Nord e Sud - anno IV - n. 27 - febbraio 1957

secco »; e che l'agitazione socialista poteva essèré svolta, in futuro, anche soltanto dai sindacati. Ma, d'altro canto, non c'era, nell'ambito del partito stesso, una corrente che fosse capace di succedere, con buoni frutti, a quella riformista, e l'animosità della terra degli « ascari » contro l'aristocrazia operaia del Nord era riuscita ad esprimersi soltanto nella farragine dottrinaria di un Labriola. Lo stesso Salvemini, che da anni lottava contro il riformismo, individuato in esso il fatale alleato •del protezionism·o giolittiano, non fu tuttavia mai sfiorato dalla tentazione di andarsi a confondere con i massimalisti o con i cc sindacalisti » di Labriola, con i quali ultimi si poteva pur pensare che avesse in comune le istanze dei proletari cc sudici » (com'egli li chiamava) contro il corporativismo operaio del Nord. Quando, all'indo,mani del Congresso del 1912, la corrente rivoluzionaria, che vi era prevalsa, offerse a Salvemini la direzione dell'Avanti!) come a preµiiarlo per la polemica antiriformista svolta dalle colonne della sua Unità) egli rifiutò recisamente: chiarendo che la sua lotta ai riformisti non andava spiegata col fatto che egli fosse rivoluzionario o simpatizzasse per i rivoluzionari, ma con l'opposta considerazione che, a suo modo di vedere, i riformisti non erano riformisti abbastanza. Nella sua apparente paradossalità, il giudizio di Salvemini offre la chiave per potersi orientare nel confuso panorama ideologico del socialismo prefascista. Con tutte le insufficienze teoriche connesse alla loro interpretazione positivistica del marxismo e con tutti i limiti obiettivi della loro azione, i riformisti restavano i soli che fossero stati capaci di creare in Italia, e sia pur solo nell'Italia dèl Nord e del Centro, un costume democratico nel popolo, che si fossero sforzati di prepararlo allé graduali conquiste che si venivano sollecitando dai governi; i soli che avessero operato, generalmente, in onestà d'intenti. Al di fuori di loro non c'erano posizioni concrete in cui un democratico come Salvemini potesse riconoscersi. E se ne ebbe la prova quando, sul partito socialista e sull'Avanti!) passò la ventata dell'estremismo demagogico di un Mussolini e poi, nel difficile clima del dopoguerr'a, la messianica attesa finalistica del Serrati; il quale, pieno di letizia per il crollo imminente del regime borghese, si affannava a persuadere i militanti socialisti a che subissero pazientemente le provocazioni fasciste, in nome dell' cc immancabile » rivoluzione. Finchè l'auspicato crollo, del regime borghese non trascinò con sè anche le predicazioni e le speranze seminate in alcuni decenni di lotta socialista. Un'interessante ed amara ·storia, quella raccontata dall' Arfè: la storia di una serie di lotte e di conquiste sfociate in una lunga, dolorosa paralisi; e non è, dopo tutto, senza significato che essa si concluda con il ricordo della unità dei socialisti italiani, cementata, nell'esilio, dalla ritrovata coscienza che cc le forze della rivoluzione potranno, rivendicare la loro fur1zione di forze costruttrici e dirigenti di una società nuova, soltanto quando esse ab- [80] Bibloteca Gino Bianco ,.

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