opere d'arte, dei giudizi critici e delle teorie estetiche, minaccia di render vano il loro lavoro. È questa la tesi sostenuta da Lia Formigari in un saggio che, frutto di un lungo e intelligente studio degli scritti degli analisti, induce, oltre che a un sostanziale consenso, a qualche osservazione (8 ). Secondo la giovane Autrice, il fine essenziale degli analisti studiosi di estetica è quello di guarire la critica e la teoria dell'arte dalle malattie linguistiche dovute alla essentialist fallacy, cioè alla « illegittima illazione dall'uso del sostantivo all'esistenza della sostanza>>. Più precisamente gli analisti intendono eliminare dal linguaggio estetico : « a) l'uso gratuito di analogie come " la musica della poesia", " la poesia del colore '' e simili ... ; b) la generalizzazione di termini come " arte ", "espressione" e simili, che vengono estesi nel loro significato fino a rendere opportuna la battuta di Ryle sul bambino secondo il quale tutti i Rossi del mondo devono appartenere alla famiglia Rossi della porta accanto; e) il carattere tautologico, rilevato da Miss Lake, di formule come quella crociana (l'arte è espressione)>> (9 ). In queste intenzioni degli analisti e negli studi che ne conseguono non tutto è nuovo (ma, si sa, non c'è niente di più inedito dell'edito) e non tutto è esatto o, come dice Lia Formigari, non tutto « fa presa sui problemi reali ». Non nuova, ad ese111pio, è la esattissima critica alla essentialist fallacy, compiuta e condivisa ormai da lungo tempo dalla maggior parte degli studiosi italiani di linguistica e di teoria del linguaggio; ed anche non è nuova la polemica contro l'introduzione nel linguaggio critico di indebite generalizzazioni e metafore gratuite ed equivoche, introduzione che ha trovato la recisa opposizione, filosoficamente motivata, del Croce e, di recente, del Calogero (10 ). Tuttavia, non importa tanto la novità di questi studi, q·uanto piuttosto la loro efficacia, che (8) L'analisi del linguaggio e l'estetica, (( Rass. di filos. », V (1955), 3, pp. 209-226. (9) Cit., p. 211. ( 1 °) Il Croce, <e Quaderni della Critica)), 1946, 4, p. 52, concludeva un'analisi dell'uso erroneo delle metafore nella critica, ironicamente scrivendo: <e Mi sarà lecito ora ( ... ) umilmente suggerire agli odierni critici, che ogni qualvolta, non discorrendo di opere musicali propriamente dette, vien loro sotto la penna la parola musica, levino in alto la penna e si domandino che cosa propriamente vogliono dire e lo [26] Bibloteca Gino Bianco
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