conciliabile con tutti gli studi che i n1arxisti italiani hanno dedicato al movimento operaio e contadino per dimostrare la qualità classista del Risorgimento e, a un tempo,· 1a possibilità concreta, secondo gli schemi gramsciani, di una rivoluzione agraria. E come in queste difesa della concezione gramsciana del RisorgimenLo si esauriva la parte del Convegno dedicata agli studi storici, cosi nella difesa di una poetica del realismo e di una critica contenutistica) contrapposte alla critica ed all'estetica della forma, si esaurivano i contributi congressuali di estetica e critica letteraria. Anche in questo campo lo stesso ostinato uso dei termini vecchio e nuovo.~ la stessa ricerca degli « antenati » della critica letteraria gramsciana, lo stesso affermare perentorio senza dimostrazione. Petronio, ad esempio, ha dichiarato che ad un critico letterario, specie se marxista, non è necessaria la lezione crociana, ma quella ben altrimenti significativa « di Marx, Engels, Mehring, Labriola, Gramsci, Lukacs e - come esempio di critica tutta politicamente impegnata - De Sanctis ». Lo stesso Petronio ha soggiunto che è ormai momento che i marxisti italiani rimpolpino lo scheletro di storia civile della letteratura italiana, lasciato, « nella sua incompiuta genialità » da Gramsci. E le tracce di questo disegno? I giudizi sul Manzoni, sul Pirandello, sul Leopardi, la nota sul XII Canto dell'Inferno, le cose cioè meno buone e più schematiche dei « Quaderni » : come il giudizio sul XII Canto dello Inferno che è veramente, più che uno spunto critico, il ricordo di antiche curiosità erudite. Ma, a nostro avviso, altro era il problema che doveva sfiorare i critici letterari marxisti riuniti a Convegno, come pure i loro colleghi storici: in quali opere, in quale fermento rinnovatore di studi, in quali libri e saggi è rivissuto l'insegnamento gramsciano? Un Convegno di studi serio non si deve ridurre a proclamare che « bisogna fare», ma deve valutare anche « il già fatto », se non vuole implicitamente ammettere che « non è stato fatto nulla», malgrado molti libri e moltissimi articoli. È peraltro troppo comodo, e anche infinitamente meno interessante, continuare ad affermare che il vero critico letterario deve combattere per una nuova cultura, e che l'intellettuale è immerso nella storia. Un curioso storicismo davvero, questo, che proclan1a di aver vittoriosamente fatto i conti con tutte le tradizioni culturali e cerca di evitare un bilancio della sua stessa tradizione più recente: uno storicismo perentorio nelle affermazioni, ma esangue ed improprio nei concetti. ENNIO CECCARINI (49] Bibloteca Gino Bianco ·
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