che. A prescindere da questa nostra propen~ion.e « meridionalistica », una particolare menzione ci sembra meritino le fiabe abruzzesi, la cui robusta opulenza romanzesca ci fa pensare alla splendidezza delle ceramiche di Castello: condividiamo appieno, d'altra parte, le simpatie del raccoglitore per le fiabe marchigiane, e felicissima ci è parsa la iric11eazione, « fondata su sparsi indizi soggettivi », delle fiabe liguri, il cui gusto cc fantastico goticizzantè e grottesco » è quello che da tempo conoscevamo come una vena dello scrittore Calvino. Il che non, vuol dire, evidentemente, che tale gusto non lo1 si possa ricon,durre ad una più remota « indole regionale » : anche nei toni di colore, tra il bruno e l'argento e i verdi acquatici sembra di riconoscere un acclimatamento al paesaggio dovuto ad una sensibilità nativa. Ma non vogliamo qui tentare un'analisi di queste fiabe ognuna delle quali (come del resto le note del Calvino, precise e pertinenti, documentano in maniera persuasiva) rappresenta un piccolo problema culturale e letterario risolto con coscienza, senza alcun, ricorso a semplificazioni manieristiche. E ci limiteremo a sottolineare quello che a noi pare il carattere più rilevante di un'opera la cui originalità letteraria non va sottovalutata. Il Calvino è riuscito a mantenere a questi racconti il carattere primitivo e irrazionale, che è loro intrinseco, evitando, ci sembra, ogni forzatura che potesse essere dettata da tentazioni di dare plausibilità psicologica e in genere attutire la primitività di queste storie; ma ha mantenuto la loro intrinseca, e tutta irrazionale coerenza fantastica in virtiì, di un sen~o del ritrno narrativo che ci sembra inquadrarsi pienamente nella 1nassima pavesiana del « raccontare è come ballare »: massima la cui frivolezza è solo apparente. L'esperienza di raccoglitore e,. diciamo pure sbrigativamente, di traduttore di fiabe popolari, del Calvino, si ricollega a quella che è la più valida tradizione culturale e lette~aria in questa materia: ma anche se egli ha tenuto conto delle esperienze offerte sia dal folklorismo che dall'etnologia (ed ha avuto d'altra parte, niolto presenti, quelle di traduzioni d'arte fra cui la pi1ì importante resta il Basile crocia.no), il suo problema era un libro: problema personale e attuale di narratore d'oggi a cui la scoperta approfondita del territorio delle fiabe popolari non poteva non i1isegnare qualc06a di importante proprio nei confronti di quella che è la crisi del romanzo contemporaneo; problema, infine, per noi che non crediamo alle poetiche, di metodo e qi prospettiva moralistica. . Quando Calvino dice, nell'introduzione, ch'egli avrebbe « dato tutto Proust per una. variante deil ciuchino cacazecchini », prende in certo modo l'atteggiamento convenuto del collezioriista, per definizione maniaco, ma in realtà egli ha da dire qualcosa di più, e lo dice infatti: Per due anni ho vissuto in mezzo a boschi e palazzi incantati, col problema di come meglio vedere in viso la bella sconosciuta che si corica ogni notte a fianco del cavaliere, o coll'incertezza se usare il mantello che rende invisibile o la zam- [119] Bibloteca Gino Bianèo
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