Nord e Sud - anno III - n. 24 - novembre 1956

una svolta: « Se l'Europa occidentale, compreso il Regno Unito, potesse sviluppare un'area di libero commercio, questa sarebbe senza dubbio una fonte di considerevole potenza, un mercato comune comprendente circa 250 milioni di consumatori. A lungo andare questo mercato potrebqe fornire al nostro Paese tutti i vantaggi di una produzione su vasta scala che, nel mondo moderno, tende ad essere associata a grandi unità economiche, come gli Stati Uniti ed attualmente l'U.R.S.S. Inoltre, se questo gruppo fosse forte e prospero, esso fornirebbe vantaggi al Commonwealth sotto due punti di vista come mercato e come fonte di capitali. Perchè sono le grandi unità che possono accumulare ed esportare capitali ». Le necessità di costituire un grande mercato comune europeo, che possa consentire ai nostri paesi di essere all'altezza dei tempi e di non rimanere indietro nella grande corsa di velocità impegnata da Russia e Stati lJniti per il progresso tecnologico ed economico, era stata finora considerata una tipica manifestazione di dottrinarismo dell'opinione illuminata d'oltremanica: un dottrinarismo, in cui si congiungevano le « idee chiare e distinte » francesi e l'ingenuo ottimismo americano. Oggi il Ca11celliere dello Scacchiere adotta lo stesso linguaggio. Quale che sia l'avvenire del Piano Mac Millan, questa affermazione britannica della superiorita del mercato comune sui mercati nazionali rimane un dato acquisito ed un sicuro elemento positivo nello sviluppo degli sforzi di integrazione. C'è ancora un terzo aspetto positivo da esaminare, derivante immediatamente dal secondo aspetto che abbiamo appena considerato. L'avvicinamento inglese è il ségno più certo che i lavori di Bruxelles hanno una loro validità, che il Rapporto Spaak sul mercato comune dei Sei è stato guidicato dagli inglesi come una tappa importante verso l'integrazione delle economie dei paesi della C.E.C.A., e che la Gran Bretagna, se non si affretterà a trarne subito le conseguenza, rimarrà indietro, battuta dalla maggiore efficienza delle industrie continentali. L'amico Et1genio Scalfari, in un sorprendente articolo su l'Espresso) sul, quale torneremo tra poco, scrive tra l'altro che cc la tradizionale rivalità anglo-tedesca spinge ormai vigorosamente verso l'unione doganale europea; l'accademia sembra essere finita; il letargo burocratico nel quale erano caduti i vari gruppi di lavoro insediati dopo la Conferenza di Messina è rotto ... ». È strano che l'amico Scalfari non si renda conto che, se i lavori di Bruxelles fossero stati « un'accademia » e se i gruppi di lavoro fossero stati « in letargo », difficilmente il Governo britannico si sarebbe deciso a pre11dere una posizione così risoluta; nè d'altra parte ci sembra sostenibile che la Francia sia stata « fino ad ieri alla testa del movimento » e che si faccia indietro ora « allarmata dal pericolo che il mercato comune si faccia sul serio ... », dato che è ben nota la riluttanza francese ad impegnarsi nel mercato comune fin dalla Conferenza di Messina e che invece è vero proprio il l3IJ Bibloteca Gino Bianco

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