a dire da parte socialista le cose più significative. Il suo rifiuto dello stato cc faraonico » instaurato dal comunismo doveva essere il più perentorio; la sua critica della mitologia dell'unità del proletariato 1~ più acuta e decisiva. Onofri era forse tra gli intervenuti socialisti ed ex-comunisti colui che s'era poste le questioni con maggiore coerenza intellettuale e con meno timore degli altri: la sua richiesta di una ricost!"uzione socialista poteva parere ingenua ed era meditata, poteva parere astratta e mostrava al contrario di essere vicina al fondo del problema. Doveva toccare all'ex-azionista Riccardo Lombardi, invece, all'uomo cioè che aveva militato, e militato da leader, in un partito che pretendeva, in -gran parte a ragione, che il vecchio socialismo dovesse cedere il luogo ad un partito democratico moderno, doveva toccare a quest'uomo, dunque, di rappresentare tutta l'insufficienza del socialismo tradizionale. Tra alcune vaghe dubbiosità sulle crisi economiche e qualche errore di storia contempoqnea (le grandi lotte contro il monopolismo, e dunque per la riforma all'interno del capitalismo, cominciarono negli Stati Uniti almeno due decenni prima della Rivoluzione d'ottobre), Lombardi ha annunciato la grande scoperta: non basta socializzare la produzione, ma occorre socializzare il poterei Erano veramente queste le parole che andavano dette? Ed è veramente questa la lezione che Lombardi trae dalle a cose di Russia »? O non dimostrano piuttosto queste <e cose di Russia » (e con esse quelle d'Ungheria) che quando si socializza la produzione, si monopo• lizza insieme il potere? Il tragico paradosso di una rivoluzione, che cominciata per porre fine all'alienazione proletaria doveva concludere alla più terribile alienazione umana che la storia abbia mai conosciuto, è tutto qui. E l'insegnamento che gli studiosi di cose politiche e gli uomini politici devono trarre è appunto in questa legge inesorabile: la collettivizzazione concentra il potere e lo rende assoluto e gli uomini diventano quei cadaveri seppelliti gli uni accanto agli altri di cui parlava Montesquieu. Chi pensi a questo non può non trovar sfasato l'intervento di Lombardi e pateticamente contraddittorio quello di Leopoldo Piccardi. Come si può chiedere ai socialisti di essere moderni e insieme di restare mitologici per continuare ad attrarre voti? E non è forse una posizione cosiffatta sottilmente reazionaria? E non è irreale questo gioco di assegnare le parti? Ma forse Piccardi è veramente un falso storicista, che crede di essere rea/politi ker ed insegue un suo vago sogno giolittiano: egli dimentica che nella politica ognuno deve fare la sua parte, e che la sua parte dì uomo che si vuole moderno e radicale è appunto di esortare i socialisti a rinnovarsi, ad abbandonare i loro miti frusti, ad essere moderni; egli dimentica che le operazioni Giovanni Giolitti le faceva quando • aveva la sua propria maggioranza e non una maggioranza di voti presi a prestito. Piccardi sembra volere che i socialisti tengano fermo alla mitologÌa dell'unità della classe, al classismo, al sogno della società socialista; egli sem- ·bra pensare che non si può chiedere ai socialisti di abbandonare tutto ciò. [61] Bibliotecaginobianco
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