tato giudizio il Milano (cfr. Il Ponte, maggio 1958) troverà l'opera « stupendamente tempestiva » e sua precipua caratteristica quella di « riuscire tanto meno comprensibile quanto più la si riconduce alla problematica di ieri (estetica e politica), che il libro implicitamente confuta e, con la sua arte, trascende>>. In completa (o quasi) antitesi a queste interpretazioni della visione storica e della, per così dire, filosofia sociale di Pasternak, troviamo quella di Riccardo Bacchelli che, in termini naturalmente assai più misurati e cauti del Vigorelli, vede nell'autore di Zivago una specie di sopravvissuto, e, nel romanzo, « troppo simbolico e romanzesco», la << espres- . sione di una irriducibile e nativa, quasi naturale insofferenza e inconciliabilità e non conformabilità con le co,ndizioni e con gli eventi storici in generale, e non solo col regime e costume sovietico in particolare», nonché la « aspirazione ad evadere dalla realtà politica e sociale, in una sorta di rasseg-nata insofferenza ». Che è come a dire una sort~ di escapism da << generazione perduta», quasi che Pasternak fosse vissuto dal 1920 a ieri in una campana di vetro e avesse ripreso a vivere e a scrivere tra gli uomini senza informarsi di ciò che, nel frattempo era accaduto: ci sembra francamente che una tale interpretazione, nonostante le lodi da cui è accompagnata, non renda gil1stizia né a Pasternak, né alla sua verità. Se fosse accettabile (e non lo è), renderebbe abbastanza ingiustificate le fatiche di tutti coloro che (sbagliando o cogliendo nel segno) hanno fin qui scritto del Dottor Zivago. Così pure ci sembra ingenerosamente ottusa la tesi di Pario Montalto (cfr. Questioni, gennaio-aprile 1958) << per cui si può definire questo romanzo come un ritorno al romanticismo crepuscolare di certa letteratura del primo novecento filtrato attraverso esperienze formali moderniste >>: allora Zivago sarebbe una specie di gozzaniano Totò Merumeni e Pasternak u11 Marino Moretti un po' amico di Ezra Pound? Il Montalto non risponderebbe;, a quanto pare, di no: non c'è da stupirsi, del resto, che abbia capito così poco anche il personaggio di Pavel Antipov, uno dei pochi personaggi << politici » e legittimamente interpretabili in chiave anche politica, quasi (abbiamo notato) arieggiante la figura di Trotzki. Per il Montalto è una specie di mitomane, anarco-individualista, stirneriano e prenazista, assetato di potere per sé, di oppressione per gli altri. Povero Antipov! [94] Bibloteca Gino Bianco • ..
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