Nord e Sud - anno V - n. 38 - gennaio 1958

• Rivista n1ensile diretta da Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 38 * GENNAIO 1958 Bibloteca Gino Bianco

••• •• • • •• • • • • •• • • • • •• • • • • • • • • • • •• • • • • •• BiblotecaGino Bianco Olivetti Lexikan Clettriaa È lo St7'Lunento necessario ad un lavor·o da,ttilografì.oo intenso e ad un elevato nu,nero di copie . La Lexikon Elettrica ha ,·est au,tomatici tu.tti i servizi: e ne viene un aumento tanto della qualità come del volume del lavoro • Si ottengono norrnalmente, velocità molto elevate e maggior numero di copie rese uniformi dalla imper·sonalità della battuta meccanica . Il rendimento cornpl<Jssivo è dunque largamen,te superior·e a quello della niacchina manuale .

. Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Giuseppe Ciranna Giuseppe Galasso e Antonio Palermo N. d. R. Gioacchino Viggiani Renato Defusco Salvatore Cambosu Francesco Compagna Flaviano Magrassi George Kish Corrado Beguinot Giorgio Granata Editoriale [ 3] INCHIESTE Un « gruppo di pressione>>:La Confederaziorze Nazionale Coltivatori Diretti. [ 9] .TJapolemica sui << somari >> [ 40] GIORNALE A PIÙ VOCI << Libertà e società» [58] Il tecnico condotto [62] Movimento Moderno ed edilizia conte1nporanea [64] Povertà di libri in Sardegna [ 66] I «difensori» di Napoli [69] DOCUMENTI La carriera del ricercatore [74] Fattori generali dei comportamenti elettorali in Italia [78] CITTÀ E CAMPAGNA La città indifesa [88] La campagna turbata [ 103] RECENSIONI Nino Mozzillo « La loi >> [118] Ennio Ceccarini Qtter pasticciaccio brutto de via Merulana [ 122] Antonio Palermo Belmoro [ 126] Una copia L. 300 • Estero L. 360 DIREZIONE E REDAZIONE: Abbonamentia Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687. 771 seme~trale L. 2.200 l)ISTRIBUZiONE E ABBONAMENTI Effettuare i versamenti sul C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco . Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

Editoriale Le discussioni sul problema della riforma del Senato e sullo sciogli. mento anticipato del Senato medesimo porgono l'occasione, sembra a noi, ad ttn discorso assai piu approfandito e generale sulle strutture. elettorali e parlamentari della deniocrazia italiana. E meraviglia, francamente, che un tal discorso noti sia stato ancora fatto: poiché discutere di piccola o grande riforma della seco11daCamera e del suo scioglimento astraendo da tutti gli altri problemi è, a dir poco, dar prova di scarsa sensibilità politica e di mancanza di preoccupazione per alcuni problemi di fondo. La prima cosa su cui in Jiff atta materia conviene insistere, magari fino alla noia (e qui ovviamente non pensiamo affatto al Senato soltanto, ma a tutta la vita elettorale del paese), è quella della certezza della legge elettorale. Le leggi elettorali, soprattutto in una democrazia recente e gracile come la nostra, non sono soltanto i meccanismi con cui si assicura la rappresentanza politica e quindi il controllo politico dell'esecutivo, ma sono anche, ed anzi soprattutto, strumenti di educazione politica. Il cittadino deve essere sicuro che per un lasso ragionevole di tempo egli avrà il diritto di inviare in Parlamento i suoi rappresentanti con la stessa legge: quando vedesse, corne ha visto in Italia, clie questa legge gli vien mutata tra le mani in maniera da non aver più certezza dello strumento di cui si serve, sarà autori.izzatoa pensare che siffatti mutamenti vengono apportati per agevolare la classe dirigente al potere. Si replicherà che in Italia per disposizione costituzionale il suffragio è universale, diretto e segreto, e che pertanto i mutamenti di fondo sono [3] BiblotecaGino Bianco

esclusi a priori. Ma a nostro giudizio questa obiezione non ha alcun fondamento concreto: in effetti che cosa era che mutava tra la legge elettorale del '46 e quella del '48 e tra quest'ultima e la legge elettorale del '53? In apparenza un piccolo particolare tecnico: il coefficiente che serviva a ripartire i seggi in sede circoscrizionale. A bet1 guardare alle cose, però, il piccolo particolare tecnico poteva avere conseguenze politiche gravi: quale quella, ad esempio, di dare alla D.C. la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento quando essa non aveva raggiunto la maggioranza assoluta dei suffragi (1948); e comunque di avvantaggiare i grandi partiti, democristiano e comun,ista, a scapito delle minori f ormazioni. Così l'elettore ha visto in qualche modo falsata la indicazione eh' egli aveva data nel segreto dell'urna, ha visto a volte sottorappresentata la forza politica in cui egli aveva avuto fiducia. Noi ci rendiamo co1zto perfettamente del fatto che una legge elettorale non può per definizione essere uno strumento perfetto e clie traduca perfettamente in termini di aritmetica parlamentare l'aritmetica dei suffragi ( il collegio u11ico nazionale, che è il solo strumento che assicurerebbe una tale traduzione} ha incorivenienti assai più grandi dei suoi pregi); e sappiamo altre sì che una legge elettorale è soggetta all'usura dei muta1nenti che intervengono in una società. Ma proprio perché, come si diceva dianzi, il suffragio è, per disposizione costituzionale, universale diretto e segreto, dal 1120mento che non v-'è nessuno che pensi a restringere il suffragio ( e chi lo pensasse sarebbe da mettere in un matiicomio piuttosto che in prigione!), le modifiche che si potranno rendere tiecessarie nel corso di più decenni sarebbero minime. Nulla si oppo11e, dunque, al fatto che u1ia volta studiata una legge elettorale che norJ danneggi nessuno la si tenga in vigore per più decenni. Si risparmierebbe così ai parlamet1tari e ai cittadini l'umiliazione di .un Parlamento che ogni cinque a1i1zi discute ed approva una legge elettorale diversa dalla precedente, sia pure per piccoli particolari tecnici che poi alla prova dei fatti si rivelano però gravidi di conseguenze politiche. Si pensi, ad esempio, allo scrupolo che gli inglesi hanno sempre mostratn in siffatta materia, alla prtJdenza con cui essi hanno· ristudiati e modifi-- cati i tagli delle loro circoscrizioni elettorali ( che, dato il sistema co11 cui si vota in Ingliilterra, è il proble1na fondamentale); si pensi alla prova di riserbo data dai laburisti, i quali nel periodo in cui furono al go verti o [4] BiblotecaGino Bianco

non modificarono che in minima parte una situazione che evidentemente li danneggiava e che nessun cittadino britannico posto innanzi ai termini matematici della questione avrebbe trovata ragio1ievole. Certezza della legge elettorale, dunque: e nell'ambito di detta legge si potrebbe provvedere agevolmente a due ,problemi che a noi sembrano di particolare importanza. ecl urgenza. ll ,primo è quello della durata della campagna elettorale: i settanta giorni, prevz·sti dalle leggi che hanno avuto vigore fin qui, sono francamente eccessivi. Settanta giorni sono praticame11te tre mesi e mezzo-quattro mesi di paralisi della vita politica del paese, senza contare quelli immediatamente precedenti, nei quali nessutz governo si impegna mai ( e éhi potrebbe dargli torto?) su questioni di fondo che possono procurare impopolarità e nei quali ogni governo ten- , derà ad amministrare allegramente e a legiferare in funzione dei ,prossimi comizi. D'altro canto settanta gior1ii di campagna elettorale portano un dispendio eccessivo pei partiti, un dispendio cui francamente non si vede la necessità. L'on. Ministro degli Interni ha sottolineato che le elezioni costano all'erario dodici miliardi e che perciò era preferibile abbinare quelle del Senato e quelle della Camera dei Deputati. Ma per la verità la spesa che più ci ,preoccupa non è tanto quella accertabile perché scritta nel Bilancio dello Stato, e soggetta quindi a discussione e a pubblico controllo, non è tanto la spesa co1i cui lo Stato demo,cratico1 assicura ai cittadini l'esercizio di questo diritto fondamentale, quanto l'altra spesa, quella che sostengono· i partiti politici. Una spesa che sfugge ad ogni controllo e che porta con sé tutte le servitù. La limitazione per legge della propaganda elettorale è stata già un enorme passo avanti; ma non basta a1icora. Occorrotio altre leggi, con cui si fissi un limite massimo di spesa per i partiti nelle campag1ie elettorali (secondo l'esempio del- · l'Inghilterra e degli Stati Uniti), con ampio diritto di controllo da parte di commissioni parlamentari appositamente costituite. E noi crediamo che anche la limitazione della durata della campagna elettorale contribuirebbe sensibilmente a tale scopo. Tutto, dunque, sembra suggerire una tale soluzione . . Il secondo problema è quello delle ,preferenze: chiunque abbia se- :guito una campagna elettor_alecome osservatore, o chiunque l'abbia vissuta come candidato, conosce benissimo il fenomeno del cannibalismo di lista. Soprattutto in certe formazioni minori la grande battaglia poli1s1 . Bibloteca Gino Bianco

tica si sminuz.ia in tante piccole battaglie in cui ogni candidato tende a battere l'altro: con quanto vantaggio dello scontro delle tesi politiche ciascuno può facilmente inimaginare. È ovvio che giungere all'annullamento completo delle preferenze, e quindi alle liste bloccate in sede circoscrizionale, equivarrebbe ad aggravare la partitocrazia ed a limitare gravemente la libertà del votante, che sarebbe costretto in ogni caso ad inghiottire soluzioni già bell'e pronte: un tale ri11iedio, dunque, è _forse peggiore del male. Ma una soluzione potrebbe essere quella di limitare il voto di preferenza ad u11asola unità: in questo modo la fusione tra proporzionalità e uninominalità sarebbe perfetta, e insieme i votanti r.ifietterebbero assai bene prima di dare quel/' unico voto ad un candidato che non sia veramente il candidato del cuore. Gli accordi tra due o più candidati all'interno di ciascuna lista dive12terebbero impossibili ed ognuno sarebbe indotto a curare più attentamerite i suoi propri diretti elettori (correggendo così automaticamente uno dei difetti della proporzionalità); e soprattutto si creerebbe negli elettori un rifiesso sano e posi-- tivo che certamente servirebbe a migliorare il costume politico. Un altro fatto su cui le classi dirigenti italiane dovrebbero meditare attentaniente è anch'esso un fatto di costunie politico, nel quale esse harino una non piccola parte di responsabilità: vogliamo alludere allo sconcio per cui le elezioni amministrative sono sempre montate dai partiti come un referendum pro o contro una certa politica, come vere e proprie elezioni politiche, · e non sono mai sdrammatizzate, come invece converrebbe, presentandole per ciò che veraniente so110, comizi per provvedere i comuni e le provincie dei loro 12aturali amministratori. A noi sembra assai pericoloso questo costume invalso ormai da dodici anni nella politica italiana; e in confronto il fatto di tenere le elezioni per la Camera dei Deputati nel 1958 e quelle per il Senato nel 1959 ci sembra tutt'affatto innocente. E le cose appaiotio nella loro giusta luce, che è manco a dirlo una luce pessima, ove si rifietta che non si è neppure pensato di co1icentrare in una sola domenica ali'anno tutte le elezioni amministrative parziali, quelle che si tengono cioè in seguito a scioglimento dei consigli comunali o provinciali precedentemente eletti. Si giunge, e l'esperienza del 1957 non dovrebbe lasciare più dubbio alcu1io, ad avere certi periodi dell'anno punteggiati settimanalmente dai piccoli e meno piccoli guidizi di Dio nei quali si misurano governo ed opposiziotii, sì che il governo [6] BiblotecaGino Bianco

non governa e gli amministratori futuri discutorio di politica. Sarebbe assai opportuno stabilire una domenica sola in tutto l'anno per tale tipo di ele,zioni in niodo da ridurre il danno al minimo indispensabile. Così sarebbe opportuno far coincidere le elezioni regionali siciliane e sarde con quelle amministrative. E quanto all'altra questione, cui pure si accennava, di tenere ben distinte le ele.zioni amministrative stesse da qttelle politiche, sappiamo bene che non vi è legge che possa porre riparo a quella che crediamo una piega pericolosa ed innaturale delle cose: m.i ci sembra che già una maggiore prova di responsabilità da parte di quei democratici che veramente credono in questa fondamentale distinzione gioverebbe non poco. E potrebbe alla fine risultare perfino proficua sul piano elettorale. Quanto al problema specifico da cui abbiamo preso le mosse, al problema cioè del Senato, conviene tenere distinte, e ben distinte, le due questioni dello scioglimento anticipato e della riforma. Per ciò che riguarda lo scioglimento anticipato, noi non credianio che, in buona coscienza, ed esaminati tutti gli aspetti della faccenda, si possa essere ad esso favorevoli. 1./ argomento del costo delle eleziot1i, l'abbiamo già detto e lo ripetiamo ancora una volta, non è affatto decisivo: dopo tutto è dovere di uno Stato democratico assicurare ai cittadini l'esercizio del diritto del voto ed è ovvio che tale dovere dello Stato comporti anche un onere fina1l.. ziario. I costituenti che dotarono il nostro paese di un sistema bicamerale pensarono certaniente anche a questo e ritennero che il maggiore onere finanziario fosse co1ztrobilanciato ad usura da altri vantaggi del siste11ia medesimo. Di maggior peso sembra l'altra considerazione, che sarebbe cioè poco opportuno dal punto di vista della funzionalità dei governi tenere le elezioni del Senato ad un anno di distanza soltanto. Ma si deve tener presente che pei prossimi quarant'anni, e dunque -per otto e?ezioni al Senato e per nove alla Camera dei Deputati, questa eccessiva vicinanza delle elezioni capiterebbe in,· tutto tre volte: 1958 (Camera) .. 1959 (Senato); 1977 (Senato) - 1978 (Camera); 1988 (Camera) - 1989 (Senato); venendo a coincidere automaticamente nel 1983. Francamente tre volte in quarant'anni non sembra eccessivo. E del resto il danno che si paventa sarebbe ulteriormente ridotto se si accettasse di abbreviare la durata della campagna elettorale: durando quest'ultima non più di t1-11, me.se la paralisi che verrebbe al governo dai comizi in corso sarebbe minore. [7] BiblotecaGino Bianco

Ma la ragione fondamentale che suggerisce di conservare una diversa durata alle due Camere è ttn'altra: ed è cioè che, data l'attuale struttura· dei partiti itl Italia, dato il fatto che essi tendono senipre più a diventare delle formazioni rigide, co11 una disciplina interna abbastanza notevole, e dato altresì il fatto che il sistema di elezione dei senatori non diff erisce nella sostanza grandemente da quello per l'elezione dei deputaf,,i, a voler dare una pari durata alle due C.amere si frustrerebbe il principio della bicameralità. Il Senato diverrebbe un doppione della Camera dei Deputati. Allo stato attuale si ha a/,meno la possibilità che la Camera /llta rispecchi un'indicazione politica diversa da quella del!' altro braccio del Parlamento: e questa non è affatto una difficoltà di più per il ·Governo; o per meglio dire lo è, ma è anche una garanzia di più pei cittadini. Comunque ciò sia, se si accetta il pri1icipio della bicameralità, come a noi sembra si debba fare, se ne debbono accettare anche tutte le conseguenze. E queste conseguenze riguardano ovviamente il problema della riforma del Senato, che è stato· tanto dibatuto negli ultimi mesi. A noi sembra che si sia imboccata la via sbagliata, quando si è cominciato co12 l'aumentare il numero dei senatori eletti. Il principio della bicameralità suppone che si faccia il possibile per differenziare la struttura delle due Camere, per differenziare cioè il reclutamento di esse: e da questo punto di vista u1i Senato tutto elettivo non serve a niente. A noi sembra che in un Senato che voglia giustificare la sua esistenza non possono non essere immessi gli uomini dei grandi corpi dello Stato, no1i già come rappresentanti di categorie, ma come personaggi ragguardevoli per la competenza tecnica e meritevoli per aver spesa tutta la vita al servizio dello Stato. Gli altissimi gradi della magistratura, dell'insegnamento universitario, della burocrazia economica, delle forze armate, gli ex-giudici costituzionali, rappresentano la correzione naturale di un Senato meramente elettivo. Studiando opporturiamente i criteri di immissio1ie si avrebbe un gruppo omogeneo di <<competenze» che potrebbe re1idere in sede legislativa dei reali servigi al paese. In Italia si parla molto da una parte di attuazione della Costituzione e dall'altra dell'esigenza di rendere funzionali le strutture democratiche: a noi non sembra che in un caso illustre come quello recentissimo del Senato si sia fatta l'una cosa o l'altra, ma che si siano ridotte le questioni a puri giochi di eqitilibrio tra i partiti. [8] BiblotecaGino Bianco

INCHIESTE. Un "gruppo di pressione": La Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti di Giuseppe Ciranna Chi voglia stabilire un raffronto tra i gruppi politici italiani, per , valutarne il diverso grado di preparazione alle elezioni della prossima primavera, deve convenire sulla tempestività con cui lo schieramento cattolico, in tutte le sue articolazioni, sta mettendo a punto gli ingranaggi di una macchina complessa e vlariamente strutturata, che ha il fine di convogliare verso la D.C. il voto degli italiani di ogni ceto sociale. Una serie ininterrotta di convegni, di congressi, di riunioni di dirigenti, di adunate a tutti i livelli, ha già verfìcato, nei mesi scorsi, l'efficienza delle infrastrutture del partito di maggioranza. Di pari passo con la prepa• razione dell'apparato più specificamente politico, si è avuta la mobilitazione di quegli altri strumenti di agitazione ·e di direzione delle masse che sono sì un dato caratteristico della vi~a politica e sociale contempo .. ranea, ma che, per taluni aspetti, rappresentano u11 fatto peculiare della presente realtà italiana: le organizzazioni di categor~a con evidente impostazione ideologico-politica, le associazioni assistenziali di partito, o a carattere confessionale, che operano in concorrenza o in sostituzione delle . istituzioni civili, le falangi del laicato cattolico, i gruppi di pressione economica ·e le rappresentanze di settore, che, partecipando della classe dirigente al potere, svolgono, 11elsuo ambito, una accanita difesa di interessi e di posizioni, preoccupati altresì di assicurarsi, entro i quadri del par- • tito di maggioranza, un ruolo pre1ninente, o, quanto meno, di rilievo. Le cronache degli ultimi mesi, tuttavia, non hanno fatto registrare all'osservatore politico soltanto una prova dell'efficienza dello schieramento [9] Bibloteca Gino Bianco

di maggioranza: le vicende di questa fase preparatoria alle elezioni che sta per concludersi con la formazio11e delle liste dei candidati (operazione che, a quanto ha riferito la stampa di informazione, è quasi ultimata), hanno anche messo in luce come il peso dei gruppi cui abbiamo accennato più sopra - tanto come espressione di particolari interessi ideologico-politici, quanto come portatori di esigenze dei corpi sociali che diret- . tamente li esprimono - si sia accresciuto al punto da influire, a volte in maniera decisiva, sulle scelte e sugli indirizzi del personale politico. Con ciò non si vuol negare che la mediazione politica del partito, nello r scl1ieramento cattolico, non risulti ancor.a prevalente, proprio mercè di quel rafforzamento dell'apparato che è conseguenza del nuovo corso politico-organizzativo impresso dalla leadership del gruppo fanfaniano. Ma è evidente, d'altra parte, che, tanto nella elaborazione della piattaforma programmatica, quanto nella scelta delle candidature, diventa sempre pi~ alto il prezzo che il corpo politico democristiano, tutto teso a consolidarsi al potere, è costretto a pagare, in compromessi e concessioni, .ai movimenti fiancheggiatori. Dalle ultime vicende si può desumere la volontà delle ristrette oligar-- chie che organizzano i gruppi di interessi di contendere ai quadri politici, all'apparato, nell'ambito dello schieramento della maggioranza, una più cospicua rappresentativa sul piano del governo del paese (come nel Parlamento e nelle amministrazioni locali) e su quello della formazione degli org,anismi dirigenti del partito stesso. Questa tendenza aveva avuto già modo di manifestarsi nel corso della Legislatura che sta per scadere; oggi essa cresce in proporzione diretta al rafforzarsi dei gruppi anzidetti, e al loro istituzionalizzarsi nella vita sociale ed eco11omica del paese, per tanti versi di tipo corporativo; il che rende più che mai attuale in Italia il discorso sul fenomeno dei gruppi di pressione, (1) e dei loro rapporti con i quadri politici, con gli organi di governo e con le rappresentanze parlamentari, nonchè sul carattere che vanno assumendo nella particolare ( 1 ) Sull'argomento Nord e Sud ha pubblicato una nota di Vittorio De Caprariis (Sui gruppi di pressione, n. 25, Dicembre 1956), e un'altra di Giuseppe D'Eufemia (Aspetti' giuridici dei gruppi di pressione, n. 27). La rivista Occidente ha trattato della fenomenologia dei gruppi di pressione nel n. 2, d.el 1956, con scritti di De 1'1archi, H unt e Mackenzie. fIO] Bibloteca Gino Bianco

situazione italiana, la quale ha analogie, ma anche differenze assai notevoli, con quelle degli altri paesi dove i pressure groups hanno tradizio11e, cittadinanza democratica e perfino, in qualche caso, figura giuridica. Sotto questo aspetto ci sembra che il dato di maggiore interesse offerto dall'analisi del comportamento dei gruppi di pressione in Italia sia da riscontrare nella tendenza, d,a parte di alcuni di essi cl1e gravitano nell'orbita della maggioranza democristiana, ad accentuare la propria .fisionomia politica, a costituirsi quasi come centri politici .autonomi. E ciò non soltanto per i legami che vincolano gli aderenti alle loro dirigenze, per l'obbligo della disciplina di gruppo imposta agli organizzati (2 ); bensì, e ciò e meritevole di particolare attenzione, perchè assistiamo spesso al tentativo di dette dirigenze di elaborare una propria ideologia, mitica e rozza quanto si vuole, ma che giustifica un rapporto ben diverso con i quadri politici del partito da quelli che caratterizzavano, subito dopo il Congresso di Napoli, le relazioni tra l'ap1 parato fanfani ano e la schiera di coloro che si suole indicare come i vecchi notabili del centrismo popolare e degasperiano. Non v'è dubbio che il ca o della Confederazione Nazionale dei Coltivatori Diretti presieduta dall on. Paolo Bonomi si presenti, al riguardo, come particolarmente indicativo. Questa organizzazione, costituitasi nel novembre 1944, ha avuto inizi oscuri e incerti; fino al 1948 la sua forza sindacale e la sua capacità di pressione politica erano ancora modeste; m.a da quella data essa è venuta assumendo una importanza sempre maggiore 11ellavita politica e sociale del nostro paese; il suo peso attuale sulle gerarchie della D.C., nel mondo cattolico, nell'economia nazionale, nei più diversi settori agricoli, industriali, commerciali, negli Enti dell'agricoltura, nelle rappresentanze ammi11istrative e parlamentari, è davvero ragguardevole e non teme confronti con quello di altri gruppi. La solidarietà di struttura organizzativa della Confederazione, la quale è riuscita a stabilire una rete di controlli nei campi più diversi, conferisce al brai11trust << bonomiano », che presiede alle fortune dell' or- ( 2 ) In proposito potremmo ricordare significativi episodi della vita parlamentare. La riunione in gruppo dei deputati che si dicono espressione di questa o quella categoria, organizzazione, sindacato, è un fatto che rientra nella normalità del nostro costume parlamentare. [11] BiblotecaGino Bianco

ganizzazione, un posto a parte nel panorama dei gruppi dirigenti dell a Democrazi.a Cristiana. 01 pportunamente perciò la sua ascesa ha richiamato l'attenzione degli scrittori politici ed è al centro di una polemica che si svolge all'interno dello stesso partito di maggioranza (3 ); una polemica che investe i metodi che ne hanno consentito lo sviluppo e il ruolo che esso pretende di svolgere non solo nella ela·borazione dell a piattaforma programmatica, ma negli stessi orientamenti ideologici de l partito. A nostro parere, la fortuna della << bonomiana >> ( 4 ) pone altri problemi: in primo luogo quello dei rapporti tra i << gruppi di pressione>> e i partiti, e l'altro, ben più rilevante, del controllo che la collettività organizzata a stato avrebbe il dovere, oltre che il diritto, di esercitar e su organismi che pretendono ad una funzione pu,b~blicanella vita pol itica e sociale co11temporanea. Argomento, quest'ultimo, che da un rapido esame della composizione, delle dimensioni raggiunte, dei mezzi di pressione economica, ideo - logie.a e politica, dei rapporti con le strutture economiche del ·paese, de - gli effetti dell'azione della Confederazione dei Coltivatori Diretti, emerg e quanto mai evidente e pressante. La costituzione di una organizzazione autonoma di coltivatori diretti che comprenda i piccoli proprietari e gli altri lavoratori dell a terr,a non su'bordinati (mezzadri, affittuari, compartecipanti, ecc.) è un fatto recente nella tradizione sindacale italiana, e risale, come abbiamo ( 3 ) Si pensi alla critica rivolta contro l'attività e i metodi dell'on. Paolo Bonomi dalla corrente di Base della Democrazia Cristiana, e ai contrasti che hanno op·posto spesso la CISL alla Coldiretti, i cui echi non potevano non farsi sen tire all'interno del partito di maggioranza. ( 4 ) Ci capiterà sovente, nel corso di questa inchiesta, di usare il termine << bono• miano », per indicare il gruppo dirigente della Coltivatori diretti o i suoi aderenti; e ciò non tanto per ragioni di brevità, in sostituzione di una definizion e che sarebbe troppo lunga. Il termine fa parte orn1ai del nostro vocabolario poli tico, e l'usano di frequente gli stessi dirigenti della Confederazioné nei manifesti e nei giornali. Non è un caso che ciò si sia verificato. 11 settimanale della Sinistra democristiana Politica spiega il fenomeno col fatto che riesce difficile trovare << nell'atteggiamento politico della Confederazione un punto di riferimento abbastanza chia ro », e osserva che il costume invalso nelle stesse gerarchie della Coldiretti di usare q uesto termine, derivato dal non1e del loro principaìe esponente, è << un sintomo del clima politico che c'è dentro la potente organizzazione verde ». l12J Bibloteca Gino Bianco -~-~--~~~-~-~---------

ricordato, al 1944; prima di allora, nel periodo prefascista, il sindacalismo libero aveva trascurato, in un certo senso, la figura del coltivatore non subordinato, il quale, benchè si presentasse come uno dei protagonisti della vita nelle campagne, difficilmente poteva essere assimilato nelle organizzazioni classiste che assunsero, tra la fine del secolo scorso e gli inizi del Novecento, la tutela e la difesa delle masse agricole. È 11ota l'avversione dei sindacati socialisti per la piccola proprietà; e anche quando l'evoluzione delle campagne e la necessità di contrastare il proselitismo dei «bianchi>>, insieme con una più matura riflessione politica, imposero un avvicinamento ai problemi dei mezzadri e deglj affittuari, la Federterra non nt1trì mai soverchie simpatie per i piccoli proprietari (5 ). Diverso fu invece l'atteggiamento del sindacalismo cattolico, cui si devono numerosi tentativi, fatti nello stesso periodo, di dar vita a istituzioni solidaristicl1e (società di mutua assistenza, cooperative, associazioni, casse rurali, ecc.) tra quei piccoli proprietari, mezzadri e affittuari che rimanevano vicino all'ideale di una società cristiana, il quale dà risalto appunto .alla figura del piccolo proprietario, conduttore dell'azienda familiare di modeste proporzioni, ritenuta fondamento insostituibile di un ordine sociale perfetto (6 ); senonchè, pur dopo che le associazioni tra i piccoli produttori e le istituzioni economiche <<bianche» realizzarono le prime forme di collegamento, dapprima entro l'Unione economico-sociale dei cattolici italiani, e in seguito, durante la prima guerra mondiale, entro alcuni organismi nazionali (la Federazione dei piccoli proprietari, la Federazione dei mezzadri e piccoli affittuari, la Federazione dei lavoratori lagricoli), l'unita della categoria fu scarsamente sentita, e distinte nei metodi e nei fini rimasero le varie federazioni, come distinti erano gli interessi che muovevano i rispettivi aderenti. ( 5 ) Sull'evoluzione dell'atteggiamento dei socialisti nei confronti della piccola proprietà e della categoria dei coltivatori diretti nei primi decenni del secolo, cfr. Luigi Preti: Le lotte agrarie nella valle padana (Einaudi, Torino, 1955). ( 6 ) Si pensi al risalto che le encicliche pontificie a cominciare dalla Reruni Novarum, danno all'indirizzo del piccolo-proprietario che non era senza precedenti, come ha rilevato il Preti, nella storia della Chiesa. Sull'attività dei cattolici nelle campagne, sia nel campo della cooperazione che in quello delle associazioni profes• sionali, rimandiamo al citato vo]urne del Preti. [13] Bibloteca Gino Bianco

Il primo dopoguerra tuttavia fece registrare una notevole attività dei cattolici nelle campagne; specie dopo che, con la nascita del Partito popolare, venne fatta valere in sede politica l'esigenza della diffusione massima della proprietà contadina e si cominciò a considerare la condizione dei piccoli proprietari, dei mezzadri e degli affittuari, come bisognevole di assistenza. Dopo la caduta del fascismo sono ancora i cattolici che si mostrano più solleciti delle condizio11i e degli interessi dei piccoli proprietari e in genere dei lavo,ratori agricoli non subordinati; nasce così la Federazione (poi divenuta Confederazione) dei Coltivatori Diretti per -iniziativa di un gruppo di sindacalisti che sì raccoglie intorno al dr. Paolo Bonomi. Essa, come abbiamo già sottolineato, costitt1isce il primo tentativo di raggruppare, in un organismo autonomo, tutti i coltivatori diretti, sia proprietari che mezzadri ed ~ffittuari (7 ). È interessante notare che la situazione delle campagne e la configurazione dei ceti agricoli, quali si presentavano in questo seco.ndo dopoguerra che ha visto nascere la nuova organizzazione, er.ano ben diverse da quelle di 35-40 anni addietro. Senza addentrarci in un esame del processo evolutivo dell'agricoltura e della popolazione rurale in Italia, si impongono qui µ}cune osservazioni sulla situazione dei ceti rurali. Anzitutto va considerata la diffusione della piccola proprietà e, in conseguenza, l'aumento del numero dei piccoli proprietari; ma, dove i contadini non erano ancora entrati nel possesso della terra, si era sviluppato il sistema della conduzione familiare, con la fissazio11e sulla terra di contadini imprenditori legati a contratti agrari. La struttura dei ceti rurali, pertanto, aveva subito una modificazione profonda, mentre subivano ulteriore acceler.azione qt1ei fenomeni che avevano presieduto alla loro ( 7 ) Giova ricordare tuttavia che una Federazione Nazionale Fascista Proprietari e Affittuari Coltivatori Diretti era stata istituita con deliberazione del Comitato Corporativo Centrale il 9 aprile 1934, nel quadro della Confederazione fascista degli agricoltori. Detta Federazione, benché godesse di << autonomia >>, definiva già i limiti della categoria come verranno poi fissati dall'Organizzazione << bonomiana '>. Si veda in proposito la relazione del suo segretario dr. Attilio Cervi, al I Consiglio nazionale della Federazione fascista Coltivatori Diretti, in data 29 aprile 1936. . [14 l Bibloteca Gino Bianco

evoluzione, e traeva, dal clima del dopoguerra, nuovo impulso l'aspirazione dei ceti bracciantili al possesso della terra (8 ). La prevalenza dei coltivatori diretti quindi si presentava più netta cl1e in pass.ato, rispetto alle altre categorie rurali; ed è un ceto, questo dei coltivatori diretti, che la res,ponsabilità della conduzione dell'azienda e la diffusione dell'istruzione hanno reso via via più consapevole delle proprie necessità ·ed aspirazioni. L'idea dj riunire in un'unica organizzazione la mass~ dei contadini imprenditori, e di distinguerla dai sindacati dei lavoratori agricoli, s'accompagnò, d'altro canto, ad un'acuta intuizione della condizione dei ceti rurali dopo due guerre, varie crisi economiche e l'autarchia. La categoria dei coltivatori diretti resta poco definita da un punto di vista classista; la sua composizione è estremamente varia, e non b.asta a fissarne i caratteri il rapporto lavoratore-impresa contadina; il quale rapporto può essere di natura diversa se ci troviamo in presenza di piccoli proprietari o di mezzadri, fittavoli, compartecip,anti. Varia è anche la condizione dei contadini imprenditori da regione a regione, potremmo aggiungere da · paese a paese, per tradizioni, costumi, livelli di vita, istruzione professionale. Insomma, nella composizione di questo ceto si riflette il quadro complesso dell'Italia rurale, con i suoi mille problemi e le diverse realt~. P.arlare di unità della categoria, date queste condizioni, potrebbe sembrare azzardato; e del resto, i ceti contadini, ove si prescinda da quelli bracciantili, hanno sempre avuto scarse tradizioni sindacali e politiche, confusi tra la piccola ·borghesia e il proletariato rurale, partecipi a volta a volta dell'una e dell'altra; ma, fra tanta varietà di elementi e di aspirazioni, non è difficile scorgere alcuni interessi comuni a tutti gli ( 8 ) Dati sul moto di evoluzione delle èlassi contadine si trovano nel recente volume di Mario Bandini: Cento anni di stori·a agraria italiana (Ed. 5 Lune, 1957). Al censimento del 1951 la popolazione contadina è risultata così ripartita: condut 4 tori coltivatori (1naséhi), n. 2.275.000; coadiuvanti (maschi), n. 1.844.000; dipendenti (maschi), n. 2.005.000. _ Da recenti studi sui tipi di impresa nella agricoltura italiana, condotti sotto la direzione di Giuseppe Medici, è risultato che l'impresa contadina interessa ora circa il 50 % della superficie produttiva dei terreni di proprietà privata. (Impresa di proprietà cont.: 16 o/~; n1ezzadria: 17 %~ impresa capit. a sal.: 17 %; compart. in terreno non appoderato: 11 %). [15] · Bibloteca Gino Bianco

-imprenditori contadini, qualunque sia il rapporto con la terra, e indipendentemente dalle riven-dicazioni particolari (dei mezzadri, ad esempio, e, in genere, di coloro che sono legati a un contratto agrario). Sono gli stessi interessi che attengono dirett.amente alla economia dell'azienda: quelli, classici, dei rapporti col fisco, dei carichi tributari, del credito agrario, ecc.; altri che la crisi dell'economia agricola, l'ac.~ centuato interventismo statale e la politica di ammasso e di sostegno dei prezzi ha messo in evidenza. Bisogna dare atto al gruppo « bonomiano >> di aver intravisto come, facendo leva su questi interessi, si potesse costituire l'unità dei ceti co11tadini non subordinati, che altrimenti avrebbero disperso la loro forza in organismi sostenitori di rivendicazioni particolari, o sarebbero rimasti fuori dalla vita sindacale; perciò l'organizzazione precisò subito il suo carattere di << fronte >>degli interessi agricoli dei piccoli contadini << autonomi», differenzian,dosi pertanto dalle stesse tradizioni del sindacalismo «bianco>>. Né si deve inoltre dimenticare che già allora si acce11tuava quella intrinseca debolezza (o se più piace, quella crisi) della· economia agricola in una società., come quella italiana, in vi.a di ammodernamento che sarebbe venuta maggiormente in luce negli anni seguenti. Si manifestava quindi la necessità per i ceti agricoli di trovare un equilibrio e una difesa dei loro magri redditi negli interventi dello Stato. Si aggiunga che il rinnovato clima democratico rivelava l'aspirazione di tutti i ceti rurali a fruire di quelle forme assistenziali, assicurative, previdenziali che lo Stato moderno assicura ai lavoratori; e questa era una rivendicazione comune a tutti i coltivatori diretti, proprietari e non proprietari. Da queste sommarie indicazioni possiamo intendere meglio il dise- _gno che presiedeva alla costituzione del nuovo organismo: il quale intendeva, facendo leva sugli interessi comuni, diffondere una coscienza di categoria in ceti tradizionalmente disgregati, farli ,agire come forza sindacale corporativa che preme sullo Stato per ottenere delle provvidenze in cambio dell'appoggio politico che elargisce alla maggioranza di governo. In sostanza, si trattava di far partecipare in parte i piccoli contadini imprenditori ai vantaggi della politica di ammasso e di sostegno dei prezzi, ai contributi e alle facilitazioni statali che, sotto la spinta dei grossi interessi agrari, veniva da tempo elargendo la politica [16] Bibloteca Gino Bianco

agraria italiani; e si trattava altresì di estendere anche ai piccoli imprenditori contadini quelle forme assistenziali di cui già fruivano le categorie di lavor,atori su·bordinati. La nuova situazione e l'evoluzione delle campagne, facendo registrare un indebolimento dei maggiori interessi agrari, favoriva questo disegno di dilatare alcuni ·privilegi a quei ceti contadini imprenditori che si venivano sos_tituendo progressivamente, o entrav~no in concorrenza, con la classe dei vecchi agrari (9 ); e ancor 1 piu lo favoriva il programma economico-sociale della De1nocrazia Cristian.a, volta a determinare, con la sua azione, una struttura agricola più co11forrrìeai suoi ideali e interessi politici. A questo punto si comprende facilmente come la fortuna della Democrazia cristiana, divenuta l'asse di ogni formazione governativa, sia stata la condizion.e principale che ha determinato ancl1e il successo della nuova organizzazione dei coltivatori diretti: la quale aveva 'bisogno, per con~olidarsi, di dimostrare la propria capacità di pressione sul governo, perchè questo consentisse a piegare alle nuove esigenze gli strumenti di manovra nel campo agricolo che la •politica dei precedenti regimi aveva approntato, magari a favore di interessi più ristretti. Riasst1mendo, ci sembra di _poter f.are alcune constatazioni preliminari circa la natura e la composizione della Confederazione dei Coltivatori Direttì, quali si manifestarono sin dal suo primo apparire. Superando gli schemi del sindacalismo prefascist,a, essa riuniva i11 un unico fronte tutti i lavoratori agricoli non su·bordinati; all'attività di tipo solidaristico della tradizione « bianca >> preferiva la pressione frontale sullo Stato, dispensatore di privilegi e di provvidenze; l'inserimento della categoria nelle maggioranza ·governativa veniva prospettata come co11dizione necessaria per partecipare, attraverso l'organizzazione, al controllo di quegli organismi mediante i quali si estrinsecano gli interventi sta- ( 9 ) È interessante notare come il maturare della consapevolezza del mutamento .avvenuto nella struttura dei ceti agrari abbia influito sull'evoluzione dei rapporti tra Coldiretti e Confida. Le due organizzazioni cercarono in un primo tempo di fissare, tramite accordi, i limiti delle rispettive sfere di attività; denunciati gli accordi (cfr. Il Coltivatore, I maggio 1945), i d~e organismi hanno potuto fare causa comune in più occasioni, a patto che si riconoscesse alla << bonomiana » una posizione di preminenza (ad es., nei Consigli di amministrazione dei Consorzi agrari). fl7] Bibloteca Gino Bianco

tali nell'agricoltura. Nell'analisi dello sviluppo organizzativo della Confederlazione avremo poi necessità di fermarci su altre constatazioni: sull'emergere, ad esempio, di un brain trust che mortifica le aspirazioni democratiche degli organizzati, e sulla conquista da parte di questo gruppo di una posizione di primo piano nella vita politica, grazie appunto al controllo che è riuscito a stabilire sulla categoria. I primi passi della Confederazione dei Coltivatori diretti rivelarono su'bito un contrasto di fondo tra le forze politiche che avevano partecipato alla ricostituzione della C.G.I.L.. Da un lato, i socialcomunisti ricercavano la solidarietà del mondo contadino alle •rivendicazioni della classe operaia (10 ), dall'altro, i cattolici, creando una organizzazione pUtonoma di coltivatori diretti (sembra per suggerimento del gruppo gronchiano), rivendicavano libertà di azione in un settore dove avevano registrato, in p,assato, notevoli successi politici e organizzativi. Non v'è dub·bio che, insieme con l'aiuto del partito, del resto ai primi passi, e la mobilitazione delle parrocchie, le preoccupazioni operaistiche predominanti nella C.G.I.L. facilitarono il compito degli organizzatori della « Coldiretti ». Vale anzi la pena di ricordare che nella stessa C.G.I.L. - in un periodo in cui l'evasione all'ammasso e la borsa nera era rinfacciata ai contadini dagli operai consumatori - i piccoli agricoltori, i piccoli proprietari e gli affittuari che si era riusciti a inquadrare nella risorta Federterra rimanevano fatalmente in posizione subordinata; gli stessi tentativi dei sindacalisti di sinistra, di far leva sulle rivendicazioni dei cont~dini senza terra e degli affittuari e compartecipanti che aspiravano alla modifica dei patti agrari, predisponendo, dal governo, una serie di provvedimenti che valessero a conciliare i favori del mondo contadino di cui allora facevano parte, (si pensi ai decreti Gullo), ben presto dovevano venire contenuti dalla concorrenza che, dal governo, di cui in seguito la sinistra non faceva più parte, e attraverso tm'azione diretta di proselitismo nelle campagne, seppero opporre i cattolici. I quali, come abbiamo già avuto occasio11e ( 10 ) I coltivatori diretti di orientamento socialcomunista vennero inquadrati nella Associazione Nazionale dei Coltivatori diretti, facente capo alla Federterra. Dopo il '50 fecero la lo~o apparizione nel Mezzogiorno le Associazioni contadine che, promosse dai comunisti, si presentavano come <<autonome» rispetto alla C.G.I.L. [18] Bibloteca Gino Bianco

di rilevare, agivano su un terreno tendenzialmente favorevole; e risultavano vieppiù avvantaggiati dopo che, succeduti ai comunisti -al Ministero dell'Agricoltura, poterono disporre di quelle leve che consentono una influenza decisiva sul mondo contadino (si ricordi che il P.P.I., nell'altro dopoguerra, fece di tutto per accaparrarsi la direzione del Ministero dell'Agricoltura, dove infatti i suoi uomini, Micheli, Mauri, Bertini, rimaser.o dal 21 Marzo 1920 fino all'ottobre 1922, nel tentativo di varare, stando al governo, una legislazione a favore delle categorie contadine, in modo da orientarle più decisamente e largamente verso le organizzazioni cattoliche). Nel processo di sviluppo della << Coltivatori Diretti» vanno considerati quindi alcuni fattori che ne agevolarono la penetrazione nel mondo contadino: l'appoggio politico della Democrazia Cristiana, le preoccupazioni operaistiche predominanti nella C.G.I.L., le condizioni - già ricordate - dell'agricoltura nell'immediato dopoguerra. Giova, a questo punto, rilevare che l'organizzazione - sorta al centro, in seguito ad una decisione che impegnava la reS'ponsabilità politica del partito democristiano, il q11ale intendeva riprendere in un certo senso la tradizione del sindacalismo cristiano-sociale e del P.P.I. - ben presto venne sotto il controllo di un gruppo di dirigenti che poco avevano a che fare col sindacalismo popolare; e i cui legami col mond.o cattolico erano piuttosto tenui: sono gli uomini che si raccolsero intorno al dr. Paolo Bonomi, non pochi dei quali provenivano dalle file del sindacalismo fascista, e che potevano vantare una esperienza organizzativa recente, oltre ad una conoscenza degli ingranaggi della macchina statale, così come si era trasformata negli anni della politica corporativa. E non va nemmeno trascurato il fatto che i sindacaiisti cattolici di vecchia tradizione, tendenzialmente orientati verso sinistr,a, pref eriro110 lavorare nei sindacati unitari, non nascondendo, verso il nuovo or_ganismo, un certo atteggiamentc> di diffidenza .. Gli uomini della « Coldiretti 1> ' sono davvero << n11ovi » per la maggior parte, estranei per origine e per · mentalità sia al moderatismo cattolico che al sindacalismo cristiano - s.ociale. I Il· gr11ppo << bonomiano » riteneva, dell'esperienza del Partito Popolare, q11el tanto che potesse giovare nella situazione in cui doveva ora operare: che i contadini, cioè, hanno bisogno, 11ella vita econon1ica e [19] Bibloteca Gino Bianco

sociale degli stati moderni, di una rappresenta11za diretta in seno al governo. Vennero sfruttate quindi le difficoltà di approvvigionamento dei mangimi, delle seme11ti, dei concimi, ·per creare t1na organizzazione capillare, estesa a tutto il paese. In un periodo di contingentamenti e di scarse disponi1 bilità di beni d'uso, i contadini seguivano chi riusciva ad assicurare loro quei prodotti di cui avevano più urgente bisogno per se stessi e la co11duzione dell'azienda. Non è su·perfluo ricordare che il sistema vincolistico, introdotto nella vita economica italiana e che si accentua nei periodi di crisi, facilita la nascita di organismi di questo tipo: la mancanza di un libero mercato obbliga infatti gli agricoltori ad irreggimentarsi per godere dì alcuni vantaggi indipendentemente dalle proprie convinzioni ideologiche e simpatie politiche. Nella prima fase della sua attività, e per tutto il 1945, la Confederazione dei Coltivatori Diretti si preoccupa da accaparrarsi, sulle assegnazioni ministeriali, la massima dispo11ibilità di anticrittogamici; e istituisce addirittura una << branca commerciale » che ha lo scopo << di concentrare il più possibile gli ap1 provvigionamenti interessanti la categoria, per no11 perdere i vantaggi economici che ovviamente si ridurrebbero tanto più quanto maggiormente venissero spezzettati gli acquisti >>; le operazioni di questa branca che dovrebbero estrinsecarsi, oltre che nel settore delle assegnazioni e distribuzione di materie contingentate, anche in quello produttivo, delle vendite collettive, dei trasporti, degli scambi (concimi, scarpe, tessuti, sacchi, materiali agricoli, mangini, semi, ecc.), vengono fatte rientrare nella << attività ,assistenziale-commerciale di approvvigionamento>> (11 ). Intanto si venivano determìna1ìdo le strutture orgatìizzativeJ e si precisavar10 meglio la piattaforma programmatica e gli orientamenti politici e sindac,ali, che vennero illustrati ·p11b•blicamente nel I Congresso Nazionale, che si tenne a Roma dal 13 al 15 Novem·bre 1946, e su cui gioverà soffermarsi, perché esso offre u11 campo di osser•· vazione estremamente interessante. Il carattere di << fronte >>degli interessi agricoli, più che di organismo sindacale) assunto dall'org,anizzazione, si ricava da una << premessa al Cortgresso » che costituisce una enunciazione di programmi. In essa ( 11 ) In questi termini venivano illustrate nel 1945 le iniziative economiche alle organizzazioni periferiche. [20] BiblotecaGino Bianco

è detto che la Confederazione dovrà allargare la sua attività provvedendo all'inquadramento e alla tutela di quei piccoli affittuari e di quei piccoli ·proprietari che, pur non coltivando il fondo manualmente, conducono un'azienda di modeste proporzioni e tend.ono a differenziare la loro politica economica e sindacale da quella delle grandi e medie imprese agricole. È {acile qui rilevare che siamo già al di là della categoria dei lavoratori agricoli << non subordinati >>; del resto il dr. Bonomi, parlando al Congresso e soffermandosi sulle prospettive di ulteriori progressi della organizzazione, si giustifica delle deficienze attuali ricordando come << all'inquadramento totalitario della categoria, per tanti versi indispensabile, non si perverrà finchè il Parlamento, attuando le disposizioni della Costituzio11e, non avrà dato all'Italia il suo nu.ov.o ordinamento sindacale». Il che è davvero rivelatore di una mentalità: il gruppo ·bonomiano intende giungere ad un inquadramento coatto del'la categoria, in forma chiusa e rigida; e in questo senso interpreta l'ordinamento sindacale di cui stanno discutendo i costituenti, e cl1e dovrebbe servire a tutelare l'unicità della ra·ppresentanza dei coltivatori diretti. Ma questo primo congresso è importante anche perché definisce i caratteri della categoria e pone con chiarezza il problema della sua collocazione sindacale e politica. I coltivatori diretti, si afferma, s0110 imprenditori i cui redditi sono ,anche redditi di lavoro, e i cui interessi possono coincidere o discostarsi di volta in volta da quelli degli agricoltori, o dei lavoratori; har1no quindi bisogno di una Confederazione autonoma, distinta dalla Confida e dalla Confederterra, e che consenta, perciò, una politica duttile e realistica. Respingendo la confusione del sindacato unitario dei lav.oratori, di cui fanno parte anche i cattolici, il gruppo << bonomiano » sottolinea l'utilità di sottrarre la categoria ad altre influenze politiche, di farne una riserva 1 per i <:iattolici,ed intravvede i motivi permanenti che opp.ongo110la classe dei piccoli imprenditori agricoli ai ceti 1 bracciantili e oper.ai: la Federterra - esso afferma - in quanto agisce nell'ambito della C.G.I.L. resta subordinata in u11 sindacato che farà in modo prevalente gli interessi dei ceti industriali e ( 12 ) Allo scopo di ottenere ciò, un accordo era stato stipulato con la Confida il 10 Ottobre 1946 (cfr. Il Coltivatore, del 16 ottobre 1946). [211 Bibloteca Gino Bianco

cittadini; i contadini vogliono prezzi remunerativi e li1 bero commercio, mentre i ceti cittadini vogliono ammassi, vincoli, blocchi, calmieri, prezzi di imperio a tutela dei consumatori. Questa presa di posizione a favore della tendenza dei ceti agricoii favoriti dalla congiuntura a vendere_, 11ell'i1nmediato dopoguerra, senza vincoli e senz.a obblighi verso gli ammassi (i prezzi li'beri erano allora favorevoli ai contadini data la crisi dei prodoti agricoli che costringeva a mantenere una politica di ammassi a tutela dei consumatori, dei ceti cittadini e operai) sarà poi co.ntraddet~a dagli orientame.nti futuri della << bonomiana », quando della politica di ammasso a sostegno dei prezzi agricoli essa farà il motivo centrale della sua agitazione (e della su,a fortuna): ma .nel 1946-47 u11a tale indicazione, insieme con l'attività coni~ merciale-assistenziale di cui abbiamo parlato, era url potente richiamo per i contadini, i quali scontavano sul piano deile reazioni psicologiche l'ostilità delle altre classi sociali. Gli altri problemi posti al I Congresso della « 1 bonomiana » hanno perciò mi11ore rilevlanza; patti agrari, equo fitto, giusta causa, aggiornamento e potenziamento dell'istituto della mezzadria, i problemi classici dei contadini imprenditori, sono problemi òi fond•o che conviene agitare in concorrenza con la centrale sindacale dei lavoratori, la qt1ale sta facendo proseliti tra i mezzadri e gli affittuari. Di fatto, i motivi più producenti sono quelli che si rivolgono alla insofferenza dei produttori per i cep·pi del vincolismo economico e la disciplin.a di ammasso dei cereali, dei grassi animali e vegetali, delle bietole, ecc. Il programma della Confederazione cl1iede quindi la liquidazione degli Enti economici dell'Agricoltura, la costituzione di organismi consortili e cooperativi per la tutela tecnico-economica della proìuzione e una intensificazione dei rapporti con i consorzi costituiti in base alla legge del '33; mentre si prendeva atto con s.oddis{azione dei buoni rapporti già stabiliti con l'Ente Nazionale Risi, l'Associazione Bieticultori, l'Associazione Allevatori, il Consorzio Canapa, ecc. Circa i Consorzi Provinciali Agrari, la Confederazione ha u~a rivendicazione fondamentale da avanzare: la riforma dei Consorzi che ormai non è più dilazionabile dovrebbe sancire il diritto dei diretto-produttori a control-• lare questi .o altri Enti analoghi, senza ingerenze statali che non siano di mera sorveglianza. Da questa breve esposizione di problemi e di programmi presentati [22] Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==