superficiali, cioè quelli psicologici, sentimentali, i momenti umanamente difficili che un grande fenomeno economico-sociale porta ineyitabilmente con sè. E di questi non esita a servirsi come di argomenti a difesa dello statu quo, attitudine in cui non può esserci nemmeno l'egoistica consapevolezza di difendere in tal modo i propri particolari interessi, ma v'è solo l'oscuro sospetto che da cosi imponenti trasformazioni possa nascere, alla lunga, un diverso assetto umano, sociale, culturale, politico della collettività italiana. Solo questo istinto irrazionalmente conservatore può spiegare l'ostilità con cui guarda all'esodo rurale una parte rilevante della classe dirigente italiana, la quale, al tempo stesso che chiede la riduzione di alcune tradizionali produzioni agricole, e invoca la più ampia libertà d'azione per l'iniziativa privata confindustriale, vorrebbe perpetuata nella campagna italiana quella condizione di arretratezza e inferiorità in cui essa si trova principalmente per effetto dell'eccessivo carico demografico. Questo istinto conservatore non è, d'altronde, prerogativa della sola classe dirigente economica, sicchè non si fa fatica a prevedere che anche per quei democristiani i quali - tanto per non uscire dal loro campo - hanno fatto proprie le tesi che il sen. Medici divulgò già anni addietro in un suo apprezzato studio, sarà dura impresa tentare di convertire il mondo cattolico ufficiale ad una visione più realistica dei problemi della campagna e dell'agricoltura. Sarà necessario probabilmente, che molta altra acqua passi sotto i ponti prima che partiti, giornali e opinione pubblica in genere vengano acquisiti ad una visione moderna e res,ponsabile della questione dell'esodo rurale, Una questione che, innanzitutto, va vista sul piano nazionale, e anzi europeo, e i cui dati e termini sono da controllare e mettere al corrente con impegno continuativo, anche perchè non ci si può rifare eternamente alle previsioni dello schema Vanoni, quasi fossero valide una volta per sempre. E per quanto riguarda il Piemonte, è ·opportuno che si arrivi il più presto possibile a considerare i .fenomeni dell'esodo rurale e dell'inurbamento in una prospettiva regionale, che li ponga in organica relazione col problema dell'ulteriore sviluppo economico di tutto il territorio. Occorre infatti avere le idee molto chiare su q·uelle che saranno nei prossimi anni le possibilità di assorbimento di emigrati rurali, piemontesi e di altre regioni, nelle attività secondarie e terziarie del Piemonte; e quindi sull'entità d_ell'aliquota di popolazione contadina che dovrà essere invece incoraggiata e convenientemente preparata ad espatriare. Sarebbe il caso, in- [93] Bibloteca Gino Bianco
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