non fu tuttavia offerto dalle scarnificanti fotografie, dalle argute vignette e dalle disarmanti facezie, spesso apilmente mimetizzate, o di significato .ambivalente, e quindi non chiaramente incriminabili. Lo si cercò, invece, con minore intelligenza, in una gustosa corrispondenza di Alberto Savinio da Napoli, dove lo scrittore si era recato per assistere alla celebrazione del centenario della morte di Leopardi. L'articolo parlava della m.alattia e detla morte del poeta in termini che parvero, a chi di ragione, irriverenti (26 ): il numero in cui esso comparve fu l'ultimo di Omnibus. · Di tutte le avventure intellettuali di Leo L•onganesi, Omnibus è stata la più fruttuosa, la meno dispersiva; l'unica, in fondo, non discutibile. L'ironia programmatica del letterato de L'Italiano si ridimensionava di fronte al dato, alla cronaca. La sua lucidità di osservatore e di << piarista >> si esplicava per la prima volt.a - e forse per l'ultima - non a vuoto. Era nata, insomma, nelle p3gine di Oninibus, assieme ad un nuovo interesse per la notizia e l'avvenimento, una maniera di registrarli e di esporli che conteneva e seppelliva in sè l'interpretazione. R.acconto e commento non si sovrapponevano. La sovranità dei fatti, « i fatti che parlano da sè » ( 26 ) L'articolo di Savinio, << Il sorbetto di Leopardi», comparve nel numero (1el 28 gennaio 1939. << Chi non ha pianto sulle miserie fisiche di Giacomo Leopardi? - vi si leggeva - Tanto più profondamente però ferisce la nostra poetica compas-- sione la notizia che parte di quelle miserie era dovuta all'irrefrenabile ingordigia del contino. Leopardi era un grande amatore di gelati, sorbetti, mantecati, spumoni, cassate e cremolati, il che, per sè stesso, è segno alquanto brutto. Il gelato piace alle donne e agli uomini privi di occupazione mentale >>. Secondo Savinio, Leopardi mangiò dunque a Napoli tanti gelati da danneggiare la sua già malferma salute. In conseguenza di questa << irrefrenabile ingordigia», << Leopardi morì, durante un'epidemia di colera, di una leggera colite che i napoletani chiamano 'a cacarella»~ Savinio faceva anche una specie di sceneggiatura delle intime ragioni della letale gourmandise leopardiana: immaginava che il poeta passeggiasse per Toledo << in un tenero pomeriggio <l'estate, sfiorando le donne calde e assieme fresche e soprattutto odorose: lui che le donne non sapeva amare altrimenti che con gli occhi e con la fantasia ... ». Il gelato, sembrava insinuare Savinio, era un insienìe un refrigerio e un surrogato. << Grandi . e solitarie gioie dei timidi! ». Lo sdegno delle alte sfere fasciste per tanta irriverenza si complicarono - come si disse allora a Napoli - per il fatto che il Savinio, nel corso dell'articolo, aveva cri-- ticato aspranìente la chiusura dell'antico e celebre caffè Gambrinus, imposta pochi mesi prima dal prefetto fascista allora in carica. Probabilmente Leopardi non fu che lo schermo dietro il quale trovarono riparo più modeste e meno letterarie vendette. _ [51] Bibloteca Gino Bianco
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