o quasi di quelle di casa propria. Anche . . costoro tuttavia, pur senza essere messi eccessivamente alle strette, dovrebbero confessare che di storia degli Stati Uniti, almeno, ben poco sanno; un'ignoranza che, salvo che per qualche framn1entaria notizia, per lo più distorta, sulla formazione dell'Unione federale e sulla guerra di secessione, può dirsi pressoché assoluta. Né potrebbe essere del resto altrimenti, data la notevole scarsezza di lavori sull'argomento a disposizione del lettore italiano, specialinente quando si voglia uscire dal -cerchio, invero anch'esso assai ristretto, delle opere di carattere generale e rias- -sunti vo . Ma anche presso il pubblico più spe- .cializzato i prodotti della storiografia americana sono di solito poco più che igno-· rati, un atteggiamento questo che è di solito avallato dalht convinzionL~ che in realtà, in questa storiografia, ben poco ci sia di buono, che meriti comunque che vi si dedichi sia pur qualche ritaglio di tempo. Quanto tutto ciò sia effettivamente giustificato, non è qui il caso di discutere, per quanto sarebbe una questione che non mancherebbe certo di fascino. Come che sia, direi ad ogni modo che il libro che è qui in questione offre una testimonianza di maturità storiografica che non ha certo troppo da invidiare alla vetusta tradizione . europea in questo campo. Per quanto l'opera porti il sottotitolo << Da Bryan a F .D.R. >>, essa si riferisce direttamente soltanto a quel trentennio a · cavallo dei due secoli che fu caratterizzato dal movimento populista prima, dal progressismo di 1"1heodor Roosevelt {X>i; mentre il New Deal e l'epoca del secondo Roosevelt sono trattati non di per sè, ma solo nella loro relazione storica ·con i due movimenti di riforma sopra menzionati. Il populismo, che trovò il suo massin10 rappresentante in Bryan e che finì con l'essere sostanzialmente assorbito dal partito democratico una volta che lo stesso Bryan ne divenne il capo legittimo e riconosciuto, presentandosi per ben tre volte, consecutive ed infruttuose, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, fu in larga misura l'ultimo tentativo della classe rurale americana di reagire alla sempre crescente e sempre più schiacciante preponderanza politica ed economica, dell'industrialismo urbano e, al tempo stesso, di riaffermare, sul piano teorico e per così dire sentimentale, l'antica tradizione je[- f ersoniana della supremazia etica della civiltà agraria su quella commerciale e industriale accentrantesi nelle città. Il mito agrario, con la sua concezione di una società veramente libera e democratica solo possibile là dove prevalesse un sistema sociale fondato sulla piccola proprietà terriera e dove la città con il suo pericoloso dinamismo economico e sociale, fosse n1antenuta in condizione d'inferiorità o per lo meno d'impotenza a nuocere, ha sempre avuto, fino a questo secolo, una notevole influenza sul pensiero politico americano. E se la costituzione del 1787, come è stato dimostrato sopra tutto da Charles Beard nella sua opera forse più nota, A n econoniic interpretation of the Constitution of the Unihted States, rappresentò l'innegabile vittoria dell' elemento commerciale e industriale cittadino sugli interessi della proprietà terriera e specialmente sul piccolo << farmer » indipendente, quest'ultimo si prese ben presto la sua rivincita con J efferson prima e JackBiblotecaGino Bianco f116]
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