Nord e Sud - anno III - n. 25 - dicembre 1956

che il dato degenerativo debba andare colto nell'analisi-storico-politica e non fondato come principio generale. Poichè se si tentasse di fondarlo come tale, si giungerebbe ad una sommaria condanna dei pressure groups per il fatto stesso che esistono e non si scio1gono in un partito politico: e non è detto che questo non sia accaduto già troppo spesso. È probabile che quella certa accentuazione moralistica che si può riscontrare talvolta anche nei migliori lavori sull'argomento derivi tra l'altro anche da una sfasatura metodologica del genere di quella appena denunciata e che vizia l'analisi scientitfìca del fenomeno. Questa questione mi sembra della massima importanza perchè il gruppo di pressione non è soltanto un fatto politico e sociale patologico, ma può essere anche un fatto estremamente positivo, uno strumento utilissimo all'interno del regime democratico e proprio per un migliore funzionamento di esso. E devo confessare da questo punto di vista che non mi riesce di intendere la perplessità e il timore del Mackenzie e del De Marchi, una perples!>ità ed un timore fondati sulla diagnosi appunto del Mackenzie che la società moderna starebbe avviandos,i ad un rovesciamento tra status e « contratto>>, per cui lo status acquisito nell'ambito di un· gruppo organizzato prevarrebbe sulle libertà di contratto. Ora, "lasciando da parte che già -la successiva osservazione clel Mackenzie_ (la pluralità degli status per ogni individuo in una società moclena) basterebbe ad impedire di prospettare questo rovesciamento come un mero ritorno al medievalismo, resta tuttavia che se la preoccupazione principale è quella di un « triOIIlfo del conformismo », non saranno già i pressure groups a costituire il pericolo maggiore. Poichè nel,le società democratiche moderne (e basta ricordarsi di Tocqueville!) dove vige il suffragio universale, il più mortificante conformismo minaccia di venire proprio da quei partiti di massa (almeno nell'esperienza di essi che abbiamo in Italia) le cui proporzioni tendono appunto a svilupparsi a spese della spontaneità dell'adesione e la cui dùciplina tende a trasformarsi in una nuova mistica. In tale contesto i pressure groups appaiono come un correttivo formidabile al conformismo, un'istituzione equilibratrice. Ma a questo pu1 nto i'l discorso rischia di diventare troppo ampio: e conviene perciò chiudere queste considerazioni rinnovando le lodi che merita l'iniziativa di Occidente ed insieme esprimendo il rimpianto che siano stati sempre trascurati quei gruppi di pressione che si direbbero ideologico-politici (quasi in contrapposto ai gruppi di interesse) e che costituirebbero UIIl~ più eloquente illustrazione del principio del pressure group,s, come fattore di equilibrio nella dinamica di una società democratica m~derna. VITTORIO DE CAPRARIIS . [69] BibliotecaGino Bianco

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