un Antoni, per un Calogero, uno Chabod, che - invitati - hanno cortesemente declinato l'offerta di partecipare al convegno, in coerenza con tutti i loro ben noti orientamenti ideali, etici, politici, i comunisti hanno pur potuto reclutare adesioni indubbiamente notevoli, come quelle di Nino Valeri e di Gino Luzzatto e perfino, sorpresa massima, di Mario Allara, rettore dell'Università di Torino e liberal-monarchico di vecchia data. Nè ci si venga a dire, come faceva l'Unità del 10 gennaio in un'acida nota polemica contro le giuste osservazioni de Il Mondo., che il convegno romano aveva un « carattere di studio » ad un « livello culturalmente elevatissimo ». La inclusione del segretario generale del P.C.I. fra i quattro oratori bastava da sola a snaturare il « carattere di studio » del convegno. E ci si spieghi, infine, perchè - se il convegno non aveva altro fine che di studio - non siano stati invitati o non abbiano aderito uomini come Natalino Sapegno o Gaetano Trombadore o Vezio Crisafulli o Fabrizio Onofri, la cui dissidenza dal partito non ne ha liquidato (per loro esplicite e più volte ripetute dichiarazioni) le convinzioni circa la validità e l'attualità della tematica politico-culturale desunta dalle suggestioni gramsciane. Ma noi sappiamo che il bando e la morte civile (quando non è possibile quella fisica) degli eretici è un costume che ha sempre altamente onorato la prassi comunista. « Ripresa » frontista in tutto il Paese e, naturalmente, più intensa nella terra di missione del frontismo, in quel Mezzogiorno, cioè, che è di nuovo oggetto di sollecite cure da parte del restaurato e rinvigorito Comitato di Rinascita. Temi nuovi e allettanti: campagna regionalistica; convegni per lo studio delle ripercussioni del Mercato Comune nel Sud; inchieste sullo stato delle attrezzature civili; e perfino assemblee di immigati meridionali nelle grandi città industriali del Nord. E soprattutto reclute nuove, fra le quali, principale e più prestigiosa, quella del padre Pio dei laici: Danilo Dolci, aureolato pur di recente di quel premio Lenin, che nella sua edizione di premio Stalin fu appannaggio, poi rinunziato, dell'on. Pietro Nenni. Al qual proposito vogliamo candidamente confessare di non riuscire a capire in qual modo un uomo, certo non sprovveduto, come l\1ario Alicata, possa affermare, e sia pure ai fini di una grossolana speculazione, che il premio Lenin conferito a Dolci segni « un alto riconoscimento internazionale per la cultura italiana, che proprio attraverso l'opera di intellettuale di Danilo Dolèi ... è aiutata a perdere il carattere arcadico e provinciale da cui è afflitta da decenni, è aiutata a farsi posto nella cultura 'illuministica' contemporanea, è aiutata a conquistarsi rinteresse, la conoscenza e l'apprezzamento di nuovi popoli e di nuove culture ». Ma tant'è. Il frontismo comunista ha recitato ben altre commedie che queste, e ne potrà recitare in futuro di ancor più ricche di sapido umore italico. E certamente i risultati giustificano ampiamente i mezzi ai q_uali si [39] Bibloteca Gino Bianco
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