Nord e Sud - anno V - n. 45 - agosto 1958

totalitaria. Il cc terre110 della democrazia parlamentare » non è così angusto e vecchio come si crede, poiché esso è il solo che ha ancora l'humus capace di far fiorire l'albero della libertà. Gli articoli di Faenza e di Onofri non recano né suggerimenti né conclusioni sul problema degli apparati, non perchè Onofri e Faenza non siano capaci di dar suggerimenti o di segnare conclusioni, ma perché il loro punto di -partenza, la loro ideologia li colloca necessariamente sul piano di una tematica astratta ed inconcludente (la tematica del partito unico) per noi cl1e ci muoviamo in una società democratica. Ben diverso è invece l'intervento di Giuseppe Maranini (Tempo presente,, febbraio I 958, pp. 143-4 7). Anche Maranini è forse troppo severo co11 gli apparati, ma la sua diagnosi è perfetta; v'è una carenza istituzionale, una carenza dello stato, ed a questa si deve porre riparo. Nel nostro articolo sottolineammo l'assurdo e il pericolo di una tale carenza istituzionale, di questa gravissima lacuna nel nostro sistema di garanzie giuridiche della libertà ~ chiedemmo uno << statuto pub·blico » dei partiti. Maranini afferma coraggiosamente, senza impaccio di disquisizioni dottrinarie e guardando al fondo della questione, che « il partito è un organo costituzionale » e che occorre pertanto una legislazione moderna che lo regoli. Egli suggerisce come una garanzia di democrazia interna di partito il ricorso ad un meccanismo del genere delle elezioni « primarie » americane (e in effetti non si contano i casi in cui le « primarie » hanno smontato le •cosiddette macchine di partito negli Stati Uniti) - un sugerimento che anche a noi era parso tutt'affatto naturale - ed aggiunge preziose indicazioni sulla necessità di rendere assolutamente pubbliche le finanze dei partiti. In due punti, tuttavia, le affermazioni di Maranini non mi hanno interamente persuaso. Il primo è la dove, riprendendo una ·proposta di Silone, egli ribadisce con calore il principio dell'ineleggibilità dei membri delle direzioni e degli esecutivi nazionali alle cariche politiche, e suggerisce di estenderla anche alle· cariche di amministrazioni private e pubbliche. « Un principio elementare di divisione dei poteri, oltre che di pubblica moralità, 1o impone », egli motiva suggestivamente. E sarebbe difficile negare che il problema non esiste: esso esiste, anzi, esattamente nei termini di divisione .dei poteri in cui :Wiaranini l~ha posto. È per questo che la seconda ,parte della proposta, l'incompatibilità, cioè, tra la carica •di membro della direzione o dell'esecutivo e quella di amimnistratore di enti pubblici o privati, ci sembra ineccepibile. Ma quanto all'altra incompatibilità, vogliamo noi veramente por~e una così rigida separazione tra parlamento e partiti? E non sarebbe una tale separazione un modo di depotenziare il parlamento, concentran·do 11ellemani di "laici,,, per così dire, il potere dei partiti? E :r;ionne seguirebbero nuove terribili frizioni tra parlamenti e partiti? E, posto che i parla- [81], BiblotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==