Nord e Sud - anno V - n. 42 - maggio 1958

monopolizzazione -del potere e alla soppressione delle libertà. E d'altra parte noi non abbiamo nessuna difficoltà ad ammettere che la, concentrazione industriale (non, tuttavia, la cartellizzazione) è un prodotto naturale dello sviluppo economico contemporaneo: le necessità del mercato, il progresso tecnico e le sue esigenze, l'interesse stesso 1ei consumatori, tutto, insomma, fa sì che la civiltà industriale dei nostri giorni sia appunto una civiltà industriale e non una civiltà artigianale. E non abbiamo nessuna difficoltà ad ammettere che certe antiche leggi economiche, che erano tenute come dogmi fino a qualche decennio fa, siano da considerare oggi non diremo superate ma almeno come parzialmente vere: il terrore del gigantismo industriale così come si manifestava ancora agli inizi del secolo sembra -ormai tutt'altro che giustificato. Pure a coloro che trovano eccessiva ed erronea l'affermazione che si fa-cevadi sopra si vorrebbero qui ricordare le parole di un presidente degli Stati Uniti: « alcuni uomini riconoscono che le corporazioni e combinazioni sono diventate indispensabili nel mondo degli affari e che sarebbe follia il proibirle; ma riconoscono anche che sarebbe una follia altrettanto grande il lasciarle così come sono, incontrollate ... Essi comprendono che il governo deve ora intervenire per proteggere il lavoro, per subordinare le grandi corporazioni al pubblico benessere, per impedire l'inganno e la frode, esattamente come è intervenuto per impedire la violenza fisica». Questo presidente degli Stati Uniti si chiamava Roosevelt, ma non Franklin D., bensì Theodore Roosevelt, l'amico personale di Morgan e <lei più grossi banchieri e capitani d'industria statunitensi. E le sue parole furono la base della campagna presidenziale da lui fatta nel 1912: cioè, tirando le somme, quarantasei anni fa. E sarà bene ricordare che allora Roosevelt non fu eletto poichè il popolo americano gli preferì un progressista più spinto, il democratico Wilson, il quale tra l'altro su tale problema la pensava quasi allo stesso modo del suo avversario. E in ,realtà una volta che si sia rifiutata come illusoria la restaurazione del cosiddetto meccanismo concorrenziale perfetto ( « la competizione - diceva Wilson appunto nel 1912- non può essere stabilita per legge contro una tendenza mondiale dell'economia») ed una volta rifiutato il dogma della composizione naturale dei contrasti, non sembra che vi siano altre vie d'uscita che quella che s'è indicata. O ci si rifugia nella religione darwinista del trionfo del più forte, dell'individuo meglio equipaggiato per l'esistenza nella giungla, [13] Bibliotecaginobianco

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