(dove essi sono attualmente in qualità di « advisers »), nella magistratura (quasi tutti i magistrati del 'J"'ribunale e della Corte Suprema, nonché della Corte Federale di Asmara, sono stranieri), nelle professioni e nelle attività commerciali e industriali finché ne saranno capaci. Finora alcuni elementi locali hanno conseguito lauree e titoli professionali press·o università e scuole superiori straniere, anche italiane: è senza dubbio possibile che essi siano capaci di prestazioni professionali, ma è pure certo che la sostituzione degli eritrei agli stranieri in ogni campo della vita statale sarà lenta e difficile, perché essi sono giunti all'indipendenza senza passaggi graduali, dallo stadio di colonia di una potenza europea che non aveva creduto di preparare in loco una classe almeno entro certi limiti dirigente; e quindi vanno facendosi a p·oco a poco e faticosamente la loro esperienza. Interesse dunque di trattenere gli stranieri, ma limitato al tempo necessario per sostituirli, e in una situazione economica che va inesorabilmente restringendosi. Donde co11segue che per gli stranieri, e in particolare per glr italiani, la possibilità di occupazione in Eritrea è in costante diminuzione. Specie se si intende parlare di « nuova immigrazione », cioè di possibilità di lavoro e di nuove occupazioni per operai in senso stretto. Il mercato non può più assorbire lavoratori non qualificati, anzi ne abbonda. Parecchie imprese italiane sostituiscono a volta, in base al più rigido criterio economico, parte della manodopera italiana con manodopera eritrea. F·orse un limitato numero di lavoratori specializzati, e altamente specializzati, potrebbe tuttora trovare lavoro. Ma il mercato vi provvede ugualmente, con intercambi di occupazioni, con i pochi elementi disponibili e anche con una certa inventività. Il non incoraggiare l'ingresso di manodopera straniera corrisponde del resto, per quanto si è detto, al più rigido criterio di condotta delle autorità eritree di immigrazione, che sono estremamente restie ad accordare visti di ingresso e di soggiorno nel territorio federale ai lavoratori stranieri. MARIO BINI Muroford a Roma Il motivo del ritorno alla natura an11uncia, nell'Inghilterra settecentesca, la prima età roma11tica: un secolo e mezzo più tardi, alle soglie della seconda rivoluzione industriale, esso riaffiora nello spirito tardo-romantico che induce Ebenezer Howard a formulare la teoria della città-giardino. È llna teoria per molti aspetti mitica, una « generosa utopia », come l'ha definita di recente Bruno Zevi su « L'Espresso » pur riconoscendo che essa l1a animato l'urbanistica del Novecento. Tuttavia, occorre vedere se essa ha [55] Bibloteca Gino Bianco
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