Nord e Sud - anno III - n. 25 - dicembre 1956

vetterie con cui le tre ragazze tenute per lunghi mesi in campagna dalla, cattiva amministrazione paterna ingannano l'ozio e rendono piccanti le loro peraltro mediocri personcine, sono presenti in tutto il racconto: siamo davvero assai lontani dal Castello di Fratta, in una zona di costuEuo V ITTORINI: Erica e i suoi fratelli - La Garibaldina, Milano, Bompiani, 1956. Si tratta di due testimonianze del pnmo e dell'ultimo Vittorini, considerando come spartiacque Conversazione in Sicilia: Erica e i suoi fratelli la precedette di poco (è della prima metà del '36, e compare, per vicissitudini belliche, per la prima volta in volume); La Garibaldina è del 1950, ed è anch'essa una novità libraria. Volume, quindi, di notevole interesse, non foss'altro perchè permette, per dir così, di misurare il cammino percorso dall'arte di Vittorini, e perchè rompe un silenzio che durava dal 1949, l'anno del- . le Donne di Messina. Ed il cammino percorso è davvero tanto, anche se, come notava giustamente Geno Pompaloni sull'Espresso, non si possono accettare quelle teorizzazioni che di esso dà lo stesso Vittorini, in una nota finale aggiunta al volume. Non è tanto questione che, oggi, gli _riesca artificioso scrivere che << il tal personaggio - sentì - la tal cosa o che - pensò - la tal còsa » e che egli, sulla scorta degli americani, si sia « abituato a riferire sui sentimenti e i pensieri dei personaggi solo attraverso le loro manifestazioni esterne ». Dichiarazioni che richiamano quelle di un altro narratore, me borghese e provinciak il cui torpido vegetare risale almeno alle goldoniané « Smanie per fa Villeggiatura », e s1 protrarrà placido e tenace tanto che lo troviamo ancora immutato sullo sfondo crepuscolare della villa della Signorina Felicita. E. C. C. tanto più vicrno alla poetica del << sentì » e «pensò», Moravia, quando, sul primo numero di Tempo presente affermava l'impossibilità per uno scrittore che cerchi il suo linguaggio di scrivere, oggi, « La marchesa chiuse la porta». Tutto ciò è « piuttosto conseguenza che causa » (Pampaloni), e rinvia all'unica, e ovvia, spiegazione possibile, alla maggiore maturità del narratore Vittorini, il quale riesce a creare dei personaggi sempre più dotati di una loro autonoma realtà. Ora, questo non accade per buona parte di Erica. Storia semplice, dall'esile tono fra fiabesco e realistico, di una bambina cresciuta fra la fame e le fiabe ç:: che, un giorno, si trova solo davanti il ' volto spettrale della prima. Allora « ricordò la parola eh' era una frustata su una faccia di donna, si fermò su. di essa come accanto a una pietra da sollevare per trovare». E con ancora l'animo pieno di streghe e di gen1 « pigliò fuori un vecchio nastro rosso di velluto, se lo annodò intorno alla testa, tra la nuca e il sommo dei capelli, si mise al davanzale... ». Ma, non ostante l'innegabile validità delle pagine finali, si diceva, è opere da non poter annoverare fra le migliori del Vittorini. E, a parte i tempi affrettatissimi· della prima metà, quel che la vizia alla base è la letterarietà di buona parte dei sentimenti, delle situazioni, dei [117] BibliotecaGino Bianco

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