lVIa ancora altri problemi sussistono. Calogero, che aveva posto come premessa di tener conto « della esistente realtà della scuola italiana, rappresentata in primo luogo dai suoi insegnanti », e di non chieder loro « o cose che essi non possono dare, o cose che non siano volentieri disposti a dare ,,, se li immagina i frutti della sua riforma entro venti o trent'anni? Abolita la regolamentazione dei programmi, - « finiamola una buona volta con l'imporre programmi ai professori di scuole medie »; e a maggior ragione og11i cursus obbligato nelle università -, soppresso quel mostro che è l'esame di stato nella sua forma attuale, ed introdotto un metodo ideale ed idillico di concorso (del tipo di quello che è in vigore in Inghilterra per la selezione dei Diplomatici: una settimana di permanenza in una villa suburbana), la già lentissima macchina della burocrazia italiana resterebbe del tutto immota. Avremmo professori di kantismo incapaci o inadatti (ogni candidato avrebbe il diritto di essere esaminato da un esperto) ad esaminare su Cartesio, o professori di dantismo che ignorano Foscolo, e tutto questo con esami e concorsi - giacchè Calogero non pensa di eliminare la struttura 1 « napoleonica » del nostro ordinamento - dalla periodicità e durata secolare. Tuttavia, se la possibilità di simili critiche ha generato molti oppositori, non ci pare che essi abbiano sempre avuto la mano felice. E lasciamo stare quella specie di sogno del Dottor Knock che è la posizione difesa ,, da Cesare Cases, sorta di nemesi del Partito sull'impenitente violatore dei suoi ordini di non discorrere di questi argomenti, ma anche pregevoli scritti come la nota de'l Mulino (una delle ,più acute ~nalisi delle tesi del Calogero) o l'articolo di Franco Gaeta sullo Spettatore Italiano lasciaino insoddisfatti. . Dinanzi ai fantasmi libertari evocati da Calogero, si crede di por riparo evocando spettri autoritari: « quella che va rivendicata non è una maggiore libertà dell'insegnante, ma una sua maggiore subordinazione. Il momento della libertà sussiste nella misura in cui si tratta di accertare di volta in volta i livelli culturali degli scolari, e di concorrere insieme ad essi e al resto del personale insegnante, a determinare i fini da perseguire con il lavoro scolastico ». Non ci sentiamo di sottoS'crivere tale affermazione del Mulino: il momento della libertà consiste nell'interpretazione che l'insegnante propone di quei determinati fatti, di quella determinata, quanto meno rigidamente possibile, « cultura generale », interpretazione da sottoporre a discorso critico collettivo. Ma, infine, ribadire l'importanza e l'insostituibilità della « cultura generale » non significa difendere questa cc cultura generale » dei nostri Licei, oggi. E qui ha ragio,ne il Mulino, quaindo rivendica una cultura generale da élite, ma da élite del nostro tempo. Occorre uscir fuori, d'altronde, dalla fictio che basti aggiornare i nostri programmi perchè essi diventino [68] Bibloteca Gino Bianco
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