Nord e Sud - anno V - n. 46 - settembre 1958

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 46 * SETTEMBRE 1958 Bibliotecaginobianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Francesco Compagna e Vittorio De Caprariis Giuseppe Ciranna Editoriale [ 3] Geografia delle elezioni italiane del 25 maggio 1958 [6] Appunti sui gruppi di pressione e le elezio1ii del 25 maggio [28] INCHIESTE Carla Perotti Torino: il voto degli immigrati [54] Cesare Mannucci Il voto degli immigrati nell'alto milanese [80J Nicola Tranfaglia Comuni rappresentativi di Basilicata [88] Antonio Marando Paesi alluvionati e trasferiti [103] . Stefano Rodotà Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenth Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul c.c.P. n. 3/34.552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Biblioteca Gino Bianco CRONACALIBRARIA Studi sui sistemi e risultati elettorali [ 122] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687. 771 DlSTRIBUZiONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via. Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.l 1.40

- Editoriale \ . Il prese1ite fascicolo di «Nord e Sud» - pur dedicato per intero all'argomento - non è e non vuole essere una rassegna sistematica e compiuta dei problemi, soc~ologicie politici, posti dalle giornate elettorali del maggio scorso. Al contrario - pur avendo l'ambizione di st:tggerire, magari di scorcio, una prospettiva valida per intendere il significato complessivo di quelle giornate elettorali - il presente fascicolo fa perno soprattutto su alcuni centri di interesse, che nella nostra attività meridionalistica e pubblicistica ci sono apparsi assumere negli ultimi tempi un sempre maggiore rilievo. Da una parte, dunque, abbiamo voluto approfondire il tema, già più volte affrontato da « Notd e Sud»,, di ciò che significa e delle forme itl cui si manifesta nella vita pubblica italiana la presenza di più o meno potenti gruppi di pressione. Posti dinanzi a tanto facile discorrere di monopoli, di padronato, di cet2trali sindacali rosse o bianche, di forze occulte della reazione o del progresso, abbiamo voluto compiere un onesto sforzo per cogliere quella particolare, ma per più rispetti delicata e importante, r azione che i gruppi di pressione esplicano in occasione delle grandi co1isultazioni elettorali. Dei risultati di questo nostro sforzo lasciamo il giudizio ai lettori. Ci preme tuttavia di osservare che un tema di questo genere - per la sua enorme importanza, per la estrema difficoltà di ottenere informazioni dirette attendibili, per la vastità e la complessità dell'oggetto - merita da parte della pubblicistica italiana un più continuo e meditato interesse di qttel che finora ha ottenuto. Soltanto da un serio sforzo collettivo, che nulla conceda alle tentazioni di fin troppo facili crociate, è possibile sperare che si addivet2ga ad una sufficiente ricognizione di una [3] iblioteca Gino Bianco

dimensione della nostra vita pubblica, che, per essere mal conosciuta, non cessa di essere estremiamente imp,or-tante. D'altra parte, abbiamo voluto riprendere ed esaminare nelle sue implicanze elettorali un· te1nache ancor più del precedente sta a cuore a <<Nord e Sud>>:il te1J1,ac,ioè, della emigraziotie meridionale nel Settentrione del nostro paese. Arduo in tutti i suoi aspetti, questo tema lo è certamente anco.rpiù allorchè ci si chiede - conie noi abbiamo fatto, - quale sia stata la trraduzionein termitii elettorralidella presenza di masse, ormai notevoli, di oriundi vecchi e nuovi del Mezzogiorno in u·n ambiente che, per la sua struttura economicoi..proefssiotia/,ecome per le sue tradizioni etico-politich,e e per il suo co,stume civile, è tanto diverso ddl' ambiente di pro·ve. nienza degli emigrati. Nel condurre tale indagine ci siamo trovati più V<oltae sfiorare o addirittura a varcare il confine tra emigrazione meridionale ed emig;razi~neveneta nelle regioni settentrionali del paese. Crediamo che da quanto ci è riuscito di porre in luce, e da ciò che abbiamo, potuto soltanto enunciare in term.in·i problematici, si possano dedurre interessanti suggestioni su di un argomento destinato .ad aumentare di importanza nei prossimi anni: le interferenze, le affinità, le diversità e inso,mma i rapporti fra l'Italia << venetizzata >> e l'Italia <<meridionalizzata».Tema arduo, dicevamo, ~ - oltretutto-- vastissimo. Lo abbiamo circoscritto,prendendo in esame due fra le zone nevralgiche e più rappresentative del Settentrione d'Italia: gli· industrializzatissimi distretti della Brianza milanese e del circondario di Torino. In tal modo abbiamo potuto offrire ai nostri elettori due indagini-campione, che, pur nella limitata estensione dei territori presi in esame, forniscono elementi di giudizio in gran parte nuo,vi, e comun- . que assai interessanti. Infine, abbiamo dedicato due articoli al coniportam.ento elettorale di particolari zone del Meridione. Abbiamo, in primo luogo, aggiornato al 1958 lo studio, sui partiti politici e i risultati elettorali della Basilicata in questo dopog·uerra,apparso in tre pu1itate su « Nord e Sud» nel corso di quest'ultimo anno·: prini.o capitolo di una serie di analoghi studi sulle altre regioni meridionali, che vedranno quanto· prima la luce sulla nostra rivista. In secondo luogo abbiamo voluto analizzare il comportamento elettora/,e di alcuni comuni calabresi che le tdluvioni e il $eco/are dissestamento del terreno ha1ino,costretto· a su•bire vicende variamente fortunose, giunte i12 più di un caso al <<trasferimento>d>egli abitati in a/,tra sede: comuni, . [ 4] BibliotecaGino Bianco

dunque, in cui la depressione merridiotiale si è rilevata in una delle sue forme più ( verrebbe fatto di dire) esemplari e (certo) fnù esasperate. Apre il fascicolo un articolo panoramico sulle elezioni che ha soprattutto per oggetto il confronto della più recente ripartizione dei voti fra le varie forze politiche italiane con le analoghe ripartizioni -precedenti, al fine di cogliere nei suoi termini elettorali la continuità degli sviluppi politici i1z atto nel nostro Paese; ma che pone nello, stesso tempo 1 alcuni -problemi - relativi alla legislazione elettorale e a/,le tecniche' propagandistiche - stti qucdi riteniamo che la discussione sia in Italia ancora agli inizi. Il fascicolo è chiuso, infine, da un articolo di rassegna di alcune recenti pubblicazioni, italiane e straniere, di argomento elettorale e trattanti sia di· quesfioni genera/,i in ordi12e alla teoria delle libere elezioni in regime democratico, sia dei· risultati di precedenti consultazioni elettora/,i svoltesi nel nostro paese. Così strutturato, il fascicolo presenta, natural1nente, anche qualche disparità di giudizio, o· per lo meno qualche diversa accentuazio1ie, che rifiette nelle sin,gole parti di esso il diverso animo, la çf,iversa,preparazione e i diversi interessi dei singoli estensori. È u12atradizione questa del libero concorso di opinioni poco o molto diverse - di cui « Nord e Sud» si è senipre onorata e che si ritrova nei precedenti fascicoli della ri:vi,stadedi- _ cati per intero - come il presente - ad u1i unico argomento,. Cqnfidiamo, tuttavia, che nessuno possa negare 1ion solo il disegno unitario col quale il fascicolo si preSientae che in queste brevi note introduttive abbiamo, voluto delucidare; ma anche lo sforzo di serena comprrensione di una materia così ten,tatrice che è stato criterio ispiratore di tutti gli scritti qui con- , tenuti. [5] Biblioteca Gino Bianco

Geografia delle elezioni italiane del 25 maggio 1958 di Francesco Compagna e Vittorio de Caprariis Qualche mese prima della consultazione elettorale del 25 maggio 1958 osservammo che lo schieramento elettorale italiano non presentava sintomi di rivoluzionamenti spettacolari del tipo di q~ello del 18 aprile 1948, che solo nelle regioni meridionali parevano esservi ancora dei margini abbastanza larghi di espansione per le p-rincipali·forze politiche del .pa·ese e che, finalmente, nel quadro di una relativa stabilizzazione delle grandi masse di v·otanti, le elezioni sarebbero state caratterizzate, con ogni probabilità, da spostamenti di voti alle giunture dello schieramento medesimo\ e per essere più precisi a quella tra PCI e PSI da un lato e a quella tra DC e destre dall'altro. I. risultati del 25 maggio hanno, nella sostanza, confermato tali previsioni: la DC, ad esempio, col suo 42,4 ·%, se ha sup,erata la percentuale delle elezio!}i amministrative del 1956, è restata molto lontana dal 48,4(-~~della 'grande paura' del 1948; parimenti il PSI a sinistra e il PMP a destra non hanno 8-Vutoquel successo strepitoso che taluni davano per scontato (ed anzi il partito dell'armatore Lauro ha visto diminuire di molto i suoi voti nella stessa roccaforte napoletana); i guadagni più sensibili sono stati realizzati proprio nel 1fezzogiorno; la fluidità alle cerniere dello schieramento, infine, si è rivelata la ragione f ondamentale di tutti gli spostamenti che si devono registrare. Un esame particolareggiato dei dati illustrerà queste proposizioni tropp.o sintetiche e insieme procurerà di chiarirne il sìg.nificato. Innanzi tutto, nell'Italia centro-settentrionale, Lazio escl,uso,il blocco delle sinistre tradizionali, partito comunista e partito s.ocialista,sembra con . [6] Biblioteca Gino Bianco

tutta evidenza stazionario, ed anzi quasi dovunque in perdita di velocità. Se si confrontano i risultati del 1958 con quelli del 1953 (includendo naturalmente in questi ultimi a11chei voti di UP e dell'USI, çhe sono, come movimenti) conflt1iti nel PSI) il fatto appare chiarissimo: nel blocco di regioni del triangolo industriale (Piemonte, Lombardia, Liguria) v'è, sì, <lal '53 al '58 un aumento di centomila voti, ma v'è una diminuzione rile-- vante in termini percentuali, dal 38,2 '% al 36,6 ~/4; parimenti nel blocco àelle regioni a più netta prevalenza cattolica (Trentino-Alto Adige, Friuli, Venezia Giulia, Veneto) ad un aumento di circa settantamila v.oti (ma se si tolgono i voti di Trieste, che ha partecipato quest'anno per la prima volta alle elezioni, anche quel lieve au·mento scompare) corrisponde una diminuzione in percentuali dal 28,2 % al 27,3 % ( e qui val la pena di , aggiungere che in queste provincie si è registrato un aumento dei v.otanti assai minore che altrove, il qual fatto dà ragione del minore scarto delle percentuali rispetto a quello del triangolo industriale); e finalmente nelle - regioni a netta prevalenza delle sinistre, nelle cosidette provin.cie rosse (Emilia, Romagna, Toscana, Umbria, Marche) l'aumento in voti supera i centocinquantamila, ma resta la flessione, sia ·pure lievissima, in percentuali, dal 50,8 % al 50,3 %. Di tutti questi dati che si sono riportati, i più interessanti sembrano i primi e gli ultimi. / Non è certo senza significato che, considerando tutta la realtà centro- "Settentrionalenel suo complesso, le regioni nelle quali più acçentuata è la flessione in termini percentuali delle sinistre (- 1,6 %) siano proprio il Piemonte, la Lom:bardia e la Liguria, le regioni, cioè, più industrializzate d'Italia (chè, se poi dalla Lombardia si volessero escludere, come taluni fanno non senza ragione, le circoscrizioni di Como-Sondrio-Varese .e di Bergamo-Brescia, come più simili alle provincie cattoliche che a quelle ·del triangolo ind·ustriale, la flessione sarebbe addirittura del - 2,1 %). I partiti operai par excellence mostrano. di aver persa la loro capacità di espansione pr,oprio nelle zone a più alta concentrazione di proletariato industriale. ·E ·neppure è senza significato che nelle stesse ·provincie rosse, dove essi - non bisogna dimenticarlo - hanno oltre che una tradizione maggioritaria anche il controllo di rilevanti str11mentidi potere e di sottogoverno locale, • i socialcomunisti non siano riusciti, sia pure per uno scarto assai lieve, a ,eonservare la stessa capacità di proselitismo e di conquista dei nuovi vo- [71 · Biblioteca Gino Bianco •

tanti che avevano nel 1953. Qui si palesa un fatto che noi avemmo occasione di rilevare già all'indomani delle elezioni politiche del '53: che, cioè,. ferme restando talune condizioni fondamentali di li1 bertà e di civile proo-resso, in t,utta l'Italia centro-settentrionale il blocco del!e sinistr,e aveva ~ ormai toccato i suoi limiti naturali e che, pertanto, in quelle regioni la sua sarebbe stata piuttosto un'ostinata difesa che una vittoriosa_ offensiva .. Contro i 266 mila v-otiguadagnati dalle sinistre in tutta l'Italia centrosettentrionale stanno i 451 mila voti da esse guadagnate nel Mezzogiorno• continentale; contro le flessioni che si s.onoviste nella prima sta nel secon<lo 1 \'aumento netto in termini percentuali: 2,2 %-Più forte in Campania (3,1 % e 140 mila voti), il rafforzamento del PC:J e del P1 SI è db:bastanza omogeneo in tutte le regioni meridionali, fatta eccezione p,er gli Abruzzi e il Molise ( dove, ad un aumento di 15 mila voti, non corris1 ponde alcun. au1 mento perce~tuale): 2,8 % (e 1.30 mila voti) nel Lazio; 2 % e 90 mila voti (in Puglia; 1,1 % ( e 16 mila voti) in Basilicata; 2,6 ~lo ( e 58 mila voti) in Calabria. Come la flessione dèl Centro-Nord era un fatto t1guale dappertutto, anche se variabile da regione a regione (dal - 3,8 % del Piemonte al + 0,1 % dell'Emilia-Romagna), così la crescita nel Sud è uguale • dappertutto: ed è, dunque, anch'essa co·nseguenza di cause generali e non di fatti locali. Questa cres.cita è, per così dire, il rovescio di una medaglia sul cui 'dritto' abbiamo segnato la stasi o la flessione delle sinistre: quella che porta all'aumento nel Sud e cioè la stessa logica che porta alla dimidiata capacità d'espansione nelle regioni centro-settentrionali: la relativa matu-- rità economico-sociale di queste si traduce in stabilizzazione delle forze politiche ed in flession·edelle volontà rivoluzionarie; laddove la depressione del Mezzogiorno ne fa ancora una zona di instabilità politica ed il campo ideale di sviluppo per movimenti che hanno vocazione di rivoluzionare la struttura politico-sociale del .paese (o che almeno affermano di averla) .. I dati contrastanti di queste ' due Itailie ' mostrano ancora una volta chiara. una verità che 110nsembra avere ancora trovato tutto il credito che merita: che, cioè, la sinistra marxista, la sinistra dei partiti che si vogliono nati dal seno stesso del capitalismo per dargli l'ultimo colpo', riesce ad espandersi solo in condizioni di arretratezza economica, •edunque in condizioni lon-- tane dal più moderno svilu·ppo capitalistico. Il fatto diventa a11corapiù evidente quand.o si consi1 deri il partito che si v-11olep, er forza numerica, per coIIlpattezza, e per superiore consape- . [8] Biblioteca Gino Bianco

I volezza ideologica,..il partito-guida della sinistra italiana, il Partito Comunista. Il PCI, su 527 mila voti di incremento in tutta l'Italia, ne ha guada- . gnati 211 mila in tutte le regioni centro-sett:entrionali e 259 mila nel Mezzogiorno continentale. La ' meridionalizzazione ' del partito comunista, che era già rileva.bile tra il '48 e il '53, resta un dato della lotta politica italiana: il PCI, se si guarda al ritmo dell'espansion·e, non è tanto figìio dell'industrializzazione e del capitalis•mo, ma è figlio del sottosv~luppo e dell'arretratezza economica. Non solo: ma lo stesso Partito Comunista ha guadagnato solo il 35 % del suo incremento nel suffragio nazionale (p,ari a 186 mila voti) nei capoluoghi di provincia, mentre ha guadagnato ben il 64,7 %, (pari a 341 mila. voti) nel resto della penisola. Dunque: non tanto partito del proletariato urbano quanto partito delle campa·gne. Di fronte a questi dati che riguardano i comunisti, quelli del PSI appaiono assai più regolari: su 749 mila voti di incremento ve ne s:ono 277 mila guadagnati nel Mezzogiorno, contro 330 mila guadagnati nelle regioni centro-settentrionali; parimenti più equilibrato è il rapporto tra l'incremento dato dalle campagne (51,2 % e 383 mila voti) e quello dato dalle città (48,8 % e 366 mila voti). Equilibrio che diventa ancora ·più significativo quando si tenga presente che il prevalere dell'a·pporto provinciale su quello cittadino è un fatto nazionale, sì1 ma che è dato dalle cifre meridionali (162 mila voti delle campagne contro 115 mila d,elle città, e in percentuali 58,5 % contro 41,5;~) e da quelle· delle provincie cattoliche (69 mila voti . delle campagne contro 40 mila delle città, e in percentuali 63,3 % contro 36,7'/4); ma che è capovolto nel triangolo industriale (101 mila voti delle città contr,o 23 mila delle campagn·e, e in percentuali 81,4 % contro 18,6 +) e nelle provincie rosse (68 mila voti delle città contro 39 mila delle campagne, e in percentuali 63,5· % contro 36,5 %). Certo il PCI aveva già tra il '46 e il '48 consolidato la su·a organi~za.. . zionc nelle regioni centro-settentrionali e nelle città; e gli anni successivi sono stati quelli dello svilu·ppo organizzativo rispettivam,ente nel Sud e nelle campagne, sì che i dati del 1958 trovano in parte _la loro spiegazione in questa conquista da pa~te comunista di zone che erano fino a ieri quasi vergini. In parte soltanto, però: e no11tanto perché a certi livelli, in certi · ordini di grandezza, i fatti organizzativi non possono avere un'importanza decisiva e sono d'abitudine tratti a rimorchio dai fatti politici; ·ma soprat-. tutto per le ragioni che si sono già sopra accennate. Non si può trascurare [9] .Bibliotec Gino I 1anco

l'importanza di un fatto avvenuto per la prima v.olta quest'anno, che, cioè, la percentuale di voti comunisti nel Mezzogiorno contin·entale supera la percentuale degli stessi voti nel triangolo industriale: 22,6 % contro 21,5 % (ancora nel 1953 il rapporto era di 21,7 ~~ contro 22,3 %). Nè si può trascu-- rare l'importanza del fatto che in 22 delle 39 ·provincie settentrionali il PCI ha regolarmente subito diminuzioni in percentuali, che oscillano dal -- 4,3 ~/4 di Gorizia al - 3,6 % di Cuneo, dal - 2,5 % di Alessandria al - 0,3 % di Treviso, ma che solo in sette sono inferiori all'un ·per cento. E meno ar1cora si può trascurare l'importanza della constatazione che il solo guadag·no del PCI nel triangolo industriale ( + 0,1 %) sia un fatto delle campagne (contro il -· 2,1 ~/4 delle città), che parimenti nelle carnpagne sia meno accusato il regress.o che si constata nelle ,provincie cattoliche (- 0,6 % contro il -1,3 % dei capoluoghi di provincia) e che sia più forte il progresso che si rileva nelle provincie rosse ( + 0,8 % contro il + 0,2 % dei capoluoghi di provincia); e che, finalmente, è appunto dalle campagne che viene l'incremento nel Mezzogiorno ( + 1,2 % contro il + 0,2 % dei capoluoghi di provincia). Q.ueste non so110conseguenze di consolidamenti e di sviluppi organizzativi, ma di fatti più complessi e profondi: se il PCI è più forte nel Su,d che tra le élites operaie delle provincie a più alto livello indl1sl'riale, e se riesce a tenere meglio nelle campagne che nei centri cittadini, ciò vuol dire che alle grandi rivoluzioni economiche del nostro tempo si accompag11ano rivoluzioni sociali e politiche, che il processo di promozione del proletariato più evoluto dalla mitologia comunista alla politica democratica è veramente irreversibile e che, per converso, solo là dove mancano le condizioni di un tale processo il partito comunista riesce ad avanzare. . Per quel che riguarda le sinistre si deve mettere in evidenza un ultimo fatto: che la fluidità alla giuntura tra P·CI e PSI c'è veramente stata, ma che gli spostamenti non sembrano avvenuti nella direzione che la più parte degli osservatori aveva ·prevista. Era .opinione comune nei primi mesi del 1958che il _partitocomunista non sarebbe riuscito a superare la crisi di sfiducia che il rapporto Krt1sciov e i fatti d'Ungheria avevano prov.ocato, una crisi che aveva av.uto la più ampia ripercussione tra gli intellettuali del partito, ma che aveva in qualche punto colpito lo stesso apparato e che aveva dato luogo a fatti clamor.osi, come le dimissioni del senatore Reale e quelle dell'on. Giolitti. In più le elezioni amministrative del 1956 avevano . [10] Biblioteca Gino Bianco

mostrato, sullo sfondo di un PCI asmatico ed in perdita di. velocità:, un PSI dinamico e sulla cresta dell'onda. Non sembrava azz~rdato prevedere, pertanto, che, ad un anno circa dal congresso di Venezia, il quale a giudizio di molti aveva segnato il definitivo distacco dei socialisti dai comu-- nisti e quindi accresciuto con l'autonomia la possibilità di richiamo dei primi, il PSI avreb·be conservato un notevole ritmo di aurµento e che vi sarebbe stato uno spostamento di voti dal PCI verso i socialisti. Ora, i risultati del 25 maggio mostrano non solo che quella flessione comunista non v'è stata e che il PCI è riuscito a contenere la crisi, ma anche che la emigrazione dei voti sem1 bra esservi stata dal settore socialista ~erso quello comunista. In effetti, se si sottraggo~o dai 749 mila: voti guadagnati dal PSI nel 1958i 396 mila di UP e dell'USI del 1953, si vede che l'incremento socialista (353mila voti) è parecchio inferiore di quello comunista. Certo, non tutti i voti di Unità Popolare e dell'Unione Socialisti Indipendenti S011 confluiti nel PS~: un attento esame dei risultati rivela come ·una_parte di essi si sia orientata verso l'alleanza radical-repubblicana; ma non sono certo cinquanta o sessantamila voti ad alterare i termini del rapporto di forza. Del resto, se si guilrdano i risultati dell'Italia centro-s-ettentrionale, regione per regione, salta agli occhi che, là dove i socialisti segnano il ·passo o vedono contenuto il loro aumento entro limiti abbastanza 1 bassi, · sono i comunisti che avanzano: in Lom1 bardia il PCI è riuscito addirittura a rovesciare il rapporto di forze a lui sfavorevole del 1953 (729 mila voti contro 746 mila del PSI) dttenendo 831 mila voti contro gli 816 mila socialisti; in Emilia-Romagna esso guadagna 51 mila voti contro i 15 mila di incremento socialista (a:bbia·moqui imputato al PSI i 45 mila voti di UP e dell'USI); in Umbria realizza un increm•ento di 22 mila voti, mentre i socialisti ne ·perdono cinquemila; nelle Marche aumenta di 31 mila voti, mentre i socialisti diminuiscono di tremila voti. Parimenti in Campania (105 mila voti contro 40 mila) ed in Calabria (40 mila voti contro 20 mila) l'incremento del PCI supera di ·molto quello del PSI. Sembra evidente, dunque, che in regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, l'Emilia-Romagna, nelle quali vutto o quasi l'incremento socialista pare fornito dai vecchi voti di UP e dell'USI e nelle quali il PCI riesce - anche e forse soprattutto grazie all'apporto di elettori immigrati - a contenere le perdite in limiti rajgionevoli, o addirittura a realizzare notevoli guadagni, vi sia stato uno scambio di voti tra comunisti e socia.. i111 ibl"oteca Gino ·Bianco

listi e che i socialisti alb1bianodato ai comunisti più v.oti di quanti non ne abbiano ricevuto. Nè ·ci sem,bra che le elaborazioni statistiche del tipo di quella •p,rocuratada Tempi moderni (n. 3-4, ·maggio-giu·gno 1958, specialmente pp. 225-28) smentiscano le nostre ded'l1zioni: il fatto che in 21 provincie su 39 dell'Italia settentrionale, in 10 su 20 d,ell'Italia centrale e in 17 su 32 del Mezzogiorno continentale ed insulare a flessioni in percentuali dei comunisti si accompagnino aumenti dei socialisti non può essere considerato come un dato a sè e n.eppure testimonia che gli spostamenti di voti abbiano avuto una sola direzione. Evidentemente i compilatori di quel confronto hanno dimenticato di segnare s,ul conto del PSI i voti di UP e dell'USI del 1953: ciò avrebbe ridotto di molto i guadagni socialisti e mostrato come dietro le apparenti flessioni si celassero effettivi guadagni d,el PCI. Del resto, il fatto che vi siano altre provincie in cui si sono verificati guadagni di entram,bi i partiti o addirittura g.uadagni dei comunisti e flessioni dei socialisti prova come dovunque il problema del travaso di voti tra PCI e PSI sfugge ad una considerazione trop,po semplicistica. Queste osservazioni, ovvia·mente, non dimin1 uiscono le proporzioni del s1 ucces:so dei PSI, ma semmai le rendono ancora più rilevanti: poiché risulta eviden tc cl1e per raggiungere il livello che essi hanno raggiunto i socialisti hanno dov.uto co11quistare un numero di voti nuovi di parecchio superiore ai 749 mila voti che i dati denuncia·no, al fine di poter colmare agevolmente i vuoti delle perdite a sinistra, dei voti dati al PCI. Quando l'on. Togliatti ha pesantemente ironizzato s1 ul successo socialista, e ha ricordato che, dedotti i voti di UP e dell'USI, quel successo si riduceva a propo,rzioni assai meno rilevanti, ha dimenticato di contare i voti che il suo partito aveva tolti al partito << fratello». Perché, finalmente, v'è stata nel 1958 questa inaspettata e imp·revista inversione nella direzione degli spostamenti di voti alla giuntura tra PCI e PSI ? Par certo che se ne deb·ba indicare la ragione principale nel brusco attacco coml111istaai socialisti durante la campagna elettorale. Nel 1953, quando nessuna crisi di ridimensionamento minacciava il PCI e quando la preocoupazione principale dei leaders comunisti era di impedire lo scatto della legge ·maggioritaria, la propa·ganda dell' « alrernativa s,ocialista» non solo non rappresentava un pericolo, ma poteva a.ddirittura riuscire vantaggiosa. Nel 1958, invece, quando v'erano stati molti segni che la propaganda d.el 1953 poteva farsi politica autonoma del PSI e che v'era quindi , . [12] · Biblioteca Gino Bianco

il rischio di un ulteriore isolamento comunista, quando v'era la min~ccia di una secca ·perdita di voti, e quando, infine, la concorrenza tra i due partiti di sinistra pareva inevita'bile, il solo modo che avessero i leaders del PCI di scongiurare i pericoli era di rifarsi delle perdite eventuali a spese del PSI. Di qui l'attacco violento, diventato l'argomento principale della propaganda capillare, ripetuto nei grandi comizi elettorali e ripreso perfino dal-4 l'on. Togliatti nella conferenza-stampa ai giornalisti stranieri. Attacco a cui i socialisti risposero inadeguatamente: poiché invece di controbatterlo con pari violenza, svelandone i motivi reali e indicando insieme le ragioni di fondo che li inducevano a segnare la loro distanza dal PCI, essi, anche a causa dei loro contrasti interni e della pressione dell'apparato, preferirono assumere un atteggiamento quasi di scusa, di apologia addolorata ed imbarazzata e finirono, nella conferenza-stampa agli stessi giornalisti stranieri dell'on. Nenni, col ribadire il vincolo che li legava ai comunisti. Era un grave errore, perché, nel momento stesso in c,ui i com•unistimuovevano all'attacco, le frange dell'estrema socialista passavano al PCI e nessuna concessione verbale avrebbe più patuto trattenerle; ma anche perché, facendo durare l'equivoco, impediva una più rilevante espansione socialista in altri settori dell'elettorato italiano e insieme rinunciava a forzare le tappe della crisi di coscienza nello stesso elettorato comunista. Sem1 bra, <lunque, come s'è già accennato, che l'inversione di direzione di cui si diceva sia da attribuire principalmente all'esatta val•utazione e alla consueta spregiudicatezza tattica dei comunisti, nonché alla loro azione tempestiva ed efficace, e all'incapacità socialista di fronteggiare l'attacco. Ad ogni modo, quali che ne siano state le ragioni, la fluidità alla cerniera tra PCI e PSI v'è stata ed ha rappresentato,. per gli spostamenti che l'hanno caratterizzata, una delle maggiori sorprese delle elezioni del 25 maggio. (1 ) . Alla stabilità del blocco delle sinistre fa riscontro, nelle regioni centrosettentrionali, una flessione ancora contenuta .delle destre; all'espansione di comunis,ti e socialisti nel Mezzogiorno continentale ed ins.ulare fa riscqntro ( 1 ) Questo esame generale della· distribuzione dei voti socialcomunisti non vuol negare in linea di principio o contraddire ad eventuali casi particolari, nei quali possa essersi determinata una diversa d-istrih~zione - fra città e campagna e fra partito e partitd - dei voti socialisti e comunisti. In questo stesso fascicolo il lettore potrà conoscere casi del gene.re, verificatisi in alcuni distretti dell'Italia Settentrionale. [13] • iblioteca Gino Bianco

una grave crisi dei partiti nazionalfascisti. Alla vigilia delle elezioni alcuni avevano pensato (e le elezioni sarde dell'anno scorso parevano giustificare certe previsioni) che il nascere dalla scissione monarchica di un ·partito per così dire <<nuovo», guidato con criteri aziendali piuttosto che politici, pr.onto a sostenere spese rilevantissime e insieme a co·mpromettere sulle ideo!ogie, potesse in qualche modo porre un argine alla crisi dello schieramento di destra che s'era delineata tra il '53 e il '56: il grande successo amministrativo a Napoli del PMP nel 1956 pareva potesse estendersi, sia pure in proporzioni minori, a tutta la penisola, in modo da sbarrare la strada allo spostamento di voti da destra verso la DC. Le nude cifre svelano quanto avventurosa fosse questa previsione, o questa speranza_, e restitùiscono alle cose le loro giuste proporzioni. Le destre tutte assieme hanno perduto in Italia 636 mila voti, un po' più di un quinto del loro elettorato, e sono calate in percentuale dal 12,7 % al 9,5 %: t1na sconfitta che se non è un crollo total~ è certamente l'avvio di un process.odi ridimensionamento del blocco dell'estrema monarchica e fascista. Pure, anche qui v'è stata una sorpresa: il MSI ha tenuto meglio di quel che i più si attendevano, calando, in percentuali nazionali, solo dell'l,1 %, aumentando perfino in qualche regione (Liguria, Emilia-Romagna, Puglia) e accusando una sconfitta di vaste proporzioni solo in Campania ed in Sicilia, dove ha perso rispettivamente 50 mila e 100 mila voti. Si può dire che è stata proprio la capacità di mantenere le proprie posizioni, riducendo al minimo le perdite, mostrata dai neofascisti, che ha evitato che la sconfitta delle destre si • mutasse 1n rotta. Meno sorprendente, invece, è stato che le più gravi perdite il blocco delle destre le abbia su'bite proprio nel Mezzogiorno continentale ed insulare, dove aveva le sue basi più forti: mentre, infatti, nelle regioni centrosettentrionali esso ha perso 118 mila voti, e cioè poco più della ottava parte del suo elettorato (passando in percentuali dal 6,6 % al 5,5 %)) nel Sud ha perso ben S18 mil.a voti e cioè un po' più della quinta parte del suo elettorato (passando in percentuali dal 21,8 % al 15,4 ~/4). E neppure è ragione di sorpresa che la resistenza dei partiti dell'estrema destra si sia rivelata minore nelle campagne che nelle città· - 3 4 °1 contro - 2 9 °1 in tutta • , /o , /o . Italia; <lato c.he è confermato (Ìai rist1ltati considerati per raggruppamenti regio11ali: - 0,8 ~la nei capoluogl1i del Centro-Nord contro -1,2 nelle provincie; - 5,5 nei capoluoghi del Sud contro - 6,9 nelle provincie. La [14] · Biblioteca Gino Bianco

scarsa efficienza organizzativa, la difficoltà di partiti a base personal~stica a penetrare capillarmente nel paese, la scarsa possi1 bilità di risonanza nelle campagne dei motivi propagandistici nazionalfascisti una v.olta spezzati i veccl1i apparati clientelistici, l'estraneità sosta.nziale al mondo contadino di quei motivi medesimi, rendono sufficientemente ragione di ciò. Finalmente, è assai significativo, per chi si ponga il problema del destino futuro della destra italiana, che entrambi i partiti monarchici non solo non siano riusciti, in Campania, ad esempio, a raggiungere i voti del PMP nel 1956, 1na che si siano tenuti al di sotto di buoni centomila voti dello stesso risultato del PNM nel 1953 ! Nè questo è il caso della Campania soltanto, chè analogo è stato il destino dei monarchici in Puglia e Sicilia, dove entrambi i partiti perdono rispettivamente 110 mila e 80 mila voti rispetto ai risultati del 1953. Non v'è in tutto il Sud un s.olocaso (tranne il Lazio, dove PMP e PNM prendono insieme nel 1958 settemila voti più del PN11 del 1953) in cui i monarchici non registrino perdite ingenti rispetto alle precedenti elezioni politiche. Ora, è appunto questa omogeneità di comportamento di tutto il Mezzogiorno e delle 'due ltalie' (sia pure con differenze di _velocitàtra Centro-Nord e Sud) che indica come il fatto transitorio non sia già questa crisi del 1958, sì invece il successo del 1953 e che il processo di ridimensionamento dell1 a destra monarchica e neofascista è anch'esso irreversibile: il sottoproletariato delle campagne e delle città appare, dai dati del 25 maggio, inesora1bilmente avviato ad un distacco sempre più profondo dai miti nazionalfascisti, appare ormai sordo ai richiami run1orosi e inconsistenti di partiti variopinti ed irresponsabili. La crisi delle destre, se contribuisce a darne ragione, non spiega, però, da sola il st1ccessodemocristiano: tra il 1953 e il 1958 lia DC guadagna 1.573 mila voti e le destre ne perdono in complesso 636 mila. V'è, dunque, una differenza di oltre nevecentomila voti, che rappresenta un acquisto nuovo del partito di maggioranza relativa; e tale differenza è in realtà ancora maggiore di quella che denunciano le cifre appena riportate, poiché è certo che, soprattutto nel Mezzogiorno continentale, v'è stato un passaggio di suffragi dai partiti monarchici a'll'estrema sinistra. L'increm.ento democristiano, pertanto, trova le sue radici principali nello sforzo organizzativo che il partito ha fatto negli ultimi anni, nell'infittirsi e rafforzarsi dei corpi intermedi ad ispirazione cattolica (dall'associazione dei coltivatori [15] Biblioteca Gino Bianco ..

diretti alle ACLI) che si pongono tra il partito stesso e l'elettorato, nella << permanenza degli a1 ggregati » che ha consentito alla o,c di contenere le sue perdite ~ventuali, nel fatto, finalmente, che essa appariva a larghissimi settori dell'opinione come la sola forza capace di ga·rantir,e una relativa · stabilità della vita politica nazionale. Che tutto ciò a1 bbia consentito al partito democristiano di raccogliere una ingente q1 uantità di voti freschi è, ripetiamo, un fatto che salta agli occhi solo che si confrontino tra loro i riS'ultati del '53 e quelli del '58. Che, poi, insieme ad alcune a·bili mosse politiche (lo scioglimento del Consiglio Comunale di Napoli, ad esempio, il quale mostrava all'elettorato monarchico popolare che il potere era effettivamente nelle mani della DC e che pertanto il plebiscito del '56 non dava affatto all'armatore Lauro il diritto o la forza di porsi contro la legge), tutte quelle ragioni che si sono dette ab1 biano consentito alla Democrazia Cristiana di mettere in crisi prima di ogni altro i partiti di destra, era cosa facilmente prevedibile per chi conosceva la precarietà d-el successo della destra stessa tra il '52 e il '53. Il passaggio di voti dai partiti nazionalfascisti alla DC, quel·la che abbiamo detta la fluidità alla ,gi,untura tra Democrazia Cristiana e destre> in-- somma, ha contribuito a gonfiare il successo democristiano e a dargli proporzioni (il 2,3 ·% di incremento nell'intero paese) che hanno potuto stupire coloro ch•e, in11anzi all'attacco convergente da tutte le parti contro il par- . tito cattolico, erano stati indotti a pensare che questo avreb1 be a malapena tenuto le sue p.osizioni. Che ciò sia vero è mostrato dal fatto che nelle regioni centro--settentrionali, nelle quali la destra ha perso poco più di centomila voti, il successo democristiano è stato meno clamoroso (542mila voti, pari al 34,4 ~/4 del'l'increment~ nazionale), mentre nel Mezzogiorno continentale ed insulare, dove monarchici e neofascisti hanno perso oltre 400mila voti, il successodemocristiano si è rivelato maggiore (1.031 mila voti, pari. al 65,6% dell'incremento nazionale). Ed è anche mostrato dal fatto ch,e la DC avanza assai di più nelle campagne, cl.ove,come abbiamo av,uto occasione di rilevare) la resistenza delle destre è minore, che non nei capoluoghi di pro-• Yincia, dove PMP e MSI hanno resistito un pò meglio. Nel Centro-Nord la differenza di voti democristiani tra il '53 e il '58 nei capoluoghi di provincia si esprime addirittura con segno negativo (-0,6 %), laddove nella provincia v'è da rilevare un netto successo ( + 1,4 %); e nello stesso Mezzogiorno continentale v'è una differenza abbastanza forte tra lo scatto [16] Biblioteca Gino Bianco

I ., in avanti nelle campagne (+ S,7%) e quello nei capoluoghi di provincia (+ 3,8·%). Il solo dato per così dire a!ber.ranteè quello fornito dalle isole, nelle quali l'incremento d,emocristiano è più forte n·ei capoluoghi di provinèia ( + 7,3 ~~) che nel resto del paese ( + 5,9 %): ma le isole sono un dato aberrante anche per la destra, la qua'le perde qui a:Ssaipiù nei capoluoghi (-11,9°/4) che nelle provincie (- 7,5%)! Non bisogna credere, però, che gli spostamenti di v-otitra destre e DC siano sufficienti da soli a rendere ragione della diversa fortuna democristiana nelle 'due Italie ~: vi sono altre considerazioni da fare, una delle quali, almeno, assai più importante. Se, infatti~ si confrontano le percentuali della DC del 1953 e del 1958 nelle regiot?-icentro-settentrionali si vedrà che lo scarto è minimo: dal 41,3% al 41,9%. Ma se si confronta la percentuale dei voti democristiani ·per il Centr,0-Nord nel 19S3 con la percentuale nazionale del 19S8, si vedrà che lo scarto è appena più elevato: rispettivamente 41,3 % e 42,2 %- Ciò vuol dire che la DC aveva già nel 1953 raggiunto nelle regioni a nord del Lazio e degli Abruzzi i suoi limiti di espa11sione,si era già per così dire stabilizzata ad un livello abbastanza alto, e pertanto ogni eventuale aumento futuro doveva necessariamente essere non molto considerevole. Il fatto che l' incremento centro-settentrionale della DC nel 1958 non superi in ,percentuale il 0,6 % va visto innanzi tutto sullo sfondo di questa realtà che s'è detta, di un elettorato relativamente stabile e di un alto livello raggiunto: non si dimentichi che nel 1953 la Democrazia Cristiana aveva raggiunto le sue percentuali più alte appunto nel Centro-N.ord. In secondo luogo si deve consi• derare che la parte maggiore d,el regresso democristiano in termini percentuali nei capoluoghi di provincia centro-settentrionali è dato dal triangolo industriale: -1,1 %, contro -0,1 % nelle provincie cattol~che e -0,3 % nelle provincie ross•e.Ora appunto nel triangolo industriale la DC ha dovuto sostenere l'attacco più organico e massiccio sulla sua destra, quello del Partito Liberale: ed era evidente che, dato il tipo di polemica che ha opposto democristiani e li1 berali, questi ultimi dovevano trovare proprio nelle città con più alta concentrazione di borghesia industriale ma·ggiore attenziope e sensibilità ai loro argomenti. In effetti il PLI, che aumenta in per-. centuale in tutto il triangolo i11dustri~ledell'l,4 %, cresce solo del 0,6 % nelle campa~ne, n1a ben del 2,4 ~lo nei capoluoghi. Sono, ci sembra, dati che non hanno alcun bi:ogno di ccmmento . .[17] iblioteca Gino Bianco

Lieve aumento nelle regioni centro-settentrionali, dunque, e forte aumento nel Mezzogiorno continentale ed insulare, in complesso ragionevole incremento: questa pare la conclusione che si deve trarre per la DC dalle cifre del 25 maggio. E se si estrapola il ris11ltatodel 18 aprile 1948, quando, cioè, la contesa elettorale fu condizionata da fatti di molto superiori al1a situazione italiana, i quali diedero luogo, come si ricorderà, ad una frana a vantaggio del partito cattolico, se si estrapola il 48,4 % di allora, si vede che da] 1946 v'è un costante aumento della DC, ma che v'è, anche, nell'aumento, una relativa perdita di velocità: si pa~s.sadal 35,2 % del '46 al 40,1 % del '53, al 42,4 % del '58. Tra il '46 e il '53 v'è una differenza del 4,9 %, mentre tra il '53 e il '58 la differenza è solo del 2,3 %: il che vuol dire non solo, come si è già osservato, che al di là di certi livelli l'increm·ento subisce ,un rallentamento naturale, ma anche che lo stesso risultato del '53, se era conseguenza di una crisi di ridimensionamento rispetto a quello del '48, era altresì conseguenza di un ·notevole progresso rispetto al 1946, progresso oltre il quale l'aumento avreb1 be necessariamente avuto proporzioni minori. Finalm,ente, ~I 42,4 % del 1958 mostra con tutta evidenza come in condizioni normali quello della maggioranza assoluta sia un tra1 guardo quasi irraggiungibile: al di là di ogni valutazione politica anche questo ci sembra un fatto difficilmente discutibile. Abbiamo visto che la D1 C proprio nel Mezzogiorno continentale ed insulare ha realizzato i suoi maggiori guadagni: con questi essa ha potuto addirittura inv·ertir.e quella tendenza che s'era registrata nel 1953, per la quale la D,emocrazia Cristiana raggiungeva nel Nord le sue percentuali più alte, registrando in conseguenza nelle stesse regioni percentuali più alte di quella nazionale. P·ure, questa di av,ere conseguito i maggiori successi nel Sud non è una· caratteristica propria della DC, ma vale anche per altre forze politiche, p•er il Partito Comunista, ad esempio; ed è, giova insistervi su con forza, il segno di una con1dizione di instabilità propria del Mezzogiorno. È certo un dato impressionante che in tutte le provincie centro-settentrionali, e dunque su circa diciassette milioni e mezzo di voti validi, gli spostamenti di voti (guada:gni della DC e incrementi del blocco delle sinistre) ab·biano superato di poco il milione di unita, mentre nelle provincie meridionali e ins1 ulari, e dunque su circa dodici milioni di voti validi (cinque milioni e mezzo in meno!), gli stessi s·postamenti abbiano at- [18] Biblioteca Gino Bianco

.... tinto quasi i due milioni di unità. È ben vero che quest'anno l'aumento di votanti è stato più forte nel Sud (1.128 mila) che nel Centro-Nord (1.049 mila): ma ciò non attenua che in minima parte il fatto che s'è rilevato. Fortissima l'avanzata democristiana, forte quella com.unista e socialista, ingentissime le perdite d,ei monarchici, abbastanza rilevanti quelle dei n·eofa.. scisti, e soprattutto importanza di simili ris•u1tatidal punto di vista della loro capacità di correggere addirittura il trend manifestatosi nel resto del paese: tutto ciò a·ppare, come s'è appena detto, proprio della condizione meridionale, d·el faticoso processo di assestamento che distingu•e la società del Mezzogiorno e conferma, finalmente, la ·previsione che soprattutto n·elle regioni meridionali v'erano ancora possi1 bilità abbastanza ampie d'espansione per le principali forze politiche italiane. E chi guardi a quel 9,5 % che e11trambi i partiti monarchici hanno ancora nel Mezzogiorno continentale o al 7 ;5 % che hanno ancora nelle Isole, e confronti queste percentuali con il 4,8 % che gli stessi partiti hanno nell'intero paese; chi confronti il 6,6 % del MSI nelle provincie meridionali o il 6,4 % in quelle insulari con il 4,7 % che i neofascisti hanno in tutta l'Italia; chi guardi a queste cifre e faccia questi confronti, si convince subito che il Mezzogiorno non ha ancora raggiunto la sua stabilità e che vi sono ancora, nel Sud, concrete possibilità di .oscillazione e di assestamento del' corpo elettorale, che vi sono ancora a destra parecchie centinaia di migliaia di voti che ·possono essere oggetto di facili conquiste. Per quel che riguarda i partiti cosiddetti minori, PSDI, PRI, PR, e PLI, i risultati del 25 maggio paiono preoccupanti: . i socialdemocratici sono appena riusciti a tenere le loro p.osizioni, realizzando un incremento del 0,1 '%; i guadagni dei li1 berali ( + 0,6 %) non oorrispondono certo al rumore che s'è fatto intorno al loro programma d,urante la campagna elettorale e meno ancora alle aspettative dei dirigenti; i repubblicani hanno visto addirittura declinare (- 0,2 %), malgrado l'apporto dei radicali, le loro fortun~ elettorali. Un bilancio, come si vede, piuttosto n1 egativo. Ma ciò che è ·più importante mettere in rilievo è che quella rilevata dai dati non sembra potersi ritenere una battuta d'arresto momentanea, ma appare piuttosto la conseguenza di una tendenza costante, dal 1948 in poi, del corpo elettoral1 e. L'insuccesso di questi partiti alle elezioni politiche del 1953 parve a tutti singolarmente contrastante colle loro affermazioni relaitivamente più brillan-ti del- . [19] Biblioteca Gino Bianco

I le elezioni amministrative del '51- '52: si pensò allora che app1 unto nel '51- '52 i partiti minori cominciavano a riprendersi dalla tormenta del 18 aprile, ma che l'apparentamento coi cattolici nel '53 li aveva danneggiati, allontanando il loro elettorato tradizionalmente laico. I risultati delle elezioni amministrative del 1956 parvero confermare questa spiegazione: il successo soprattutto dei socialdemocratici e dei liberali e la resistenza dei repubblicani sembravano annunciare giorni migliori. Se - si argomentava - in elezioni amministrative dei partiti che trova110la loro ragion d'essere ·principale in grandi temi ideologico-politici eser1 citano una simile possibilità di richiamo, ne dovranno esercitare una :benmaggiore, quando la lotta si sposterà dal pia... no delle amministrazioni comunali e provi11cialia quello politico. Ma il 25 maggio rimette in discussione tutte queste argomentazioni: per ben due volte, meno di dieci anni, tra i risultati delle elezioni amministrative e quell'i delle elezioni politiche si è manifestato un div~triocontrario a tutte le ragionevoli aspettative e che induce a rite11ere che la verità sia proprio nell'esatto opposto di quel che si era finora creduto. Sembra estremamente probabile che, accanto alle ragioni proprie di ciascuno di essi, giochino, a danno dei partiti minori, nellie grandi cons.ultazioni politiche, m•otivi generali validi per tutti: il sentimento dell'elettorato, giusto o sbagliato che sia, che essi non sono al l~vellodell'intera società e che la loro deb.orezza derivi proprio dalla loro incapacità ad essere veramente rappresentativi del paese in cui operano e a porre in essere quei corpi intermedi che dimostrereb·bero la loro p•resenza ad ogni livello; il rifìess.onaturale, che si manifestò c'la 1 morosamente nel 1948) ma che ha continuato a·d operare dopo, che orienta gli elettori verso le gran·di formazioni; la di~idiata forza di richiamo di movimenti politici che non sban,dierano fa·cili mitologie, ma paiono piuttosto appellarsi alla ragione. Nè, forse, va trascurato che a certi livelli bastano piccoli sposta·menti per dar luogo a forti guadagni o a gravi perdite, e che pertanto più agevolmente nelle elezioni pei consigli comunali e provinciali, le quali vedono un assai più forte n.umero di candidati schierarsi in campo, e consentono meglio lo sfruttamento di situazioni perso11ali,i partiti minori riescono a registrare qualche considerevole incremento. Per paradossale che ciò appaia, sembra che dai risultati di tutte le cons,ultazioni elettorali tra il '51 e il '58 si debba concludere che pa:rtiti ,come il PSDI, il PRI e il PLI Eia110avviati a diventare piuttosto ·partiti da elezioni amministrative eh~ da elezioni politiche nazionali. [20] Biblioteca Gino Bianco

.Un'altra considerazione di carattere generale, valida cioè per tutti i partiti minori, sembra quella che si riferisce alla loro progressiva regionalizzazione. Per il Partito Repu·bblicano la ten·denza era difficilmente con-• testa,bile già nel 1953: fin da allora il PRI avev.ail 43,6 % dei suoi voti nelle provin•cie ross.e. Nel 1958 il processo si è ulteriormente accentuato: poiché è evidente che i voti guadagnati dall'alleanza radical-repubblicana nel t,riangolo ind,ustria'le o nelle provincie cattoliche sono dovuti all'~pporto radicale, che ha p.untellato le declinanti fortune del partito (e in effetti là dove non esiste un elettorato radicale, come nel Mezzogio,rno continentale ed inSl1lareJil partito ha pers.o un quarto d·ei propri voti), e che, pertanto, la distanza tra il comportamento dei tradizionali collegi repubblicani e quello del resto del paese si è ancora accresciuta. E, semmai, il dato più preoccupante delle elezioni del 1958 è proprio la scarsa resistenza del PRI nei suoj antichi feudi: quattromila voti ·persi a Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì o a Pisa-Livorno-Lucca-Massa, i cinquemila voti persi a Perugia~Terni-Rieti, i diecimila persi ad Ancona-Pesaro-Ma~erata-Ascoli, !'·ulteriore flession,e registrata nel Lazio, dove si sono avuti gli stessi voti del '53 malgrado l'apporto radicale (e malgrado le elezioni amministrative del '56 avessero annunciata una netta ri,presa), sono appunto i segni eloquenti del declino. Si è detto che era ben vero che i voti radicali avevano ·puntellato il PRI, ma che questo aveva su!bìtodegli insuccessi nelle sue tradizionali raccaf o,rti proprio, perché aveva mutato politica, mettendo da parte la collaborazione coi cattolici (che era poi la politica amministrativa del partito in quelle stesse roccaforti) e abbandonando il mordente polemico nei confronti di socialisti e comunisti, i quali nelle regioni in questione erano sempre stati avversari dei repub1 blicani. D'altra parte, sembra diffici'lmente discutibile che il forte richiamo socialista sui voti che nel 1953 eran confluiti in UP e la presenza di Comunità, che ha certamente rosicchiato voti repubblicani specialmente nel Mezzogiorno (in Campania e in Basilicata), abbiano reso difficilissima ogni possi1 bilità di recupero. Ma si accettino o no queste spiegazioni, è certo che esse danno ragione solo in parte della crisi e comunque non escludono af- . fatto il processo di regionalizzazione di cui si è detto. ·Quanto al Partito Lib·erale, è un fatto che esso viene concentrando le s·ue forze soprattutto nel N.ord: al guadagno netto registrato nelle provincie settentrionali (4}2 % del 1958 contro 3 ~/4 del '53 corrisponde la stasi nel Mezzogiorno continental·e ed insulare (3,6 % del 1958 con~ro 3,6 % [21] ·Biblioteca Gino Bianco '

del '53). Non solo: ma un'analisi più particolareggiata mostra che lo scatto in avanti registrato dal PLI è soprattutto un fatto del triangolo industriale (100 mila voti guadagnati, e in percentuali dal 3,8 % al 5,2 %; e approfondendo ancora di più si vede ch,e sono i risultati di runa sola circoscrizione, Mila.t1:o-Pavian, ella quale il partito passa da 51 mila a 125 mila voti, che danno l'apporto decisivo), mentre i gua1 dagni sono più ten-ui 11ellealtre regioni centro-settentrionali ( + 0,9 '% nelle provincie cattoliche e + 0,7 % nelle ·provincie rosse); e mostra altresì il crollo delle tradizionali posizioni del Mezzogiorno continentale: seimila voti persi negli Abruzzi, ottomila a Campobasso, settemila a Napoli-Caserta, novemila a Lecce - Brindisi -Taranto, cinquemila in Cala·bria. Se il partito non su'bisce flessioni nel Mezzogiorno continentale ed insulare preso nel suo complesso, ciò è dov1 uto soprattutto ai 38 mila voti guadagnati in Sicilia: ove, inf?-tti, si considerassero a parte i risultati d,elle Isole si vedrebbe che il PLI perde nel Mezzogiorno il 0,4 %. Fino al 1948 il Partito Liberale appariva una realtà politica innanzi tutto meridionale; tra il 1948 e il 1958 esso invece si è avviato a diventare una realtà politica innanzi tutto settentrionale: solo nel Nord la sua percentuale supera 1a percentuale nazionale (del 0,6~~), mentre nel M,ezzogiorno la tocca appena. Certamente v'è qui la. conclusione di un processo di rapida trasformazione dei rap·porti politici e sociali nella società meridionale, di definitiva distruzione di strutture politiche invecchiate, di erosione di situazioni c'lientelari che si erano fittiziamente e precariamente ricreate all'indomani della guerra. Si deve aggiungere, tuttavia, che il processo è stato accelerato dal nuovo corso politico del PLI: la trasformazione di un partito altra volta glorioso per tradizioni di pr,ogresso in strumento di difesa di interessi conservatori, l'accentuazione della poliemica liberistica e antistatalistica in economia e l'an .. timeridionalismo implicito in tàle polemica, non erano certo cose che po· tevano consentire un'espansione in regioni segnate dall'inquietudine e dalla miseria e dall'instabilità politica, in regioni nelle quali i ceti inclini a prestare orecchio ai motivi economicistici sono esili; e meno ancora potevano consentire ai liberali del Mezzogiorno di f ronteggia·re con qualche possibilità di successo le difficoltà proprie della situazione di crisi cui si è accennato. ·La socialdemocrazia è il solo dei partiti minori che sembrerebbe sfuggire al d·estino della regionalizzazione: stabile nel triangolo industriale, (22J Biblioteca Gino Bianco I

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