esaurito la sua efficacia, come da qualche parte si va dicendo, o no: su questo punto si è aperta la discussione nel corso di u11a conferenza che Le,vis Mumford ha tenuto a Roma, ai primi dello scorso giugno, al Ridotto dell'Eliseo, per invito dell'Istituto nazionale di urbanistica. Veramente non era questo inizialmente l'oggetto della conferenza, con la quale il Mumford intendeva piuttosto esporre in sintesi alcune idee sulla « condizione dell'uomo », quasi a presentare il suo libro che appare ora in Italia con questo titolo, presso le edizioni di Comitn,ità che gii curarono l'altra opera fondamentale del Mumford, « La cultura nelle città ». L'uomo, secondo il Mumford, non si è interiormente trasformato rispetto all'età primitiva: la barbarie si è meccanizzata, rimanendo 11ondimeno barbarie. Agli esseri divini, così come furono concepiti nella preistoria, l'uomo ha saputo strappare taluni poteri, ma non la loro perfezione morale e l'infinita saggezza. Questo squilibrio tra arcaicità morale e culturale e possibilità tecniche dà facile adito al rinnovarsi della barbarie e, forse, alla totale distruzione. L'uomo può oggi sopravvivere solo se saprà costruirsi un ambiente che lo renda « più umano». Queste idee non sono nuove nel loro intrinseco: nuova è però la efficacia che esse mostra110 come occasioni di ricerche storiografiche, e nuovo è il rigore con cui ad esse si attiene il Mumford nella sua pratica attività di urbanista. E proprio in virtù di questo rigore la discussione che è seguita alla conferenza non è stata vuota e ge11erica, ma si è fatta concretamente tecnica. Poiché secondo il Mumford l'ambiente urbano più adatto ad una umanità veramente e finalmente moderna è quello della città decentrata, costituita da un assieme di città-giardino, su questo punto si è accesa la discussione. Contro il decentra1nento urbano si è levata di recente una violenta polemica, nata proprio nel paese che più vastamente l'ha realizzato, cioè in Inghilterra. In un recente numero speciale l'Architectural Review) uno degli organi più autorevoli dell'architettura internazionale, ha sostenuto che jl decentramento propugnato dall'urbanistica più avanzata del N·ovecento conduce alla creazione di una realtà i11forme, la « subtopia », che non è più campagna e non è ancora città, socialmente disarticolata ed economicamente non conveniente per l'eccessivo costo dei servizi e la cattiva utilizzazione delle aree. La polemica è stata rapidamente fatta propria dagli urbanisti italiani, troppo rapidamente, forse, se si pensa che è mancata nel nostro Paese ogni seria esperienza dì decentramento urbanistico e che quindi si rischia di « superare » quel che non si è mai sperin1entato; comunque essa ha ispirato le obiezioni mosse al Mumford dopo la sua conferenza. Lewis Mumford non sembra scosso da questa polemica. Egli crede che la città-giardino sìa ancora, in genere, il più moderno strumento di pianifi- [56] BiblotecaGino Bianco
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