socialista pose a de Gaulle e le condizioni durissime avanzate per il suo ritorno al potere .[17] · Bibliote·caGino • 1anco

tendevano a scoraggiare l'ex Capo del.la Francia Libera, a liberare la crisi dall'ipoteca de Gaulle e, perciò, ad affrontare il problema della rivolta di Algeri direttamente, senza che nella metropoli la crisi del regime imponesse, per difendere le posizioni della Quarta Repubblica, la riabilitazione dei comunisti. F,u un duello sottile quello tra Mollet e de Gaulle. Il generale aveva comp1 reso che il movimento di rivolta si sarebbe esteso finchè egli avesse parlato e fosse rimasto sulla scena parigina: per questo a·ccettò, sorprendendo Mollet, di rispondere alle domande che gli venivano poste, fece tutte le concessioni che gli chiedevano, dette tutte le garanzie possibili. De Gaulle condusse la battaglia da vero stratega: mentre la sua azione alimentava la rivolta e l'estendeva alla Corsica e faceva crollare l'ammini ... straziane e disertare i prefetti, l'opinione pubblica si convinceva sempre più che solo egli avrebbe potuto fermare il processo in corso. Non app,ariva ancora sufficientemente chiaro che l'effetto era in realtà una causa_ ., che il disfa,cimento dello· Stato era possibile soltanto ,per l'intervento di colui che si presentava come il restauratore di esso. Le fasi che portarono all'avvento al potere di de Gaulle sono praticamente tutte note. Vi sono tuttavia alcune cose di cui non sembra si sia , parlato ab,bastanza, e che pure sono importanti. Pflimlin fu fino all'ultimo minuto ostile alla soluzione de Gaulle. Ma egli si trovò isolato in seno al governo a più riprese: quando l'ambasciatore americano lo informò che il governo di Washington esigeva una rapida soluzione del problema di fondo del1'Algeria in vista della sessione dell'ONU; quando la diplomazia britannica, precedendo quella americana, mise in moto tutta la propria influenza per favorire l'avvento del generale (allora MacMillan era ossessionato dal problema delLa zona di libero scambio); quando le gerarchie cattoliche fecero intendere all'MRP che esse erano favorevoli alla nuova soluzione; quando Coty minacciò, prima ancora che si pensasse al messaggio alla Camera, le dimissioni; quando, infine, de Gaulle offrì, di propria iniziativa, di trattare con il Presidente del Consiglio. In questa occasione l'isolamento di Pflimlin fu evidente a tutti; l'incontro non ebbe alcun risultato tranne quello di portare il generale all'esasperazione. Allora Mollet e Coty, e lo stesso Moch, che lamentava la mancanza di ogni autorità e di ogni potere reale, investirono con violenza [18] Biblioteca Gino Bianco

il Presidente in sede di Consiglio dei ministri. Quando de Gaulle lanciò l'ultimo messaggio al paese affermando che era stato iniziato il << processo» per l'assunzione da parte sua del potere, il generale mentiva, ma l' << alsaziano di ferro >> era stato logorato e non aveva più alcuna capacità di resistenza. L'ultimo tentativo di compromesso era fallito, e perciò de Gaulle, completando la propria manovra strategica, forzava la mano e parlava come se il governo avesse già ceduto e come se tutti fossero d'acc ordo sul suo nome. Il Ministro degli Interni Moch ha rivelato poi che quel messaggio di de Gaulle colse di sorpresa il governo, e che Pfl,irnlin fu ad dìrittura tentato di rivelare la verità al paese: ma sareb·be stato inutile poichè , ormai, ogni resistenza era diventata impossibile. Se anGhe tutta la ,classe politica dirigente avesse av11to la volontà di resistere, de Gaulle aveva d alla sua parte le maggiori delle potenze occidentali, l'America e la Gran Bretagna, l'esercito (~d eccezione della marina, che è antigollista, e, per .il ricordo di Tolone, addirittura petainista, e che fu implicata nella rivolta soltanto per l'attività dell'ammiraglio in capo Auboineau, che da de Ga ulle era stato portato alle massime responsabilità), tutta la stampa, e potev a final1nente contare sulla massima parte della pubblica opinione, che non voleva la prova su·prema e non aveva troppa tenerezza per il Parlamento . ... Contro de Gaulle non c'era niente: il partito comunista paralizz ato da tendenze contrastanti, mandava al sacrificio Duclos che si i1 mpegnava in una opposizione non gradita a Mosca; le masse socialiste ave vano rinunciato ad ogni azione sentendola inutile quando avevano intu ito che, in alto, Mollet era disposto a cedere. Mendès-France tentò tutto il tentabile: ma egli era in parte responsabile di quanto a,ccadeva. De Ga ulle ha preso nelle mani un paese che era passato quasi im,mobile attrav erso la crisi. Tutto si era svolto in alto; i protagonisti più umili della vicenda avevano il rango di prefetti. Era, tutto sommato, la crisi di una società sclerotizzata e addirittura disumanizzata. Il paese legale, del tutt o separato dal paese reale, non poteva fare appello alla piazza. Pfl-imlin lo tentò ! all'ultimo minuto, ma non raccolse echi: Mollet neutralizzò immediatan1ente la manovra annunciando che era disposto ad incontrare de Gaulle. La doman<;lache ancora ci si•·pone è questa: perchè Mollet non ha resistito ed ha favorito l'avvento di de Gaulle? Non si ha una risposta sicura.. La versione più ·plausibile è quella dell'incubo del fronte popolare; ma ·[19] Biblioteca Gino Bianco

Mollet disse anche ai suoi deputati, prima di prendere l'ultima decisione: « Badate, il paese non reagisce, non ha riflessi». La lotta, anche se iniziata, si sarebbe risolta a svantaggio della democrazia perchè dei comunisti non si poteva essere sicuri, le masse difficilmente avrebbero risposto e, soprattutto, percliè non c'era, e non si trovò in quei giorni, un ideale, una ragione da offrire al paese perchè resistesse. De Gaulle, in quel momento, non rappresentava ciò che è oggi, cioè il Capo di una Repubblica che si annuncia autoritaria. Chiedeva iLpotere soltanto per sei mesi, e aveva dato tutte le garanzie. Non si poteva domandare ad un paese stanco e sfiduciato, tormentato da un endemico qualunquismo antiparlamentarista e abituato ad ironizzare sui governi-fantasmi, sulle «debolezze>> che l'avevano diretto, di dimenticare tutto ciò e di battersi per evitare un governo <<forte» di sei mesi. Forse, le reazioni sarebbero state più pronte e soprattutto diverse se l'opinione avesse saputo fin dall'inizio cosa intendeva far.e de Gaulle e cosa non sarebbe stato mai capace di fare. Ma i francesi erano posti dinanzi ad un uomo che si sapeva educato alla rude schiettezza della vita militare e che affermava essere egli troppo vecchio per potersi improvvisare dittatore; ad un uomo che era stato protagonista di quella cui tutti an1avano pensare come ad una leggendaria riscossa, e che a coloro che l'accusavano di voler travolgere il regime repubblicano poteva replicare vittoriosamente essere stato egli il capo di coloro che quel regime avevano restaurato. Contro un tale uomo i francesi erano disarmati. · [20] BibliotecaGino Bianco

Politica agraria del Partito Socialista di Fabio Fabbri La polemica svoltasi recentemente in seno alla Commissione agraria clel Partito Socialista, e risoltasi in un violento scontro tra la corrente che fa capo all'On. Riccardo Lombardi e il gruppo detto degli ex-Morandiani, ha richiamato l'attenzione degli osservatori politici e della stampa sull'atteggiamento del PSI in materia di politica agraria. Molti si sono limitati a rilevare in questo ·episodio una nuova riconferma del profondo dissidio che divide gli « autonomisti )) dai « carristi )). Altri hanno lamentato ancora una volta la degenerazione burocratica degli organi di partito, che, da strumenti tecnici di studio e di ricerca, si trasformano in mezzi di pressione di carattere esclusivamente politico. La verità, però, consiste anche nel fatto che da vario tempo alcuni qualificati esponenti socialisti dedicano alla politica agraria inchieste e studi di vario genere. È noto come in questo settore le idee e le proposte dei leaders di partito sono di solito vaghe ed imprecise mentre per affrontare con precisione e competenza una discussione di politica agraria occorrono una preparazione specializzata ed una documentazione circa dati statistici ed agronomici. Di fronte alla complessità e alla difficoltà della questione, è abbastanza agevole, perciò, per un gruppo di studiosi, determinare o influenZd~ele scelte del Partito. Infatti, le opere dei maggiori esperti di economia agraria molto spesso rimangono sul piano puramente tecnico e scientifico; e raramente le loro proposte si inseriscono in una visione politica generale e si traducono in suggerimenti di provvedit?enti legislativi. Una èli'te, alla c1uale pure faccia difetto la facoltà di mantenere lo sforzo critico al di [21] iblioteca Gino Bianco

fuori di ogni deformazione polemica, può, dunque, suscitare attenzione ed interesse attorno ai temi proposti, acquistare, frammischiando aspetti tecnici con aspetti politici, un prestigio ed una considerazione maggiori di quanto essa meriti e di quanto sia giustificato attribuirle. La discussione e i contrasti tra i membri della Commissione agraria del PSI vanno, come si è di sopra accennato, inquadrati in un contesto di questo tipo ed è tutt'altro che superfluo esaminare i termini in cui la questione è stata posta e i risultati che sono stati raggiunti. Tra l'altro l'andamento del dibattito può fornire utili elementi di giudizio sulla natura, gli aspetti, le contraddizioni del Partito Socialista. L'occasione - non osiamo chiamarlo pretesto - per la discussione è derivata dall'affermata necessità di una disamina delle ripercussioni cui andrà inevitabilmente soggetta la nostra economia agricola in seguito alla entrata in vigore .del t!attato istitutivo del Mercato Comune. E questo già spiega perchè la discussione. ha preso l'andamento che ha preso e come sia potuta divampare, accesa, la polemica. . Le premesse fondamentali del « ragionamento >> dei cultori di politica agraria del P1 SI si possono riassumere in questo modo: ,la situazione agricola italiana - (quella cioè della nazione che detiene il 40 % della mano d'opera agricola dell'intera Comunità) - è caratterizzata dalla presenza di una altissima aliquota di forze di lavoro addette all'agricoltura. Il forte squilibrio fra imprese capitalistiche, organizzate su scala industriale e dotate di adeguati capitali per ogni tipo di investimenti, e le piccole e medie « aziende familiari», povere di capitali, soffocate dai grandi complessi _produttori dei beni strumentali destinati all'attrezzatura agricola e dei fertilizzanti chimici, abbandonate alla loro sorte dagli organi governativi, tende fatalmente ad aumentare e a divenire permanente. Secondo la diagnosi della maggior parte degli economisti socialisti, tutta questa parte «depressa» del nostro sistema agricolo rischia di essere nuovamente estron1essa dallo sviluppo, che conseguiranno tutti gli altri settori, a causa dell'inserimento dell'Italia nel MEC. Se si considera che, su 21 milioni 572 mila e 950 ettari occupati dalla proprietà privata sull'intera superficie del paese, le imprese con una estensione superiore ai 100 ettari sono 21.396 e posseggono 5 milioni e 575.567 ettari di superficie coltivabile, mentre gli altri 9 milioni e mezzo di proprietari posseggono i restanti 16 milioni _di ettari di terra (vale a dire che lo 0,2 % dei proprietari possiede il 26 % [22] Biblioteca Gino Bianco

del terreno appoderato), risulterà anche evidente la rilevanza sociale preminente della categoria dei piccoli proprietarii e coltivatori ditetti. Essi rappresentano il 50 % dei lavoratori addetti all'agricoltura e posseggono il 40 % della superficie agraria, mentre il rimanente 60 % è interamente posseduto dalla categoria dei « reddituarii >> ( 1 ). · Le tradizionali lotte sostenute dai socialisti in difesa dei contadini, dei mezzadri, dei braccianti, postulano necessariamente per il Partito Socialista il dovere di perseguire nella difesa di queste categorie. Ma è opportuno esaminare quanto sia giustificato derivare da queste considerazioni una intransigente opposizione al Mercato Comune, dal momento che può riuscire abbastanza agevole imbrigliare gli avversari con l'altisonante proclamazione della « tutela ad oltranza delle masse conta- (line disereda te >>. L'atteggiamento della frazione socialista degli ex-Morandiani è chia- ~amente compendiato in un editoriale di Mondo Opera,z"o del luglio 1958. Di fronte ad una realtà agricola fondata su vecchie tecniche di produzione, retta da strutture generali arcaiche ed ormai superate, i grandi <<agrari>>intendono affrontare la concorrenza internazionale attraverso la riduzione dei costi e la introduzione di nuove macchine e di nuove attrezzature tecniche. Questo orientamento implicherebbe inevitabilmente la concentrazione settoriale degli investimenti e delle trasformazioni in determinate zone: « lo sviluppo di una economia agraria ad isole>>, e conseguentemente << la cacciata dei contadini d~i campi >>, « l'espulsione senza contropartita dei lavoratori dal processo di produzione>>. Accertato cl1e il MEC è una << applicazione elaborata e controllata dai capitalisti>>, non è possibile vedere in esso uno strumento dal quale le forze del lavoro possano trarre un qualsiasi beneficio. Tutto ciò giustifica l'assunzione di una posizione completamente negativa rispetto alla progettata istituzione della Comunità' Economica Europea. In armonia con queste valutazioni semplicistiche, è anche logico che il responsabile della commissione agraria, Locoratolo, (dopo aver affermato che esiste una individuabile tendenza governativa << intesa a favorire anche nell'agricoltura uno sviluppo non uniformemente distribuito, ma concen- · ( 1 ) Vedasi a questo proposito: Selvino Bigi, in Mondo Operai·o, dicembre 1956, numero 2. [23] Biblioteca Gino Bianco

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