Nord e Sud - anno IV - n. 32 - luglio 1957

Rivista mensile · diretta da Francesco Compagna ANNO IV * NUMERO 32 * LUGLIO 1957 .. Bibloteca Gino Bianco

Avete provato a scrivere sulla Lettera 22? Uno strumento energico e veloce scatta ad allineare le parole; e le imprime con la nitidezza che si richiede ad . . un pensiero preciso. Avete provato a sollevare la Lettera 22? Un dito la trasporta, ogni angolo del tavolo e della casa può diventare il suo, si sposta con facilità da una stanza all'altra, viaggia con voi. modello LL lire 42.000 + Lo.&. Nel negozi Ollvettl ed In quelli di macchine per ufficio, elettro• domestici e cartolerie. Olivetti Lettera 22 Bibloteca Gino Bianco ··•• ,ét{%!{3];}Jt;'.I!. · f;;.~·~w..ms-:m~

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna • I Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3 J / Giuseppe Galasso Elena Craveri Croce Renato Giordano ~.d.R. A11tonio Lettieri A11tonio Nitto Aloisio Rendi Corrado Beguinot Ornella Francisci Osti Carlo Cocchia Nuovo corso del sitzdacalismo nel Sud? [ 6] La funzione del pubblicista [20] Le fonti d'energia e l'avvenire d'Europa [28] ' GIORNALEA PIÙ VOCI Il centrismo [ 37] Laici e cattolici nel movimento studentesco [ 46] Gli ortofrutticoli nel niercato comune [55] Emigranti in Germania [ 59] La «decompressione» di Napoli [64] DOCUMENTIE INCHIESTE La pubblicità sui quotidiani [75] L'edilizia scolastica: aspetti urbanistici [92] LETTERE AL DIRETTORE [103] CRONACALIBRARIA A. Acquaronej R. Colapietra, Storia [113] L. Valiani Antonio Palermo Letteratura [123] Una copia L 300 • Estero L. 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7.500 Effettuare i versamenti 8111 C. C. P. n. 3/34552 inteatato a Anioldo Mondadori Editore • Mirano Bibloteca Gino Bianco DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

.. Editoriale Agitata e confusa) ma de1isa di avvenimenti di grande interesse) è stata la cronaca politica italia1ia delle ultime settimane. Abbiamo veduta prossima alla realizzazione) al livello parlamentare, quella apertura a destra, che, non più tardi di un paio di anni or sono, sollevava una sorta di scandalo nazionale quando veniva conclusa al modesto Ìti 1ello di un)amministrazione comunale come quella di Castellam1nare di Stabia. Abbiamo assistito al consumarsi degli ultimi atti della crisi della coalizione quadripartita. Abbiamo sentito, dagli scrutini delle elezioni regio- - nali sarde, levarsi un nuovo richianio a qu~lle che sono le disposizioni di fondo dell'elettorato italiano in genere e meridionale in ispecie. E fra tutto ciò, un non facile scorrere dei più alti ingranaggi delle istituzioni repubblicane; una pro·gressiva degenerazione dei contrasti che torme1itano la vita del partito di maggioranza e i rapporti tra le forze democratiche; l'inane} ma fastidiosa e incomposta agitazione delle destre, p•iù che mai «· nazionali>>con Anfuso e Covelli, più che mai «popolari>>con Achille· Lauro·; la speculazione, prontamente intentata a sinistra) sulle alluvioni padan'.e... E potremmo continuare, se ne valesse la pena e se reggesse l'animo. Preferiamo - malgrado tutto - trarre da quanto è accaduto· ed accade) qualche · insegnamento che appare di non contingente validità. Non è possibile far distin.zioni fra ali e mezz' ali del nazio1ialfascismo ~ ' e del qualunquismo, fra i partiti di Lauro· di Covelli di Anfuso. I voti mo·- narchici non sono meno fascisti di quelli del MSI. Ed è giusto che sia così: no·n c'è nessuna ragione di carattere storico o programmatico· o politico che tale distizione renda valida. Si può quindi approvare e applaudire il comportamento dell'on. Zoli nei confronti dei voti del MSI; ma non si può non deplorare il suo atteggiamento tiei confronti dei voti monarchici della fazione di Covelli, così come da parte nostra si· è deplorato l'atteggiamento [3] Bibloteca·Gino Bianco

rhe frequentemente neali ultimi tempi, veniva assumendo il quadripartito J Ò I nei confronti dei voti monarchici della fazione di Lauro. E non è esatto che - essendo la <<vera»destra rappresentata oggi in Italia dal PLI - il voto contrario dei liberali sarebbe, per qualsiasi governo, più colorante di quello favorevole dei fascisti neri e azzurri. Tesi che fa il paio con l'altra per cui un programma di governo - in quanto più inclinato verso Pastore che verso Malagodi in merito alla « giusta causa», e magari pii't inclinato verso Oliviero Zuccarini che verso Panfilo Gentile in merito alle regioni - potrebbe segnare un tale passo avanti della democrazia italiana da valere l'approvazione coi voti <<infetti» della mezz' ala, se non dell'ala fascista. Qitesti voti non possono essere scoloriti dall'atteggiamento del PLI, nè sono correggibili da questo o quel programma. Nessuna apertura sociale (anche se più sostanziata di quella che sarebbe stata qucilificata dalla << giusta causa » e dalle regioni) potrà mai correggere un'apertura politica verso l'estrema destra. Una pro,spettiva di questo genere comprometterebbe alle radici il faticoso sviluppo che la democrazia italiana - bene o male - ha raggiunto· in questi dieci anni; e non potrebbe essere giustificata che da un irresponsabile affidamento al << tanto peggio, tanto meglio» (che potrebbe essere caro al PCI), o da propositi di copertura delle manovre intese al raggiungimento di maggioranze assolute integralistiche (i quali potrebbero· covare in seno alla DC). Oltre di che, ogtii apertura a destra è, in modo particolare, una chiusura verso il Mezzogiorno e la politica di sviluppo del Mezzogiorno·; e dal Mezzogiorno, più o meno visibilmente, sarebbe pagata. Essa significherebbe, infatti, una distribuzione di favori clientelari contro una distribuzione di voti parlamentari, itna concessione di sottogoverno, o una collaborazione ufficiale in qualche ente locale, contro un voto di fiducia, un'astensione, uno <<squagliamento»; e cioè a dire, nuove occasioni di prosperare, o anche soltanto di resistere, offerte alle vecchie, corrotte e logore dirigenze reazionarie del Sud. D'altra parte, c'è, come abbiamo detto, la realtà della progressiva decomposizione del quadripartito, alla quei/e le dimissioni dell'assessore repttbblicano del Comune di Roma, prima, e il fallimento del tentativo dell' 011. Fanfani, poi, sembrano aver apposto gli ultinii sigilli. Non è cosa che possa rallegrare l'animo una siffatta decomposizione della maggioranza che ha governato l'ltcdia nel primo e più fortunoso decennio della sua recuperata libertà; soprattutto se - come è accaduto - essa si sia verificata alla vigilia [4] BiblotecaGino Bianco

ormai di una consultazione elettorale, che promette di essere non meno importante e decisiva di quelle del '48 e del '53. Ma - dacché interni squilibri ed esterne influenze hanno operato la dissoluzione della vecchia maggio-- ranza legata al nome e alla politica di Alcide De Gasperi - non è stato, forse, un male che i tempi siano stati affrettati e che i partiti·, sui quali incombono precipuamente le responsabilità imposte dalla suprema esige1iza dz una robusta, articoLatae feco1idacontz'nuitàdi vita dernocratica z·n,Italia, siano stati posti chiaramente di fronte al problema di rz·cercaree saggiare le 11uoveformule, i nuovi schieramenti, che possono consentire una tale continuità. Sz' era giunti al punto· in cui era lecito affermare che soltanto u1i sollecito diradamento degli equivoci del quadripartito avrebbe potuto sal vare la sostanza, irrinunciabile, di una politica centrista, alla quale non sempre il quadripartito stesso si tenne fedele o che (almeno) no11sempre perseguì con la necessaria dedizione e fermezza. Nel momento in cui scriviamo è ancora presto· per pro11unciarsisulla piega che le cose sembrano voler assumere. E neanche la singolare ricomparsa dell'on. Zoli ed i fumosi propositi con cui il suo governo sembra prepararsi al « la,vaggio » dei voti monarca-fascisti po~sono costituire, allo stato delle cose, un chiarimento adeguato: sono, al contrario, una prova di più del generale disorientamento. Alle elezioni sarde, infine, che, a due anni da quelle siciliane, sono giunte a confermare alcune tesi sempre sostenute su questa rivista e solo parzialmente ed episodicamente smentite in questo, lasso di tempo, dedichererrio, prossimamente, il commento adeguato e ragio11atoche il fatto richiede. Vogliamo soltanto, parlare qui di qualche episodio svoltosi ai margini del fatto· elettorale, e precisamente dell'atteggiamento tenuto, al pro-- posito, dalla stampa del PSI. Atteggiamento, invero,idz stupefacente rz·nunl·1.a d ogni serio discorsopolitico, se il calo dei voti del PCI, di cui il PSI ha z1i buona parte beneficiato, è stato definito, i1i prevdenza, come << l?z·ncrescioso i11fortuniooccorso ai compagni comunisti» e commentato con l'aria di clii dica: « badate, l'è andata così, ma non s'è fatto apposta». Non è q11,estala strada sulla quale il PSI si possa avviare a giocare, nella vita poli., tica italiana, quel ruolo al quale continuamente, da alcuni anni a questa parte, dichiara di aspirare. Quel ruolo richiede chiarezza d1:idee, modernità di vedute, preparazione di capi e di gregarii; ma richiede innanzitutto, e soprattutto, il coraggio morale di essere,nella libertà e per la libertà, sempre e soltanto se stessi. 151 BiblotecaGino Bianco

Nuovo corso del sindacalismo nel Sud? di Giuseppe Galasso A breve distanza di tempo l'una dall'altra, le tre maggiori organizzazioni sindacali italiane hanno tenuto a N,apoli ciascuna un proprio convegno meridionale. C'è da chiedersi se la quasi contemporaneità dei tre convegni sia stata dovuta a un mero caso o se, invece, essa non vada piuttosto ascritta ad effetto di particolari condizioni in cui gli sviluppi della vita meridionale hanno posto' negli ultimi tempi il movimento sindacale di queste regioni, e alle quali, pertanto, s'è dovuta necessariamente rivolgere l',attenzione delle direzioni centrali. La risposta non può essere dubbia: i tre convegni vanno obiettivamente rapportati alle <<novità» maturate nel Mezzogiorno, durante l'ultimo quinquennio in particolare, ma già ,dall'i11domani della Liberazione in poi. Il dopoguerra ha visto svolgersi nel M·ezzogiorno un processo sempre meno timido di ammodernamento delle strt1tture tradizionali e di progressivo inserimento di esso nel più ampio circolo della vita italiana ed europea. E' stato un merito indiscutibile della politica democr,atica in questi anni quello di aver compreso la necessità di un proporzionato intervento pubblico per liberare il processo al quale abbiamo accennato dalle remo- . re - entro le quali ·esso avrebbe finito con l'essere strozzato - dell'.arre ... tratezza politica e civile del Mezzogiorno stesso; e di aver quindi operato per cl.area tale intt1izione quella veste concreta che meglio le si conveniva. Fu - è appena necessario ricordarlo - la politica della Cassa, della liberalizzazione degli scambi, della riforma ,agraria, della integrazione europea. I frutti di questa politica sono andati assumendo una consistenza ed una fisionomia sempre più definita; e come da essi sono state sempre più larga- [6] Bibloteca Gino Bianco

mente condizionate la vita economica e la lotta politica, così .non diversamente è acc,aduto per il movimento sindacale. Ma quali erano, dunque, i modi per cui sul sindacato si rifletteva la vicenda del progresso meridionale e della spinta che ad esso imprim·eva la pubblica iniziativa? Fin dagli inizi alcune condizioni di fond·o hanno governato nel Mezzogiorno l'azione sindacale. Esse si possono ridurre, sostanzialmente, alle seguenti: in primo luogo, prevalenza schiacciante d·ell'attività agricola su ogni altra forma di attività economica e, conseguentemente, del proletariato della terra su tutte -le altre categorie di lavoratori; in secondo luogo, uno squilibrio sempre più accentuato tra risorse economiche e popolazione, in ragione di una spinta demografica sempre mal contenuta; in terzo luogo, la depressione civile, che nello stesso tempo esas·perava i problemi locali e isolava la regione, in posizione di grave inferiorità, di fronte al resto del paese, praticamente ,allineato sul ritmo di vita dell'Europa occidentale. Ciò faceva sì che l'azione sindacale n·el Mezzogiorno si trovasse di fronte ad una duplice serie di problemi, di cui solo una parte rientrava nell'ambito di una vera e propria competenza sindacale. Da un lato, infatti, l'eccezionale pletoricità d·el mercato della manodopera forniva agli imprenditori la possibilità di sfuggire con relativa facilità alle stesse condizioni imposte • dai contratti collettivi di lavoro e di operare con maestranze tenute in regime di sottosalario, spesso anch-e fortissimo, e trascurate per tutto ciò che riguardasse prevenzione antinfortunistica e contributi previdenziali. Da questo lato, dunque, i sindacati si trovavano di fronte ad un classico problema di lotta per l'elevazione salariale e p·er la sicurezza fisica e sociale dei lavoratori; problema facilitato per dj più dall'esistenz:a, nel resto del paese, di condizioni di lavoro di gran lunga superiori, che, imponendo il confronto, rappresentavano un facile argomento di lotta e di discussione. Ma, d'altro lato, quello che si poneva ,ai sindacati era un problema ,di natura assai piu politica che sindacale: il problema, cioè, della richiesta di lavoro ,avanzata da vaste e miserabili masse delle città e delle campagne. Soltanto un'azione politica di ampia ·e moderna impostazione, programmata entro i termini di non brevi scadenze, poteva determinare, nelle condizioni gener,ali della società meridionale, l' attivizzazione di fattori che valessero a creare un più razionale e tollerabile equilibrio tra risorse economiche e forze di lavoro. Temi di questo genere erano, peraltro, facilmeJ:?-teavvertiti e fatti propri dalle masse. Per lunghi anni, ·pertanto, i sin- [7] Bibloteca Gino Bianco

. dac,ati svolsero la loro funzione nel Mezzogiorno ispirandosi, appunto~ all'esigenza di radicali mutamenti delle strutture meridionali; e ciò comportò una politicizzazione notevolissima della loro tematica e dei loro stessi metodi di lotta, giungendo al punto di trascurare perfino le possibilità offerte, per la conquist.a di un'occupazione, dalla legislazione vigente e ritenute assolutamente secondarie nel quadro dei vasti compiti prefissatisi. In ultima analisi, ciò comportava ancora una spontanea tendenz,a del sindacato a rifugiarsi sotto le grandi ali dei partiti affini, i quaii con ben altra forza, competenza e naturalezza potevano sostenere una così gran parte delle sue richieste; e ciò landava anche a tutto detrimento della formazione di uno spirito sindacale (di classe e di categoria), di cui il Mezzogiorno soffriv1a già gravemente la carenza e di cui era, ed è, inoppugnabile testimonianza l'alta misura della intercambiabilità fra quadri politici e quadri sindacali. Le vicende meridionali degli ultimi anni - col naturale progresso della regione e con il peso determinante dell'intervento statale - non hanno .alterato, sostanzialm·ente, il quadro di queste condizioni di fondo: prevalenza dell'agricoltura, spinta demografica mal contenuta, inferiorità del Mezzogiorno rispetto al Settentrione del paese. Le hanno·, però, rese ancor più complesse, introducendo in esse il lievito di sollecitazioni nuove, di nuove ragioni di crisi, che sono, senz'alcun dubbio, una tappa obbligata, e quindi positiva, nel processo di liberazione e di ammodernamento deìla società meridionale. Per la parte che più strettam·ente riguarda il sindacato, queste nuove sollecitazioni sono in diretto rapporto con i riflessi che esse hanno prodotto nel campo del lavoro. Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare per una visione superficiale del problema, e proprio in ragione di quanto di positivo si va producendo nella vita del Mezzogiorno, il mercato meridionale del lavoro si va appesantendo sempre piu. Ciò è dovt1to, da un lato, alla crisi ulteriore di alcuni settori tradizionali di attività economica (piccola industria ed artigianato), che battono il passo o, più spesso, regrediscono per il progressivo sempre più ampio inserimento del mercato meridionale nel mercato italiano e per la conseguente impossibilità di tener testa ad operatori piu dinamici, piu moderni e piu potenti; e d'altro lato, alla crescente meccanizzazio11e dell'agricoltura e alla necessità di conversione degli impianti industriali secondo le esigenze del progresso tecnologico, per cui si determinano spostamenti di manodopera che le nuove [8] Bibloteca Gino Bianco

iniziative non bastano ad assorbire e che, per quanto riguarda l'industria, ~-onoparticolarmente gravi, in quanto minacciano di disperdere u11a non 11iccolaparte di quelle maestranze specializzate in cui è pur riposta ogni 11lteriore speranza di avanzamento industriale del Sud e di cui certo il Sud 110n ab,bonda. Contemporaneamente, però, al diminuire dell'occupazione, 11 progresso tecnico 11ellefabbriche e nelle campagne creava ai sindacati nuovi problemi circa gli obiettivi di lotta da perseguire. Ancor più che nel passato, quindi, il sindacato meridionale si trovava sottoposto a sollecitazioni divergenti· E ciò mentre la radicalizzazione della lotta politica e le correlative scissioni sindacali non venivano certo a costituire elementi favorevoli ,al rinvenimento di un giusto equilibrio fra gli opposti impulsi. La situazione sindacale veniva perciò caratterizzata, nel Mezzogiorno, da una sfasatura, s·e.rnprepiù evidente, tra ciò che il sindacato sapev,a e voleva fare e ciò che una società composita e in crisi esigeva che si facesse. C'è stato un momento in cui questa sfasatura - che, del resto, in forme diverse, investiva tutto quanto il movimento sindacale italiano - si è fatta nel Mezzogiorno non ulteriormente tollerabile. Nel corso del 1956, infatti, l'intervento ·pubblico è and.ato progressivamente languendo, particolarmente per quanto rig11arda la riforma agraria; e nello stesso tempo si sono venuti affievolendo nella opinione pubblica, e ancor piu nelle sfere dirigenti, la passione e gli interessi meridionalistici. D'altra parte, nel corso dello stesso anno, cominciavano a dar più maturi frutti gli indirizzi seguìti negli anni precedenti. Il carattere contraddittorio della sitt1azione assumeva toni drammatici anche in riferimento alle annate agrarie, non più buone dopo il 1954. Si ·era, ormai, in presenza di un complesso di fattori, che, come labbiamo detto in principio, non potevano non attirare su di sè l'attenzione delle centrali sindacali. * * * La CGIL è stata certamente, delle tre organizzazioni, quella che più fortemente ·e direttamente ha accusato il contraccolpo dei fattori ,ai quali abbiamo accennato nelle pagine precedenti. Negli anni passati la politica meridionale della Confeder,azione era stata concepita, essenzialmente, come uno degli elementi costitutivi dello [9] Bibloteca Gino Bianco

schieramento frontista nel Mezzogiorno. Di conseguenza, l'attività agitatoria e l'opposizione di principio ,avevano costituito i cardini della sua azione. Realizzazioni come la Cassa per il Mezzogiorno e la riforma agraria avevano ricevuto una accoglienza scettica, qu,ando non proprio ostile. Il massimalismo delle richieste era stato la norma costante e indiscussa in materia di elabor,azione programmatica, non meno che in sede di discussione delle vertenze e dei contratti. I metodi delle occupazioni di terre, delle agitazioni di piazza, degli scioperi a rovescio avevano costituito gli altrettanto ·costanri ed indis.cussi princìpi d'azione. Sarebbe ingiusto disconoscere i risultati positivi che anche un'azione di t,al genere ebbe a conseguire; poichè, a mezzo di essa, vaste masse giunsero ad acquistare assai più che i rudimenti di una coscienza politica ed il problema meridionale si impose con più drammatica urgenza all'attenzione del paese.. Ma era un'azione che aveva in se stessa ragioni fortissime di crisi. Innanzitutto, l'attività del sindacato trovava la sua giustificazione e la sua direzione nelle sfere politiche, di ispirazione (naturalmente) comunista, e quindi fuori di se stessa. In secondo luogo, massimalismo ed opposizione di principio non potevano non subire l'usura del tempo di fronte ad un'azione di pubblico intervento che, pur fra incertezze e contraddizioni assai spesso gravi, giungeva tuttavia a toccare il fondo dei problemi affrontati. Infine, l'isolamento politico in cui dopo il 1947 precipitava il movimento di estrema sinistra coinvolgeva - data la struttura dei rapporti fra quel movimento e il sindacato socialcorpunista - anche la CGIL. La crisi della Confederazione si andava facendo perciò d'anno in anno più grave. Negli ultimi tempi essa era acuita dalla ventata autonomistica che investiva le file del PSI ·e che si rifletteva sui suoi sindacalisti, traducendosi nella richiesta di un esplicito ritorno al gioco delle correnti, all'interno, e di un più realistico ,atteggiamento verso le iniziative di riforma nel Mezzogiorno, alt' esterno. Quest'ultimo punto formava oggetto, peraltro, di esplicite richieste anche da parte di sindacalisti comunisti; e fu perciò che i mutamenti dei posti direttivi nelle organizzazioni meridionali della CGIL furono frequenti fin dal 1955. Il convegno meridionale, tenutosi il 29 e 30 marzo di quest'anno, si trovava pertanto di fronte: I) il problema di un ridimensionamento della politica meridionale della OGIL; II) il problema di una effettiva ricomposizione della unità interna; III) il problema di un adeguato nnnova- [IO] Bibliotecaainobianco

mento dei metodi di lotta. Sul primo punto, l'ammissione che, nel quadro del· movimento meridionale di estrema sinistra, la CGIL debba qualific,arsi sul terreno dell'azione sindacale vera e propria ha voluto significare la rinunzia a quell'estremo limite di politicizzazione del sindacato che era stato attinto nel passato. Di tale qualificazione si sono volute stabilire le basi, prospettando un piano generale di soluzione dei problemi meridionali e legando ad esso le rivendicazioni delle masse rappresen~ate dalla CGIL. Il piano chiede, in dettaglio, l'estensione della riforma agraria medjante un abbassamento ulteriore del limite di proprietà terriera; la trasformazione dell'attuale struttura degli Enti di riforma; la democr,atizzazione dei consorzi di bonifica idraulica e montana; la rapida applicazione delle leggi per la salvaguardia del suolo nelle zone di montagna; la nazionalizzazione delle fonti di energia; la re,alizzazione di un programma di industrializzazione e di trasformazione fondiaria imperniato sulla iniziativa diretta dello Stato; lo sviluppo coordinato dei settori di interesse fondamentale per l'economia meridionale; la modificazione e il miglioramento degli ordinamenti vigenti per la industrializzazione e lo sviluppo economico del Mezzogiorno; la elaborazione dei piani regionali di sviluppo economico. Giudichi il lettore· se un piano di tal genere possa essere la base di un'azione sindacale responsabile, concreta e determinata. A noi sembra che l'ambiziosa ampiezza delle formule mascheri ,a mala pena la incapacità di ritrovare un ubi consistam di immediata attualità. Sul secondo punto, il fenomeno più appariscente è stato costituito da un fervore conformista, che ha scrupolosamente evitato un'analisi critica dell'azione confederale hel passato. Può darsi che ciò sia stato anche dovuto alla mancanza di u 0 n',approfondita preparazione del convegno, che ebbe a subire non poche traversie di carattere organizzativo; ma l'impressione generale è stata che si sia voluto così dar prova di una comp,attezza che è invece smentita da tutti coloro che sono minimamente ~ddentro alle segrete cose della Confederazione. Sul terzo punto, infine, le novità sono state ancor più scarse. È tornato, e stavolta in forma ancora più pressante, -l'invito all'unità d'azione, rivolto alle altre organizzazioni sindacali agenti nel Mezzogiorno; e questo potrebbe significare l'allineamento definitivo su di una linea di moderazione, alla quale la CGIL già da qualche tempo appare voler orientare la sua azione nel Sud. [11] Biblioteca inobianco

_ .. In sostanza, un convegno, quello della CGIL, povero di spunti origi- . nali, che non può vantare al proprio attivo grandi risultati. Un significato potrebbe, tuttavia, avere la costituzione, in tale occasione decisa, di una Commissione per il Mezzogiorno, della quale è stato recentemente chiamato a capo l'on. Clemente Maglietta; nel senso che la revisione e l'approfondimento dei temi di lotta della Confederazione nel Sud, appena sfiorati nel convegno, potrebbero venir affrontati in tale sede, secondo un'esigenza critica della quale la figura dell'on. Maglietta darebbe affidamento. A noi, tuttavia, non se1nbra di poter passare sotto silenzio il fatto che, ancora una volta, i sindac,alisti socialisti si siano fatti vincere dal richiamo unitario ed abbiano rinunciato ad esercitare quella ista11za critica, della quale ad essi certo non man.cavano gli elementi, come è emerso - a tacer d'altro - dalla serie di articoli su Stato e Si11dacati nel Mezzogiorno apparsi sull'organo ufficiale del PSI in data di poco posteriore a quella del convegno. L',azione meridionale della CISL era stata retta finora da un documento elaborato dal Consiglio Generale della Confederazione nel luglio del 1954, nel quale tuttavia essa aveva ricevuto una formulazione assai vaga ed era rimasta sostanzialmente indefinita. La CISL, peraltro, non aveva mai smesso di occuparsene. Né poteva essere diversamente. Il problema rappresentava, infatti, una latente, ma non perciò meno grave, contraddizione potenziale alla radice stess,a dell'impostazione che la CISL aveva dato alla sua azione. Tale impostazione ripeteva la sua originalità da una visione del sindacato quale proveniva dai p,aesi democratici a più alta civiltà industriale; dove il sindacato affronta esclusivamente, o quasi esclusivamente, i problemi del miglioramento e del mantenimento della posizione dei lavoratori occupati, e solo in via subordinata è interessato al fenomeno dj vaste masse dislocate ai margini del moderno processo produttivo: che è un po' una situazione italiana, ma è, potenziata e disperata, la classic,a situazione meridionale. Come, dunque, conciliare termini così opposti? Come affrontare la concorrenza del sind,acato socialcomunista in una regione dove gli slogans di una elementare lotta di classe avevano una risonanza tanto più am·pia di quelli della contrattazione aziendale e dove il lavorare (comunque e dovunque) è un'esigenza determinante? [12] Bibloteca Gino Bianco I

Erano questi i problemi di azione meridionale che in sede teorica e pratica la CISL si trovava ad affrontare e che nel corso degli anni diventavano più urgenti e complessi. Concretamente una prima soluzione fu of ~ ferta dalla diffusione di fatto delle organizzazioni cisline nel Mezzogiorno, sulla base del risentimento anticomunista, ass,ai vivo in larghi strati di la- • voratori; dell'appoggio ricevuto da ambienti estranei al mondo del lavoro, ma fortemente interessati alla lotta anticomunista, e da organizzazionj come le ACLI, che già godevano di una propria autonomia e che, al momento delle scissioni sindacali, non potevano non appoggi,are la nuova organizzazione nascente. Particolarmente rapidi furono i progressi com.- piuti dalla CISL nelle campagne, dove si creò fra sindacati cislini e « notabili>> un equilibrio di compromesso, durato inalterato fino a qualche tempo addietro. Intanto, la CISL cresceva e si avviava a diventare la brillante rivale della CGIL. L'accettazione dello stato di fatto, dei compromessi e d'elle tutele doveva pesare sempre piu sui dirigenti confederali; mentre gli sviluppi della situazione meridionale imponevlano ormai di uscire fuori dal limbo delle formulazioni provvisorie. Questa - rapidamente delineata - la genesi del convegno napoletano, che fu il primo in ordine di tempo (14-16 dicembre 1956) fra quelli di cui ci stiamo occupando e che, con1e fu detto dall' on. G. Pastore, dovev,a << mettere a punto tutta l'esperienza .sindacale ed organizzativa realizzata fino a quel momento per affrontare i programmi dell'azione futura». Dal punto di vista organizzativo, l'esperienza che fu al centro del convegno napoletano e stato lo sforzo di selezionare elementi direttivi, operai e contadini, in grado di assimilare la tecnica delle moderne associazioni di massa e di metterla in pratica (dopo adeguata preparazione nella scuola sindacale della Confederazione in Firenze) nel proprio ambiente. In tal modo si son voluti dare al movimento sindacale i suoi « capi naturali», secondo un concetto della funzione direttiva che è certamente degno di seria considerazione. Fra i « capi naturali » la Confederazione ha incluso ,anche quegli intellettuali i quali abbiano dimostrato una effettiva vo1ontà di dedicarsi, professionalmente, alla guid,a ed alla rappresentanza dei lavoraratori, democraticamente concepite. La politica di formazione dei << capi naturali» è stata correlativa a tutta u11'azione di studio delle condizioni economiche e sociali delle singole province meridionali, volta ad individuare le zone in cui la pubblica iniziativa aveva determinato più imme-- [13] Bibloteca Gino Bianco

diati riflessi e dato luogo a più originali problemi. Tali zone furono aiutate dal centro in modo p.articolare, attraverso speciali « gruppi di lavoro>> all'uopo costituiti ed inviati di urgenza. A Napoli i risu1tati di tutto questo sforzo sono stati forse gonfiati al di là della loro effettiva consistenza; piu secondo quelle che erano le aspettative, e sono tuttora le inte11zioni cisline, che secondo la realtà. Ma certamente si tratta di risultati che non sono affatto trascurabili e che, per quanto ci risulta, si sono imposti, al di là di certe gratuite ironie, alla stessa CGIL. A noi consta, inoltre, che è stato appunto questo sforzo organizzativo a dar modo alla CISL di procedere ad una notevole revisione dei suoi atteggiamenti in sede locale, se non in tutte, in molte pro,vince meridionali. Ciò in particolar modo nelle camp,agne, dove l'immissione nell'apparato cislino dei giovani usciti dalla scuola di Firenze è stata una con•dizione imprescindibile di successo nel momento in cui la Confederazione si è decisa a rompere il vecchio, provvisorio equilibrio con i <<notabili>> e a passar dalla fase di << diffusione protetta », o di diffusione ad ogni costo, alla fase di diffusione spontanea, o di diffusione obbediente alla reale dinamica della lotta politica e sociale: il che è accaduto proprio nel periodo del convegno ed in evidente connes- . s1one con esso. D·al punto di vista sindacale, la CISL ha compiuto importanti ammissioni sulla vita di un organico accomodamento dei suoi punti di vista alla realtà sociale del nostro paese in genere e del Mezzogiorno in particolare. Pur restando fermi alla concezione del sindacato come organo di difesa e di rivendicazione dei lavoratori occupati, si è tuttavia affern1ata la necessità di tener conto dell'ambiente nel quale si opera e di tradurre questa preoccupazione in un piano di rinnov,amento economico e sociale che interessi tutte le forze del lavoro. Di conseguenza, il convegno napoletano ha mirato a definire la posizione della CISL nei confronti della politica di intervento dello Stato nel Mezzogiorno; e lo ha fatto ispirandosi ad un atteggiamento critico ben diverso dalla posizione di incondizionato appoggio tenuta negli anni decorsi. Gli accenni più critici sono stati riservati, sia nelle relazioni confederali che nel susseguente dibattito, alla riforma agraria ed agli Enti ad essa preposti, ,ai quali si è chiesto un organico collegamento della loro attività con quella della Cassa, una rapida esecuzione delle opere jalle quali essi sono interessati, una piu sincera comprensione ed un più valido aiuto al movimento cooperativistico ·ed una maggiore [14] BiblotecaGino Bianco

libertà ed iniziativa per gli assegnatari. Dato importantissimo, la CIS'L ha ravvis,ato il suo più diretto concorrente nell'azione sindacale fra le masse rurali non tanto nella CGIL, quanto, sostanzialmente, nella Confederazione dei Coltivatori Diretti, presieduta dall' on. Paolo Bonomi. In definitiva, il convegno napoletano della CISL ha rivelato che anche nel Mezzogiorno questa organizzazione rappresenta ormai una efficiente alternativa alla CGIL, e che i frutti della sua azione ·promettono di essere nel prossimo futuro tutt'altro che scarsi. Motivi di incertezza per l'osservatore permangono tuttavia in misura notevole. I problemi dei rapporti fra azione politica ed azione sindac.ale e fra sindacato e pubblici poteri hanno ricevuto formulazioni tutt'altro che perspicue. D'altra parte, due grandi tentazioni sembrano incombere tuttora sulla vita della Confederazione nel Sud: da un lato, quelle di isterilire la propria forza e capacità di studio e di lotta per la soluzione dei singoli problemi nelle prigioni costituite dai dati tecnico-statistici; d'altro lato, quella di sentirsi portatrice e banditrice di superiori esperienze in un ambiente disperatamente povero di ricchezza e di inziativ,a. Anche al sindacato il Mezzogiorno chiede, innanzitutto, una partecjpazione umanamente sofferta ai suoi problemi. * * * Ancor più di quello della CISL, il convegno della UIL, ultimo in ordjne di tempo (26-27 maggio scorsi), è stato libero dal condizionamento degli indirizzi seguiti nel passato. La giovane « terza forza >> del sindacalismo italiano, ha dovuto, infatti, affrontare, piuttosto che il problema di un rinnovamento della propria ,politica meridionale, quello dell'impostazione di un,a tale politica; e quello, ancor più urgente, di una adeguata strutturazione della propria presenza organizzativa nel Mezzogiorno, dove l'Unione si era, finora, solo marginalmente impegnata. Il convegno ha voluto quindi rappresentare il momento in cui l'Unione - dopo di aver raggiunto un ,alto grado di efficienza organizzativa e di prestigio nei grandi centri industriali del Nord e dopo di aver così provveduto, secondo la vivace espressione del Segretario Viglianesi, ad « assicurare le spalle » - passa ad affrontare una più generale battaglia contro tutto quel che di deteriore e di soffocante vi è nelle strutture della società italiana; e perciò, in primo luogo, contro la depressione economica e sociale del Mezzogiorno. [15] BiblotecaGino Bianco

Il che è senz'altro coerente con la concezione del sindacato che fin dagli inizi ha caratterizzato la UIL e che è brevemente riassunta nella << premessa» alla relazione presentata ,al convegno: « La presenza del sindacato nella prospettiva della vita democratica non si esaurisce, evidentemente, nell'esercizio d'una funzione di rappresentanza degli associati sul piano delle vertenze e dei contratti. Nello stato moder110... le organizzazioni democratiche di rappresentanza dei lavoratori sono direttamente impegnate nelle valutazioni e nelle responsabilità collettive, che si determinano e si svolgono rispetto agli indirizzi di politica economica e in vista degli obiettivi ai quali si orientano l'attività economica e la dinamica sociale». La UIL, cioè, al pari della CGIL e contrariamente alla CISL, non ha dovuto, per dar senso alla sua battaglia meridionalistica, superare lo scoglio di una concezione strettamente tecnico-professionale del sindacato; ·e ciò conferma il giudizio (da noi già esp.resso altra volta: cfr. Nord e Sud, n. 8 pgg 42 e sgg.) di una aderenza potenzialmente maggiore della UIL alla ·società italiana ed ai suoi problemi, rispetto all'altro sindacato democratico. Ma - comunque sia di ciò - altri motivi di interesse sono valsi a caratterizzare il convegno dell'Unione. Già la relazione della segreteria al ,convegno stesso poneva l'accento, e in form.a anche originale, su qualcl1e problema meridionale - leggi: emigrazione ed istruzione - trascurato del tutto, o solo incidentalmente trattato, nelle relazioni e nei convegni delle altre due organizzazioni sindacali. E questi problemi hanno ricevuto poi, nel corso del dibattito, un approfondimento notevole ,attraverso alcuni interventi, che ne hanno sottolineata tutta l'urgente gravità. Nè di minor rilievo è stato il fatto •che, dal dibattito stesso, siano emersi alcuni problemi particolari e locali (crisi canapiera, portuali napoletani, ecc.), i quali possono ben valere a testimoniare della concretezza della massima parte degli interventi. Ma ecco quelli che, a nostro parere, sono stati i tratti più originali del convegno. In primo luogo, la spontaneità di un incontro tra forze sindacali ed extrasindacali (politica e cultura), che, per quanto ci risulta, non è un fatto ordinario, m.a è tuttavia condizionante di ogni azione meridionali- .stica del tipo di quelle accennate nei convegni napoletani. La cifra politica <lel convegno della UIL ha trovato la sua espressione nei nomi di Ugo La Malfa e di Matteo M.atteotti, al p,rimo dei quali è stata affidata la presi- [16] Bibloteca Gino Bianco

<lenza del convegno, mentre al secondo (impossibilitato a partecipare per-- sonalmente) sono andati forti e significativi applausi nel momento in cui è stato letto il suo telegramma di adesione. Sono nomi che indic,ano, con la maggior evidenza, un impegno di democrazia politica ·e sociale, ancora in cerca, forse, di una precisa traduzione in termini di <<schieramento», 1na già vivo ed oper.ante nella coscienza di larghi e qualificati settori dj opinione. Che è stata poi la ragion d'essere di quella spontaneità, alla quale abbiamo accennato. In secondo luogo, la insospettata giovinezza dei più fra i quadri dirigenti e periferici dell'Unione. Si tratta di u11aleva di giovani e giovanissimi sindacalisti che nella UIL ha trovato il campo più favorevole alla rottura di certe ormai sclerotizzate rappresentanze e all'affermazione di esigenze più moderne di libertà e di democrazia. Il che - mentre può valere a giustificare una certa fretta di teorizzazione, non sempre sufficientemente e validamente documentata - è, insieme, garanzia di sicuro • avvenire. Nella mozione conclusiva anche il convegno della UIL ha fissato le linee di una politica di sviluppo del Mezzogiorno. Ma, nel far ciò, e a differenza di quanto verificatosi al convegno della CGIL, i sindtacalisti dell'Unione hanno tenuto presente la necessità di legare esplicitamente tali linee alla formulazione degli obiettivi che più propriamente sono alla base ~ della loro attività sindacale; ed, oltre di ciò, hanno dato a tutte le loro impostazio11iun accento riforn1istico, che ne puntualizza la natura gradualistica e ne precisa la portata, di richieste avanzate da un organismo parapolitico qual'è il sindacato. Nell'ultimo punto della mozione, infatti, si dichiara che << la UIL svolgerà assidua opera di sollecitazione per l'attuazione di un programma di sviluppo che risponda ,alle esigenze sopra enunciate, di critica per la carenza e la incongruenza dei relativi provvedimenti, di appoggio per le concrete iniziative seriamente orientate a questi obiettivi, mentre opererà sistematicamente perchè, nel quadro di tale sviluppo, si realizzi, insieme con l'unificazione economica del paese, la uni.ficazio11e delle condizioni materiali e morali dei lavoratori, attraverso una azione sindacale rivolta ai seguenti obiettivi>> (segue l'elencazione dei medesimi). E qui veramente ci sembra di essere al cospetto di una impostazione che può degnamente far sperare in una nuova stagione di riformismo demo- . crat1co. [171 BiblotecaGino Bianco

I convegni napoletani .hanno avuto almeno un lato in comune. Essi hanno dimostr,ato l'esistenza di una problematica del sindacato nel Mezzogiorno, che è assolutamente specifica ed è, insieme, complessamente poliedrica. La misura in cui questa problematica è stata, nel corso dei tre convegni, approfondita non può essere, tuttavia, considerata soddisfacente. La condizione del sindacato meridionale, i rapporti fr,a sindacalismo e politica e i metodi di lotta sindacale nel Mezzogiorno restano fra i temi tuttor.a aperti all'analisi delle organizzazioni interessate, e~sendo stato posto in rilievo, a tale proposito, quasi soltanto il fatto che il problema dell'azio, ne sindacale nel Sud si po11e, in buona parte, in riferimento all'intervento statale nella regione. Da questo punto di vista, anzi, occorrerà nel sind,ac,ato una vigile pr·esenza autocritica per impedire che la sua azione stimolatrice del pubblico intervento degeneri in forme più o meno ben mascherate di demagogia. Organizzativamente, i tre convegni hanno confermato la pressocl1è totale assenza nel Mezzogiorno di spontanei movimenti di base. I convegni sono, infatti, nati dall'iniziativa delle rispettive direzioni centrali; il che rientra certamente nelle tradizioni accentrate e autoritarie del sindacalismo italiano, ma denota il persistere di una carenza di spirito µSsocìativo, purtroppo sempre assai alta. I convegni hanno messo, inoltre, in rilievo la gravità del problema derivante dalla necessità di dare al movimento sindacale delle <<guide>>,perfettamente inserite nell'ambiente meridionale. In genere, si può affermare che il problema dei quadri e di una adeguata cultur,a sindacale ·pesa su tutte le tre organizzazioni, per ciascuna delle quali si pone in modo diverso, a seconda dei rispettivi metodi; e che anche per la CISL, la quale sembra essere andata in tale materia più innanzi delle due consorelle, il convegno no11 abbia portato alcur1a sostanziale innovazione alla via già prescelta. Nonostante, però, queste ed altre deficienze, i tre convegni hanno segnato una data importante nella storia del movimento sindacale nel Mezzogiorno. Mentre una crisi, che è insieme finanziaria e morale, travagli1 tutto il sindacalismo italiano, le tre organizz,azioni hanno dimostrato, coi loro convegni, il coraggio e la volontà di affrontare immediatamente i problemi del loro sviluppo nel Mezzogiorno, che diventa così una specie di BiblotecaGino Bianco

banco di prova delle capacità di recupero dei nostri sindacati. 'Assisteremo, perciò, ,certamente, nei prossimi mesi, ad una fase assai vivace della vita del sindacalismo meridionale. Ciascuna delle tre organizzazioni farà sentire, in tale fase, il peso delle sue specifiche risorse: la CGIL, la sua minuta e profonda conoscenza dei singoli problemi, particolari e locali; la CISL, le sue spregiudicate tecniche associative; la UIL, l'entusiasmo dei suoi giovani e l'originalità dell'equilibrio politico-sindac~le che essa si sforza di conferire alla propria azione. Non è facile fare previsioni. Ma sarà, probabilmente, proprio la presenza della UIL a segnare il dato più importante della nuova fase. La presenza della << terza forza » - mentre pone le condizioni per un più equilibrato svolgimento della contesa fra i vari sindacati, offrendo una alternativa a quello comunista, ·che, sotto vari punti di vista, è più funzionale di quella offerta dalla CISL - potrà forse riuscire a colmare il vuoto costituito nel Mezzogiorno d,alla mancanza di basi operaie e contadine impegnate ad agire, in sede sindacale, come gruppo di pressione in appoggio alle direttive della politica democratica. [191 BiblotecaGino Bianco •

La funzione del pubblicista di Elena Craveri Croce Nel marzo scorso il Circolo Repubblicano di Cultura tenev,a il suo primo dibattito sulla più tipica fra le molte questioni di terminologia la cui incerta definizione è fonte continua di •equivoci nel discorso corrente: che cosa intendiamo, oggi, per <<intellettuale »· La parola « intellettuale >> ha infatti tuttora mantenuto, per la cultura laica, una ambivalenza che si giustificava forse in quelle condizioni culturali ch•e si possono considerare superate con l'ultima guerra, ma che oramai non corrispon·de più ad un atteggiamento psicologico attuale. Il significato della parola <<intellettuale » assumeva tutte le sfumature che vanno dal positivo al negativo, non solo a seconda di chi la pronunciasse, ma dell'accento che di volta in volta la sottolineava (caric.andosi, cioè, alternativamente, dell'odi et amo del <<borghese» per i valori culturali, quanto dell'orgoglio e scetticismo dell' «intellettuale» stesso nei confronti della propria fu11zione nella società). Questa appunto è l'ambivalenza della parola, riflesso di quella polemica ·antiborghese a sfondo estetizzante che per un cinquantennio circa è stata la componente del nostro costume culturale; ma che oggi, ripetiamo, non ha più .alcuna giustificazione. Oggi non sussistono più le condizioni per cui ad una borghesia che ha complessi di attrazione e repulsione verso la cultura si contrappone un mondo di torri d'avorio e di chiostri accademici in cui si coltivano, nei confronti della borghesia, gli stessi complessi; la cultura cosiddetta borghese ha ceduto il posto ad una cultura di massa la quale l1a già bell'e compiuto il suo processo egemonico, poiché ha quasi interamente strumentalizzati come tecnici gli intellettuali delle antiche torri d'avorio ecc. Gli stessi intellettua]i che ieri scrivevano poesie ermetiche (la satira di costume lo nota tutti i [20] BiblotecaGino Bianco ..

giorni) fanno a gara ora a cl1i trova lo slogati più piatto per la televisione. E dinnanzi ad una realtà così tangibile ci si domanda perchè - è ciò cl1e il dibattito a cui ci rif eri.amo ha utilmente messo in luce - la cultura laica continui a par lare alternativamente dell'intellettuale come dell'uomo di scienze e di lettere di cui si deve rivendicare la libertà e creativita, o come del chierico che ha tradito perchè si è lasciato strumentalizz.are in u11aattività politica o industriale. Questo significa porre in termini moralistici alquanto astratti quella che è ormai una questione del tutto pratic.a. E cioé: vogliamo riconoscere che sotto l'etichetta di intellettuale la società moderna riconosce una nuova classe professionale? Che con la qualifica di intellettuale non si intende più porre ai tecnici della propaganda politica o della cultura di massa la misura, ad essi estranea, e riserbata a pochi, della individualità creativa, bensì piuttosto richiamarli alla coscienza che per essere strumenti efficienti non debbono essere strumenti passivi, ma garantire la loro dignità professionale col senso individuale della responsabilità morale e politica? I motivi per cui la cultura laica non è sinora giunta a questa chiarificazione di terminologia, che è poi in definitiva sociologica e politica, sono abbastanza evidenti. Il primo fra essi è rappresentato dalle esigenze imposte dalla polemica contro la concezione dell'intellettuale «impegnato~), ossia contro il brillantissimo compromesso di cui il comunismo dell'epoca d'oro staliniana si servì per acclimatare, con la debita grad11.alità,nel mondo occidentale, il sistema di strumentalizzazione della cultura prettamente sovietico: un sistema che alla tir.annìa relativa della meccanizzazione indu-- striale sovrapponeva quella assoluta di una concezione totalitaria. Un sofismo quietistico come quello dell' << intellettuale impegnato>>, che riveste la propria strumentalizzazione di un.a sorta di mistica comunione col reale, cl1e è poi rinunzia ad ogni opera libera e creativa del pensiero, chiedeva necessariamente che si po esse l'accento innanzi tutto sulla rivendicazione della libertà dell'uomo di 5cienze e lettere, contro ogni pretesa di stru- . mentalizz.azione. Dove la cultura laica ha mancato è stato nel momento in cui da questa necessaria rivendicazione di princìpi morali, contro una ideologia che 11ega, nella libertà dell'.arte e del pensiero, la libertà stessa dell'uomo, avrebbe dovuto procedere ad una propria impostazione economico-politica del problema sociologico moderno che i comunisti risolvevano nei loro [21] BiblotecaGino Bianco

\ termini sovietici. Essa avrebbe dovuto, cioè, affrontare in concrèti termini economici e politici il problema dell'organizzazione della cultura di m,assa, e dei pericoli che essa comporta per la libertà, e dei controlli eh' essa richiede, invece di persistere, come ha fatto, in un atteggiamento moralistico che diveniva astratto, e spesso in una alqu.anto improduttiva satira dell'intellettuale strumentalizzato come simbolo di una decadenza della cultura vista •con una buona dose di fatalismo pessimistico, sulle sorti della cultur.a in genere. Questo pessimismo alquanto decadentistico che tinge la cultura laica - e che è d'altronde il prezzo da pagarsi .aquell'epoca di transizione che è la nostra - sono pochi a non averlo sperimentato. Sono pochi quelli che in un morr1ento di imp.azienza non si siano detti che la nostra cultura industriale equivale, ed è forse anche peggiore di quella sovietica; la quale almeno è di un infantilismo disinfettato, mentre da noi impera il più dubbio gusto del sesso, della violenza, del macabro, ecc.; che non abbiano preferito la c,astità di un romanzo premio Stalin alla dolciastra sessualità che si insinua perfino nell'amabile calligrafia del capretto Bambi. Ma era, questo, un ricadere nel vecchio trabocchetto snobistico dell'antico estetismo borghese. L'alternativa non si pone evidentemente tra una cultur,a strumentalizzata più o meno volgare, bensì tra una cultura strumentalizzata, come quella occidentale, che lascia qu,alche spiraglio di libertà, che possiamo sperare di vedersi riconvertire in viva cultura popolare, ed una cultura strumentalizzata, come quella sovietica, che non offre spiragli di sorta. Anche oggi, tra le smorfie idiote del manierismo portato da Disney, e le melensaggini del cinema commerciale, si può vedere affiorare un film di serie che ha un certo fascino fiabesco; e qualche racconto di fantascienza ha potuto suggerire a critici come Sergio Solmi l'idea del rozzo materiale di una nuova epica popolare. Mentre per quel che riguarda i «disgeli» sappiamo che, qualora non si giunga ad una situazione come quella ungherese (di quella polacca e questo riguardo è troppo difficile per ora giudicare), se gli intellettuali, o i tecnici che dir si voglia, non rischiano il carcere o la vita, nessuno oserà, pena il carcere o la vita, rompere il « realismo >> di rigore con quell'elemento sovversivo, profondamente sovversivo in regime di utopia realizzata, che è una fiaba. E queste estreme punte paradossali a cui è giunto talvolta il nostro pessimismo nei confronti della strumentalizzazione della cultura non var-- f22] Bibloteca Gino Bianco

rebbero nemmeno la pena di essere ricordate se esse non fossero l'esempio delle deformazioni a cui ha parlato - ed è questo il punto fond,amentale - quello che da parte della cultura laica, come acutamente notava di recente Silone nella sua << Agend.a » (<< Apparati di partito e demo•crazia >>, Tempo Preserite, maggio 1957), è in genere un atteggiamento assai irrazionale nei confronti della efficienza e della modernità. La efficienza e la modernità sono infatti per noi divenuti una specie di fato che noi subiamo, ora affascinati, ora depressi, mentre 110n dovrebbero essere considerate altrimenti che come le condizioni pratiche, sottoposte a continua critica, controllo e aggior11amento, in cui si svolge la nostra 1 azione per difendere e rinnovare una società libera e democratica; a partire da quell'aspetto fondamentale di essa che è la vita della cultura. I Deprecare la strumentalizzazione della cultura (il tanto macchinoso discorso sugli intellettuali finisce poi col ridursi in questi termini elementari) significa da un lato ,accettare un grossolano equivoco positivistico, poichè la -cultura non è strumentalizzabile; e tali sono soltanto i mezzi di educazione, informazione, intrattenimento e propaganda, mentre irrid11cibilmente libera è la vita dell'arte e del pensiero. Dall'altro lato significa rifiutarsi, ricadendo in una sorta di vizio snobistico, di prendere atto di una evoluzione che, se non può ancora, allo statu quo, dirsi un progresso, può assumere una tendenza progressiva, se noi, invece di abbandonarci alle deprec.azioni, tentassimo di influire su di essa in maniera positivamente critica. Gli intellettuali strumentalizzati, i cosiddetti tecnici, non sono dei chierici traditori, ma dei professionisti appunto moderni; essi costituiscono oggi un personale reclutato alla meglio (e quindi tutt'altro che selezionato) in parte fra i mestieranti improvvisatisi col sorgere delle industrie del cinema, televisione, ecc. (per non parlare dell'estensione assunta da quella giornalistica), in parte fra i dilettanti -che erano venuti rapidamente ad ingrossare le file dei recinti ipoteticamente esclusivi delle torri d'avorio dell'avanguardia. Questo personale non sostituisce certo molto decorosamente l'antica classe dei professionisti di tipo liberale, i da lungo tempo scomparsi avvocati e medici umanisti che fino alla prima guerra mondiale erano rimasti la riserva maggiore della classe dirigente politica. Fra l'altro, l'eterno malinteso dell'arte per l'arte anche qui ha avuto un influsso notevolissimo, poichè in omaggio ad una pretesa creatività artistica, i più vari tipi di divi foggiati [23] BiblotecaGino Bianco

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