discussi come meriterebbero. E, tuttavia, ritenere che la lotta politica si risol• va interamente nelle questioni di schierame11to e nei contrasti che ad esse si accompagnano equivale ad avere una povera concezione della lotta politica; o se si preferisce ad essere magari inconsciamente succubi di uno ,pseudostoricismo che s'empie la bocca dei valori umani e rinuncia poi a seguire gli uomini in alcuni dei loro più alti momenti creativi, quando essi, cioè, creano le strutture del vivere libero e civile. C'è dunque (e anche questo è un vecchio discorso che ci capita sovente di ripetere) un vuoto nella critica ,politica italiana: e c'è da sperare che si viva in una fase di transizio 1 ne, trascorsa la quale la situazione migliorerà. Frattanto val la pena di discutere alcuni dei contributi che sono stati portati negli ultimi tempi al dibattito: e non soltanto per tener viva la dis·cussione e desta l'attenzione di coloro che s'interessano, ma anche perchè è col confronto delle idee che la conoscenza delle questioni si approfondisce e le soluzioni maturano. A leggere l'articolo di L. Faenza, Il partito-apparato (Passato e presente, n. 2, pp. 185-204) e quello di Fabrizio Onofri, Appunti sul partito politico in Italia (Te1npi moderni, n. I, pp. 10-23), è difficile sfuggire alla conclusione che il ,contributo dei nuovi eretici del marxismo al dibattito sugli apparati è meno valido di quanto ci si sarebbe potuti attendere. E non perchè essi abbiano conservato qualche tenerezza per questo fenomeno J>olitico dei nostri tempi di cui hanno avuto esperienza, ed amara esperienza, diretta; al contrario, vedono benissimo che attraverso la degenerazione degli apparati, attraverso il funzionariato, il partito cessa di essere (tale è la terminologia di Faenza, ma la sostanza della cosa si deduce da tutto l'articolo di Onofri) l'autocoscienza della classe, per divenire la sua ipostasi ostile. Ed anzi l'atteggiamento di Onofri e di Faenza è ancora più severo nei confronti degli apparati di quanto, ad esempio, non abbiamo dimostrato di essere noi stessi (si rinvia qui, una volta per tutte, all'articolo già ricordato, pubblicato in Nord e Sud) agosto 1957): essi infatti sembrano non riconoscere alcuna positività al fenomeno, non tengono conto che esso è pur sempre, entro certi limiti, un avanzamento sui veccl1i partiti di clientele, cl1e, anche qui entro certi limiti, è una conseguenza del suffragio universale e delle necessità organizzative; e lo condannano totalmente e senza appello. Ora proprio questo fatto è capace di rivelare, n1i sembra, dov'è il difetto del modo con cui Onofri e Faenza si pongono la questione: difetto che non è già nell'avversione che essi portano ad un determinato apparato di cui hanno sperimentato la trista violenza, soffocatrice d'ogni voce libera, e che pertanto li indurrebbe a non valutare serenamente la questione, ma è nella loro stessa ideologia politica, nella concezione ch'essi hanno della società . . e dello stato. Quando in effetti Faenza esordisce dicendo che il partito è la società politica e la classe la società civile, e· che pertanto la crisi -che oggi si [79] Bibloteca Gino Bianco
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