all'obbligo costituzionale dell'istruzione fino ai quattordici anni. « Che la scuola elementare italiana possa accogliere nelle sue novantacinquemila aule, delle quali ventisettemila adattate da locali di caser~e e conventi, non soltanto i quattro milioni e duecentomila ragazzi fra i sei e gli undici anni, ma anche il milione e mezzo tra gli undici e i quattordici anni che non trovano posto nelle scuole secondarie inferiori è una pura follia » (Borghi). Ma accanto a tutto questo, si diceva, rimane il problema del perchè l'istruzione secondaria statale sia andata in crisi. Non è soltanto questione di « somari emeriti, respinti da tutte le scuole di Stato, licenziati, abilitati, e dichiarati maturi dopo un anno di permanenza in una scuola legalmente riconosciuta divenuta sede d'esame », nè di « legalizzazioni donate sempre più a piene ~ani », come pensa il Prof. Morghen; o della mancanza di aule. Esiste un problema di fondo che occorre sforzarsi di individuare. E su questa via si è messo Guido Calogero, accentrando la sua analisi appunto sulla istruzione secondaria, anzi, sulla p~rte prevalente di essa, quella classica, e sulla miniera che la alimenta, la facoltà di lettere. Si passa, cioè, dal « processo alla scuola », a un settore molto limitato; ma, a parte l'importanza di esso, crediamo che questa sia l'unica via per concretare compiutamente l'analisi. Anche perchè il problema dell'istruzione classica richiama complementarmente quello di tutta l'istruzione secondaria superiore. E questo è stato detto autorevolmente al Convegno, e da più di una parte. Lamentata in Italia l'assenza di una scuola media superiore « per i ragazzi di intelligenza media », Visalberghi sosteneva, ad esempio, che essa « si potrebbe ottenere sperimentalmente in qualche città, fondendo insieme i trienni iniziali degli istituti tecnici e magistrali ». Si porrebbe cosi un riparo all'errore di costringere un numero enorme di persone a condividere i patimenti di Catullo per Lesbia, o a vibrare d'entusiasmo per i ruderi cretesi o pompeiani - pena il declassamento, l'abbandono cioè della unica chiave che apre tutte le porte, il ginnasio-liceo. Crediamo, per di più, che ciò finisca, alla lunga, per alimentare una sorta di disprezzo verso la « cultura » che, in seguito, nutrono tanti maturati del liceo classico, diventati bancari o costruttori. Inoltre, potrebbe questa scuola, congiuntamente alla eliminazione della richiesta della laurea per tutte quelle attività per cui non è necessaria, secondo la proposta di Piccardi - ovvero dando ad essa un carattere non 1 preferenziale, come nella società americana; « essere bacc~lliere in arti o in scienze non nuoce e può giovare nel mungere la vacca, dice l'esempio di Einaudi -, costituire un notevole alleggerimento per il ginnasio-liceo statale e, nel contempo, una fo,rza di rottura co1 ntro quella sua edizione addom•esticata che è il ginnasio-liceo •privato. Restituire dunque all'istruzione classica quella sua funzione di scuola di élite, che si è venuta, per tanti motivi, sempre più snaturando, sembra essere il voto unanime. [65] Biblote.ca Gino Bianco
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