quecentomila ali' estero; inoltre, gli impianti di nuove industrie nel Sud tendono a disporsi nelle zone con una concentrazione industriale già relativamente alta e produrranno quindi, nonostante il freno della bonifica e della riforma fondiaria, una forte migrazione interna dai centri minori ai maggiori del Mezzogiorno. La fluidità della situazione, che per ora consente solo previsioni di massima, pone agli ur,banisti che operano nel Mezzogiorno problemi non facili: il rischio di interventi inutili (per fare un solo esempio, il pericolo, nient' affatto ipotetico, di costruire borghi che poi per diversi motivi rimangono deserti d'abitanti) è assai grande. Per evitarlo occorre procedere ad una rigorosa valutazione dei fattori economici prima di formulare un qualunque piano urbanistico, comunale o regionale, ed occorre una continua collaborazione tra urbanisti ed economisti. Questa conclusione del Sebregondi tocca un problema di indubbia attualità: a formulare i piani urbanistici sono chiamati degli architetti, che mancano di ogni specifica preparazione economica o sono per questa parte degli autodidatti: accade così che il piano ur,banistico sia concepito spesso come complesso di norme paesistiche o volumetriche e trascuri i dati economici. Però, fatto il piano, l'economia finisce sempre col prendersi prima o poi la sua rivincita e col travolgere norme paesistiche, altimetriche e volumetriche, in modo caotico e con vantaggio soltanto di pochissimi. Questa concezione puramente formalistica del piano urbanistico domina le stesse amministrazioni comunali, che pure sono a più diretto contatto con la vita economica degli aggregati urbani: valga come esempio il recente caso del piano regolatore di Venezia, messo a concorso nel luglio del 1956 con termine fissato in un primo momento all'8 ottobre dello stesso anno e poi, dopo molte proteste, prorogato al 15 gennaio di quest'anno; con tutta la buona volontà e capacità possibili, sei mesi sono pochi per una valutazione conveniente dei prevedibili sviluppi economici di una città di oltre trecentomila abitanti. Le conseguenze negative di questo modo di concepire l'urbanistica nel nostro Paese cominciano a essere chiare a molti: voci invo.- canti una diversa impostazione della formazione professionale degli urbanisti si sono levate anche nel recente congresso nazionale dell'INU e gli scritti di Riccardo Musatti, di Corrado Beguinot e dello stesso Sebregondi apparsi su Nord e Sud riflettono questa esigenza. Proprio alla luce di questo problema acquista significato l'esperienza compiuta da architetti e urbanisti negli enti per la riforma: nei quali essi hanno dovuto e devono lavorare a stretto contatto con economisti e tecnici agrari, coordinando il loro lavoro alla programmazione economica; sicchè in loro è diventata sempre più chiara la co- , scienza del nesso che lega l'urbanistica all'economia. Chi legge le relazioni che seguono in questo volume quella del Sebregondi, e che sono opera di architetti e ingegneri, spesso giovani, degli enti di riforma, si avvede che ia esse la nota dominante è proprio •quella dell'analisi economica dei comprensori pianificati. Problemi di natura economica, in particolare il problema della dislocazione delle fonti di lavoro, sono al centro dello scritto di Spartaco Celani e Mario dell'Amore, un ingegnere e un architetto, che analizzano la trasformazione urbani- [~15] Biblioteca Gino Bianco I
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