cazione urbanistica, ma accompagna questa sua op1n1one con due precisazioni. In primo lu·ogo già Howard parlava di città-giardino che, raccoglie11dosi i11unità piì1 vaste, potevano accogliere in complesso centinaia di migliaia di abitanti; non ha senso quindi accusare i fautori della città-giardino di voler polverizzare la struttura urbana: al contrario essi vogliono impedirne l:1 distruzione e il crollo per eccesso di dimensioni. In secondo luogo il decentramento urbano ha un senso soltanto nell'ambito della pianificazione regionale e in quello di uno Stato capace di pianificare: al di fuori di questo, anche la città-giardino può essere un elemento di confusione. Le risposte del Mumford non sembrano però aver convinto tutti gli arcl1itetti e urbanisti prese11ti al Ridotto. E questo è in parte comprensibile, perché in Italia le tesi del decentramento sono servite soprattutto a giustificare l'insediamento cc sparso » (malfamato, ma non ancora 1nolto) propugnato da taluni enti di riforma, e non hanno avuto alcuna seria applicazione nelle grandi città, alle quali esse propriamente vanno riferite. l\1a, se in Italia decentramento ha significato polverizzazione) questo equivoco non giustifica la polemica co11tro il decentramento urbano rettamente inteso: può darsi che polemizzare sia utile in Inghilterra, ma non certo da noi che conosciamo solo l'espansione delle città {(a macchia d'olio » e ignoriamo decentramento e pianificazione regionale. Più legittimo è dire cl1e la tesi del Mumford richiede una più precisa articolazione se deve verame11te operare nella effettiva attività urbanistic;J. La sua efficacia di mito per il rinnovamento sociale può essere anche il suo . limite: affermare e credere semplicemente che la città-giardino renda l'uon10 cc più umano », può non convincere ed anzi se11z'altro dissuadere i cauti e gli scettici, se non si prova insieme cl1e essa è economicamente più conveniente. Ma in proposito, specialme11te in Italia, esistono soltanto supposizioni e dati sparsi, mentre mancano analisi complessive e adere11ti alla realtà economica. Sappiamo che l'espansione a macchia d'olio impedisce una razionale utilizzazione delle aree edificabili, dà un eccessivo valore a una parte delle aree edificate rendendo difficile o impossibile il necessario rinnovamento edilizio e urbanistico, accresce infine il costo dei servizi; e sappiamo anche cl1e la città a macchia d'olio, con forte concentrazione industriale rispetto al resto d'un paese o d'una regione, è conseguenza, dopo la seconda rivoluzione industriale, di inefficienza tecnica e di depressioni economiche. Tutto ciò lascia credere che le città a struttura decentrata nell'ambito di piani regi,Jnali, e in una prospettiva di sviluppo, siano più co11venienti economicamente: c'è da augurarsi che studi comparativi su questo problema scaturiscano dalle discussioni che si vann·o ora facendo intorno ai primi esperimenti italiani di <e città satelliti » • Tl_iLLIO DE MAURO [57] BiblotecaGino Bianco
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