della totale popolazione attiva, contro il 6% in Gran Bretagna, il 14% in Belgio, il 16% in Germania, il 17% in Olanda, il 21 % in Svezia, il 27% in ' Danimarca, il 28% in Fìrancia. Il grande divario che separa l'Italia dai paesi a sc~rsa percentuale di popolazione agriçola sta a dimostrare quindi la giustezza delle considerazioni svolte da autorevoli studiosi sul rapporto che corre tra la misura dedla percentuale di popolazione agricola e il benessere economico nazionale. E se questo è vero, come è vero, è venuto il momento in ,cui i « cittadini » devono guardare al fenomeno dell'esodo rurale non solo dal punto di vista della loro città, ma anche da quello della campagna; non dal punto di vista del proprio Comune, ma da quello del Paese. Poi non è detto che questi siano proprio punti di vista contrapposti. Si pensi alie difficoltà che incontra in Italia quell'impegno di ulteriore meccanizzazione dell'agricoltura che è pur tanto necessario portare avanti, sia ai fini della produttività agricola, sia ai fini dell'espansione del mercato industriale interno: da questa diffi,coltàderiva una sofferenza a1la campagna che si trova costretta a procedere a rilento; ma è un rallentamento che si riflette anche sulla produzione e sul mercato delle fa'bbriche di questa o quella città. E così quando si pensa al regime fondiario italiano, il problema più spinoso non è quello rappresentato dal latifondo padronale che non esiste quasi più: i grandi problemi ereditati dalla campagna dell'Italia contemporanea sono ia polverizzazione fondiaria in certe zone, la concentrazione bracciantile Ìn altre, il latifondo contadino dell'interno di certe province meridionali, la degradazione della montagna e delila collina anche per certe province centro-settentrionali, la sottoccupazione rurale in genere. Sono problemi questi che non si risolvono in campagna, e per lo meno non si 1isolvono solo in campagna; sono problemi che trovano la loro linea di soluzione lungo le vie dell'esodo rurale, appunto; e la destinazione dell'esodo rùrale è la città. Non si parli quindi di fermare l'esodo rurale, e neanche di frenarlo. Nessun dubbio che, ai fini del benessere economico nazionale, bisogna riguadagnare il· ritardo che ci separa dai paesi .progrediti, bisogna abbassare la percentuale di popolazione agricola, facilitare le migrazioni professionali (dalle occupazioni agricole a quelle secondarie e da queste a•quelle terziarie) e quelle regionali (dai campi, dai paesi, dalla montagna, alla pianura; alla città). Queste migrazioni sono un fenomeno di progresso, di liberazione, [9] Bibl teca Gino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==