ne è derivata una riduzione in termini di scambio del potere d'acquisto degli agricoltori. Tutto ciò, per quanto spiacevole, rientrerebbe tuttavia nella spiegata logica dell'economia di mercato, se non si fossero notate alcune idiosincrasie che ~tanno a dimostrare l'inserimento di fattori spiccatamente speculativi nel settore della distribuzione. Ed allora il discorso cambia. I prezzi degli ortofrutticoli alla campagna sono aumentati del 23 %, mentre all'ingrosso hanno lievitato •per il 41 %-Il vino è diminuito notevolmente presso il ·produttore, pur restando stazionario nei prezzi al co11sumo (a partire dall'anteguerra il vino è aumentato di 60 volte al consumo, contro le 35 volte all'origine). Infine il prezzo dell'olio d'olivo in fattoria è stato di poco maggiore a quello dell'anno precedente, mentre è aumentato del 50% all'ingrosso e del 27% al dettaglio (Istat). E si noti bene che in questa sede non viene toccato il tasto delle adulterazioni! In sostanza, la trasmissione degli aumenti al consumo, in misura note• volmente eccedente quella proporzionale agli aumenti alla campagna, evidenzia l'occasione che la fase distributiva non si è lasciata sfuggire per gravare di una taglia supplementare il consumatore senza fame beneficiare la produzione; questa anzi, alla fine, è risultata danneggiata proprio da quell'aumento generale del costo della vita cui essa stessa aveva fòrnito lo spunto, ma in misura relativamente più modesta e comunque indottavi da eventi di forza maggiore. Il fenomeno, beninteso, non è circoscritto all'Italia soltanto. In una recente relazione della FAO si constata la stazionarietà o addirittura la diminuzione dei prezzi all'origine contro un continuo rialzo di quelli al dettaglio. L'argomento si è prestato alla formulazione di una teoria di carattere generale. Una distinta economista americana, Miss Marguerite Burk (Changes in food expenditures, 1929 to 1956), dopo di aver scisso il prezzo al dettaglio nelle due componenti del valore dei prezzi in fattoria e del valore aggiunto (spese ed utili di distribuzione e trasformazione) dimostra che, posto un aumento del 4 % nelle spese alimentari di ogni consumatore, il primo fattore - ossia il reddito agricolo - subisce un incremento del solo 1,5 %, contro il 7 % del secondo. Ciò vale per il mercato americano; e si ha motivo di ritenere che la discrepanza sia ancora più accentuata in zone di meno vaste proporzioni. Tale è il caso dell'Italia, ove, al lavoro, all'impiego di capitali ed al rischio dei produttori, va, grosso modo, un terzo del reddito agricolo; mentre i restanti due terzi affluiscono alla ristretta e privilegiata casta dei distributori. I dati sopra riportati e riflettenti i ·movimenti del 1956 stanno a dimostrare lo sfruttamento psicologico di un fenomeno accidentale come quello del gelo, per gravare una doffianda in aumento di oneri superiori al sovra- [48] Bibloteca Gino Bianco
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