« i\bbia1no antica amicizia con Falcone beneventano, con Alessandro telesìno, con Giovanni diacono, con Saba Malaspina, con notar Giacomo, con Scipione Guerra e con tutti 1 lor successori; leggiamo e studiamo in quelle stanze in cui lessero e studiarono Bartolommeo Capasso e Giusep.pe de Blasiis, e io ho osato sedermi sulla pro• pria poltrona di don Bartolommeo, nella Società storica, n1a non voglio dire, con questo, che abbia assorbiito a posteriori Io spirito di quel grande uomo; siamo fami• Uari di tutti i duchi e i consoli napoletani, e di tutti i vescovi, e di tutti i re e le regine, e delle loro amanti e delle loro favorite, e ne conosciamo le fisionomie, come ti illudiamo di conoscerne anche l'animo; abbiamo partecipato a consigli di Stato e a congiure, abbiamo seguito eserciti in campagna e ci sia·mo a•ppiattati nelle forre con i briga-nti, ci siamo mescolati .al popolo grasso e all'aristocrazia, abbiamo bazzicato le sacrestie, ma pur ascoltato i sermoni di Juan Valdés e di Bernardino Ochino, abbia·mo udito la voce dei •poeti e le dissertazioni degli umanisti ... Quanto a me, perso• nalmente, nonostante il mio bel nome dogale, appartengo a una dinastia di borghesi, uomini di toga e di dottrina, i quali mi sanno dar conto dello esser loro fin dal Sette• cento ... Vorrei un po' vedere la fede di nascita e la genealogia degli improvvisaJti apostoli della 'più grande Napoli'! Il .più napoletano fra essi avrà veduto la luce in un pagliaro dell'agro nolanol ». In obbedienza con questo suggestivo curriculum vitae dell'autore, il tema dominante del libro è dunque sospeso a metà tra storia e aneddotica; è co• stituito, cioè dai « ricordi del,la vecchia Napoli, della vecchia vita napo• letana, degli uomini che vi operarono in bene e in male, delle scene che vi si svolgevano, dei costumi che v'imperavano », dei « profondi pensamenti » e delle « innocue facezie (antico vezzo dei dotti) », scaturiti, nelle diverse epoche, dalla eterna élite partenopea, dal sentore della « perfida e dotta pol .. vere » esalante da volumi scovati nei più decaduti e tortuosi antri cunicoli e ripostigli. E si articola e distende, questo tema, iin un « salire e scendere e vagare nei corridoi, corsie e celle dei monasteri, collegi, ospizi, ritiri e cenacoli », di cui rimane « un'immagine complessiva di oscuri e pulverulenti interni, qua e là balenand.ovi una doratura barocca »; in un rifare, a naso per aria, le « infinite giravolte nelle stradette e nei vicoli della più vecchia Na• poli », fra « archi e trasend.e, chiese e chiostri, tombe e obelischi »; nella ossessione gentile di rincorrere, att~averso una moderna città forrr1icolante èli vita, « l'immagine di un mondo morituro e già morto, ma vivo di una Slla segreta e mite poesia ». E, nel riferirci alla preponderanza poetica di tali motivi su ogni altro, nel libro ,di Doria, già ci sembra di avere suggerito una scelta tra i vari scritti di cui esso consta: nel senso, cioè, di indirizzare la nostra preferenza verso quell~ in cui l'erudito, il bibliofilo, l' essayiste all'antica, il burlesco e nostalgico narratore hanno la meglio sul giornalista, sul trascrittore di impress~oni e bç>zzetti contemporanei, sullo psicologo del « colore locale ». Non nascondiamo a noi stessi quanto sia difficile operare un taglio netto tra le due vocazioni, tanto di frequente esse appaiono compresenti e compenetrate l'una nell'altra; ma c'è una sezione del libro, la prima (che reca come titolo « Del carattere dei napoletani »), la quale con• [67] Bibloteca Gino Bianco
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