Occorre affermare energicamente, con Enzo Modica e contro Einaudi, la necessità dell'impostazione « napoleoni·ca » e ,e francese » della scuola italiana, e se sogno ha da essere, che sia il sogno di un ministro italiano della P.I. che possa pronunciare, mittatis mutandis) le parole attribuite dall'aneddoto al suo ·collega francese intervistato da un visitatore: ,e Signore, sono le undici e un quarto. In questo momento in tutte le seconde di tutti i licei francesi si legge PhèdreJ atto V, scena Il, versi 43-68 ». Mi dispiace: ma se, niutatis muta11dis, questo significa che per assicurare ai giovani italiani <<l'ultima garanzia che essi possano avere un patrimonio spirituale comune >>(p. 392) il ministro dell'Istruzione auspicato dal Cases dovrebbe stabilire che alle ore dieci e quarantacinque di un certo giorno dell'anno in ogni prima liceale della nazione si leggesse Dante, ltiferno, canto XXI, v. 139, allora, francamente, preferirei che invece di ripetere all'unisono quel verso si ripetesse senz'altro all'unisono il più spregiudicato verso ivi attribuito al simpatico Malacoda, bonario capitano nella squadra dei diavoli. Dopo tutto, come « patrimonio comune», quel linguaggio è senza dubbio più popolare, più sociale, più universale, più cattolico in Italia che il linguaggio della Divina Commedia; e non sarebbe male che, un certo giorno dell'anno, esso venisse celebrato con si1nultanee esercitazioni di massa in tutte le scuole della nazione, come simbolico avvertimento democratico a tutte le Autorità Infallibili, spiritualistiche o materialistiche o dialettiche che esse si trovassero ad essere. Quanto poi al <<riassunto>>,non ho forse detto anch'io che gli italiani non impareranno mai a parlare in modo chiaro e breve finchè nelle sct10le si pretenderà da loro che diluiscano male in due colonne quello che qualche scrittore l1a già detto bene in due righe, invece di tagliare a meta discorsi parlamentari cancellando in essi tutti gli aggettivi e le ripetizioni inutili? Ma basta con le osservazioni a quel che dice il Cases, altrimenti non mi resta più spazio per la seconda parte dell'articolo. Gli dirò solo, rapidamente, cl1e sono anch'io d'accordo nel deprecare il « talmudismo » di chi in classe dime11tica il testo per il problema e il problema per la storia del problema (p. 391); ma non vedo perchè, se si dovessero proprio « comminare pene severissime » a coloro che si dilettano di citare Wilamowitz, Meinecke e simili (p. 398), impunite dovrebbero invece rimanere le citazioni di De Sanctis, Croce e Gramsci (ivi). Anch,io sono d'accordo che la metodologia latinistica di certe riviste didattiche cattoliche fa- [31] BiblotecaGino Bianco
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