Editoriale La crisi del P.C.I. è un fatto di prima grandezza, quali che ne siano le conseguenze sul piano elettorale, u1i piano che pure conta nella vita politica democratica. Per dodici anni il Partito Comunista Italiano ha fatto una politica sterile, vuota di significato, contraddittoria. Ed oggi sull'onda delle difficoltà del comunismo internazionale si avvia a pagare il prezzo dei suoi errori. Tra il '45 e il '46, quando si sarebbe potuto avviare una seria politica di riforme il P.C.I. fu borghese e tranquillo: Tortliatti voleva acclimatare in Italia la mala pianta dello stalinismo e '!i sarebbe accomodato ad essere monarchico di soppiatto, se fosse stato necessario. Quando poi si diede opera ad un'attività riformatrice, i dirigenti comunisti sentirono di nuovo iniperiosa la loro vocazione massimalista e nel Mezzogiorno sabotarono ogni iniziativa: i voti di milioni di cittadi'ni italiani furono sterilizzati; le aspirazioni ad una più giusta società, una carica politica e sentimentale di rara efficacia, furono frustrate inesorabilmente, cinicam-ente. Durante dieci anni. Queste cose sono state dette e ripetute; e per molto tempo i democratici che le dissero e ripeterono nel Mezzogiorno furono pochi e derisi. Oggi il P.C.I. sembra dover pagare finalmente i suoi errori sciagurati: e ciò è importante. Non per coloro ai qua/,i le cose hanno dato ragione. Non per questi; è importante per il paese. Come reagirà il paese appunto, come reagirà il Mezzogiorno (nel quale più che in altre parti è stato forte l'empito delle passioni sociali) è estremamente difficile dire. Proprio nel momento in cui talune delle cose che avevamo previste si avverano, proprio nel momento in cui molte delle cose che avevamo dette e che ci avevano fatto passare per osservatori astratti ed intellettucdistici si leggono come ovvie nei servizi speciali dei quotidiani di [3] Bibloteca Gino Bianco ..
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