ma deve spostare le sue argomentazioni su un piano più generale. Cosicchè gli anti-europeisti danno un'impressione di concretezza, che è invece puramente .fittizia, allo stesso modo che la necessaria astrattezza degli europeisti contiene una maggiore dose di realismo di quanto non appaia a prima vista. Che è poi i~ conflitto eterno tra i conservatori e gli innovatori. Tuttavia, i recenti esperimenti di integrazione economica in Europa, ed in particolare il Benelux e la CECA, cominciano a consentire agli e11ropeisti, sia pure in via approssimativa, di sostanziare le argomentazioni di logica astratta e le professioni di fede con argomenti tratti dall'esperienza storica. La lezione delle cose permette la confutazio11e di certe tesi nazionalistiche: di fronte all'evidenza dei fatti, gli europeisti possono già rivendicare il loro realismo, provando l'astrattezza dei nazional-conservato~i. Uno degli argomenti dei critici della « piccola Europa » è che le eco11omiedei sei Paesi non sono comple!Ilentari, ma concorrenti; e che per conseguenza la nuova Comunità non si realizzerà integrando economie diverse, ma provocando gravi crisi di adattamento dopo glì immancabili conflitti tra i sistemi procluttivi dei Sei. A questa preoccupazione gli europeisti replicano normalmente a.ffermando che la visione della complementarietà delle economie è profondamente influenzata da una concezione autarchica, poichè insegue il mito del1' autosufficienza. E lo scopo fondamentale di un'economia moderna non è l~autosufficienza, ma la razionalizzazione. Nemmeno gli Stati Uniti sono autosufficienti e sempre meno lo saranno con il passare degli anni. Il fine che, in quanto europei, dobbiamo perseguire, integrando le nostre economie, non consiste nella creazione di un'area economica autarchica, ma nella massima modernizzazione e razionalizzazione possibile del nostro sistema pro- <l uttivo. Si tratta, cioè, di aume11tare la produzione, riducendo i costi, di migliorare i salari per elevare i consumi, mentre l'aumento dei consumi dovrà garantire a sua volta nuovi impulsi produttivi. Per realizzare questi obiettivi di razionalizzazione produttiva, non è necessario produrre in Europa tutte le materie prime, dal grano al petrolio, dal ferro all'uranio, ma occorre esportare abbastanza per poter poi bilanciare le spese rese indispensabili dalle importazioni. L'Europa 1111itac, ioè, non dovrà sbarrare le sue frontier~, ma aprirle quanto più le sarà possibile (e tenendo conto, naturalmente, della prima fase - certo non breve - di adattamento\ perchè la sua esi- [21] Bibloteca Gino Bianco
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