/ oltre il Landolfi, sono pure noti C.E. Gadda e la Morante. È ovvio che tra di loro questi scrittori hanno pochissimo in comune, salvo il denominatore della loro scarsa assimilabilità alle «categorie)) dai critici approntate. Landolfi è comunque, dei tre, quello che ha più scoperta una certa vena moralistica. Serittore soprattutto di ingegno (come ben vide il Pancrazi) mescola sapientemente . esperienze letterarie e vocazione moralistica, conoscenza sicura dei più diversi « ismi )) e gusto per l'autobiografia. Raramente il tono delle sue composizioni è uniforme: specie nei racconti, l'ironia si lascia seguire dalla divagazione metafisicheggiante. Con ciò non· si vuol tuttavia sostenere che a Landolfi manchi una « sto- ' ria)): egli può infatti essere senz'altro collocato storicamente in quel periodo immediatamente antecedente alla seconda guerra mondiale, che, per molti nostri scrittori, fu fervido di scoperte nel campo delle lettera tura straniere. Il periodo, in sostanza, di Pavese, di Vittorini, forse anche di Bilenchi. A differenza di Vittorini e di Pavese, le letture che forse influenzarono maggiormente Landolfi, non furono però quelle degli americani, ma piuttosto di Kafka e degli scrittori russi della fine dell'Ottocento. L'aprirsi di improvvisi racconti dentro il quadro di altri racconti, lo sbocciare di motivi e impressioni da altri precedenti, senza rispetto per il ritmo e la struttura tradizionali della narrazione, quasi per partenogesi, ricordano molto da vicino Kafka. Viceversa, il monologare allucinato di tanti suoi personaggi, la realtà-irrealtà, i problemi psicoanalitici appartengono all'aspetto surrealistico e ~inibolistico della composita formazione letteraria dello scrittore. Sarebbe poi difficile voler negare, accanto a queste influenze «straniere)), altre, «indigene)), dovute alla attenta lettura di Bontem• pelli e di Gadda: ma si tratta di influenze meno profonde, dovute forse solo ad un comune gusto per il linguaggio elaborato ed artificioso, per la mescolanza ' di arcaismi e vocaboli inconsueti. Accennato il quadro della formazione e delle esperienze di Landolfi, se ne possqno già segnare certi limiti: la compresenza di così diversi elementi formativi non sempre può riuscire a comporsi in unità d'arte; il gusto per il linguaggio « d' eccezione)> può facilmente scadere nell'incontrollato furore verbale (è il caso di alcuni libri minori dello scrittore, come ad es. Cancroregina); e soprattutto può rivelarsi la natura · esclusivamente sperimentale della narrazione quando manchi il vigore del sentimento (come in alcuni dei meno riusciti racconti di Ombre o anche ne La pietra lunare). Ma si pone a questo punto un interrogativo: è quello del Landolfi il caso esclusivo di un ingegno curioso? Di un ingegno privo di autentiche qualità narrative ed incapace perciò di assimilare le « lezioni degli altri )>? Si deve rispondere negativamente. Landolfi, in quasi ogni sua pagina, insieme a molte cose decisamente caduche, ha mostrato doti autentiche di scrittore: e ciò soprattutto quando ha potuto dare libera esplicazione alla sua fantasia, creando bizzarre ed originali figure di animali o fissando brevi episodi riassunti nella sensazione che provocarono al momento in cui si svolsero (di raccapriccio o di ribrezzo per Io più). Questa è forse la ragione per cui ogni nuovo libro di questo scrittore è atteso e letto [124] BiblotecaGino Bianco
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