quali ogni nuovo libro si studia di offrire un prontuario ed un panegiric<l quanto più possibile minuzioso e cattivante. Dopo il periodo in cui ogni scrittore che, parlando di Napoli, accennasse ai « bassi » o alla miseria era messo al « bando morale » dal!' autorità cittadina, oggi si è venuta a creare una situazione di fittizia unanimità tra il potere amministrativo della città - dispensatore, tra l'altro, di premi letterari - ed i letterati e i giornalisti che si adoperano ad osannare, nello stile con·sueto, le solite, indiscusse, es,ploratissime venustà di natura, ed a presentare come pregi atavici della razza (o come manifestazioni di una sua misteriosa, indefinibile genialità) i molti aspetti per i quali Napoli appare in grave debito col vivere civile. Da un tal retorico assopimento, quanto mai contagioso e deleterio, è riuscito a destare, anche se solo per un attimo, gli amatori e gli studiosi di Napoli un volume di Gino Doria, pubblicato recentemente dall'editore Ricciardi: Il napoletano che camm~na. Nella sua preziosa ed un po' atteggiata pigrizia, Doria ha raccolto sotto questo titolo gran parte degli articoli, dei bozzetti, delle varietà di letteratura ed erudizione - « saggi, o fantasie, o pamphlets », co1ne egli li chiama - di cui si componeva un volumetto ,laterziano edito nel 1930, Del colore locale_; e vi ha aggiunto soltanto, oltre aèl una modica paginetta di presentazione ed all'antico poemetto vernacolo (a canzone d'o Guarracino) dal Doria stesso presentato e annotato, alcuni scritti recenti (tra i quali spiccano, per finezza di prosa e gusto letterario, il racconto « Sogno di un bi1 bliofilo », già comparso, nel 1944, nelila rivista na.poletana Aretusa, e la tra:sognata, commossa cronaca dal titolo « Peccata juventutis rneae »). Sono in maggioranza, lo dice l'autore medesimo, scritti d'occasione « accusanti non so se il beneficio o la dannazione della loro immediatezza giornalistica »; e sono collegati tra loro da un tenue filo ambientale, che ora fa più chiaramente intravedere la sua trama, ora appare adombrato in una divagazione erudita o in un orpello raffinato o in una sorniona ed arcaicizzante Venere di stile, ora teso fino al limite dell'impertinenza, nell'intenzione di una sottile parodia di questo o quell'annoso, unanime amico (ed in tali casi l'esile barba bianca e il portamento da flessuoso hidalgo dell'editore Riccardo Ricciardi sono puntualmente assunti a « materia figurale »), ora aggrovigliato in un sospetto di volterriana, saporosa maldicenza. Ma ciò che si ricava da questo giustapporsi di motivi è l'impressione, che ne deriva al lettore, di stare assistendo ai momenti di svago - e sia pure, perciò, ai momenti « minori » - di una civiltà e di una cultura, che, se sono in apparenza sofisticate ed astratte, in realtà finiscono per rivelarsi ben più attente, « impegnate » e polemiche di quanto possa credersi, ricche di reazioni e di insofferenze sul piano morale non meno che su quello estetico, capaci di dinieghi, di disinganni, di anticonformismi non sempre e [65] Bibloteca Gino Bianco
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