Nord e Sud - anno V - n. 41 - aprile 1958

di Matapan, l'affondamento degli incrociatori Barbiano e di Giussano, ecc.), non attribuite poi a tradimento o a mancanza di nafta, ma più obiettivamente alla mancanza di radar, di cui invece erano provvedute le navi inglesi, e quindi ad una conquista tecnica del nemico. Ma quello che colpisce, in particolare, a prescindere dal tono obiettivo , e antiretorico, è il sentire gli uomini come strumenti di volontà superiori, e tuttavia capaci di non smarrire la loro umanità (a questo proposito, vedere le belle fotografie sulla fraternità degli uomini di mare, o quella del marine che tiene sulle ginocchia i piccoli giapponesi e li aiuta a mangiare). In questo senso, mostrando la preferenza per gli aspetti civili, anzichè per quelli bellicosi dell'uomo, il documentario di Epoca si rivela apertamente pacifista, nel significato in cui questo termine poteva essere applicato alla Grande ilitlsion di Renoir, nel senso cioè che non ha esitazioni nel documentare l'orrore della guerra e nel manifestare pietà per tutti gli uomini che in essa . muoiono. Uno sconfinato terrore emana dagli occhi dei prigionieri russi circondati dalle S.S. ed in attesa della morte certa; il misero corpo del franco tiratore sospeso tra gli alberi, ormai privo di vita, è lì a rammentare la continua offesa che la guerra fa all'uomo, al suo corpo ed al suo spirito; muta e trasecolata solennità, mista a terrore, emerge dalla immagine dei marines isolati nella git1ngla di Guadalcanal, alcuni piangenti, altri silenziosi, altri infine intenti a leggere a bassa voce la Bibbia. Questa è la guerra, quale emerge dalle bellissime foto di Epoca. E non fa meraviglia che siffatta visione sia sostenuta da un chiaro giudizio sulle colpe dei popoli belligeranti. La condanna del nazismo e del fascismo è chiara, proprio perchè pronunciata attraverso le immagini, senza punti esclamativi. Essa è implicita, eppure di evidenza luminosa, nelle parole con cui viene riassunto lo strazio del nostro corpo di spedizione in Russia: « ••. e noi italiani ci trovammo così lontani dal nostro Paese come non Io fummo nemmeno emigrati, in Australia e in America ». In queste parole è pure la coscienza della stupida inutilità del massacro, della guerra sénza ideali; il tutto fa da cornice ideale alla valutazione realistica e tuttavia rispettosa delle nostre operazioni militari: « ... Questo è l'eterno motivo delle guerre italiane - afferma Indro Montanelli, bruscamente nella forma, ma con diretta esperienza e consapevolezza delle cose affermate-: un reggimento ... compie miracoli per aprire il varco alle divisioni, che di miracoli invocano solo quello di tornare a casa ». Spogliata dello spirito polemico, questa affermazione significa soltanto che, nell'ultima guerra mondiale gli italiani hanno sempre dato, isolatamente o a piccoli gruppi, a reggimenti, ottin1a prova di sè, pur non riuscendo quasi mai a compiere una operazione di in- [42] Bibloteca Gino Bianco

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