.Avevamo affermato a questo pr.oposito che il frontismo aveva tratto la sua ragion d'essere - prima ancor.a che dal maggior dinamismo della azione comunista - dall'affievolimento delle ideologie socialistiche, già forte alla vigilia del secondo conflitto mondiale; e avevamo aggiunto che, all'indomani di quel conflitto, il socialismo italiano si era trovato pertanto a dover scegliere fra due vie (quella << laburistica >>e quella << sovietica >>), che scaturivano da u'n processo in pari misura, sebbene .oppostamente, revisionistico del socialismo tradizionale. Non pare che sia sostanzialmente in disaccordo con noi su questo punto il più accurato dei nostri precitati recens.ori, Sandro Petriccione, quando scrive che << la primitiva adesione (del P.S.I.) al Fronte del Mezzogiorno aveva oggettivamente rappresentato · il riconoscimento del maggior dinamismo del P.C.I. ». Senonchè, è pr~ prio in queste stesse parole di Petriccione che riemerge quello che fu il tragico errore della po1 litiQ. delle gerarchie del P.S.I. negli anni dell'immediato dopoguerra. Poichè il << riconoscimento >>del maggior dinamismo comunista si tradusse ad opera loro in accettazione indiscriminata della << via sovietica >>,sulla base, più o meno sottintesa, di un giudizio storicopolitico che riportava la società italiana assai più alle realtà del mondo orientale che a quelle del mondo occidentale. Dove per realtà orientale si intende una struttura sociale sottosviluppat,a e preindustriale, caratterizzata, per intrinseca contraddizione, da fondamentale ed esasperata incapa-- cità delle classi dirigenti ad interpretarne fin le più elementari esigenze di articolazione e di sviluppo; e dove per converso si ritrova la validità storica delle ragioni che mossero nel 1947 la scissione social-democratica di Palazzo Barberini. Se, pertanto, derivò poi da ciò un complessiv.o-deterior.amento della presenza socialista nel Paese, la responsabilità non va ascritta sul conto degli « scissionisti>>, quanto a carico della maggioranza del Partito, che venne meno al compito, fondamentale di ogni formazione marxistica, di intendere la realtà delle strutture sociali in cui si trovava ,ad operare. Del che è prova, d'altronde, tutto quanto il corso della vita politica italiana tra il '47 ed il '53, dominata dall'esperienza del riformismo centrista, i cui limiti non derivano da ineliminabili contraddizioni di struttura, bensì da aporie per così dire sezionali, risolvibili (e certo non senza pspri contrasti) in una ulteriore normale evoluzione del sistema politico, mercè l'integrazione in esso di determinate forze e l'esclusione di altre. [9] Bibloteca Gino Bianco
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