Nord e Sud - anno III - n. 19 - giugno 1956

plesso di attività. Va notato, invece, •che allora in Germania la maggiore tra le forze organizzate dello Stato era l'esercito, per la tradizione prussiana e per le contingenze di guerra; e che i socialdemocratici, collaborando con esso, arrivarono però in parte anche a controllarlo, sopratutto per la contingenza internazionale. Mentre invece la loro vera debolezza di governo si rivelò nei confronti della tecnocrazia, banca di stato ed ambientì economici, nell'incapacità di dominare l'inflazione. Esatta è l'analisi di Vermeil quando egli mostra come l'ascesa al potere del nazismo rappresenti, da un punto di vista politico, sopratutto il crollo ignominioso della vecchia classe dirigente imperiale. Se debole si era mostrata la classe dirigente demo- . . . . . ' . crat1ca, 1 reaz1onar1, prima cosi aggressivi contro il nuovo sistema, non seppero avvalersi del potere e si affrettarono a passarlo al degagogo padrone della piazza. Nella illusione dei ceti dirigenti di destra, di poter controllare Hitler andato al potere, entrava inoltre largamente lo spirito feudale, cioè l'altro carattere tradizionale della vita politica tedesca. Non si pensava che un partito di parvenus e di elementi asociali potesse dominare le forze tradizionali dello Stato. La storia della Germania durante il nazismo mostra invece quanto profonda fosse l'incapacità di queste forze ad essere classe politicamente dirigente, per cui fu Hitler che alla fine sfruttò le loro caratteristiche f~udali e luterane, senso del dovere, spirito di sacrificio, impegno nel lavoro e rigida obbedienza. Vermeil parla, sì, delI'Obrigkeitstaat, ma si interessa effettivamente solo d·ello stato organico teorizzato dai romantici. E certo, questo Stato, che vive in pace ed armonia in tutte le sue parti, è una giustificazione dello Stato diviso in ceti, feudale e corporativo. E il fatto più grave della vita tedesca è il persistere di questo spirito di acquiescenza al1' autorità e allo stato. Nel primo quadro che Vermeil dedica alla Repubblica di Weimar, quasi non si cita Stresemann. L'uomo, che ancora adesso è ricordato tra i Tedeschi liberali come lo statista che avrebbe potuto bloccare il nazismo, non viene quasi considerato nella politica interna tedesca, ma viene studiato solo nel quadro dedicato alla « rinascita militare e--diplomatica ». Egli è visto come un restauratore della potenza e perciò della violenza tedesca. Però Vermeil gli dedica alcune pagine vivaci e scorrevoli quando viene ad esporne il pensiero politico. È la miglior dote di questo autore il saper riportare con chiarezza e vivacità il pensiero di pensatori politici; per cui il terzo quadro della serie, dedicato ai problemi culturali, appare il più interessante. Per la Germania dopo il '18 si ha una rielaborazione di quanto esposto nella precedente opera di Vermeil: polemiche antidemocratiche, nazionalismo esasperato e pensatori che cercano una ragion d'essere della classe dirigente, come Rathenau e Thomas Mann. Ancora più notevole è l'analisi di un aspetto della cultura guglielmina, del persistere dell'irrazionalismo nello spirito tedesco. La polemica nietzschiana contro il conformismo nell'insegnamento, l'ottimismo materialistico, il darwinismo imperialista, l'esaurimento generale della cultura, l'aridità delle religioni e il livellamento borghese ha avuto successo sia per la validità degli obiettivi, sia per uno spirito irrazionale, antistatale, che accettò [126] BiblotecaGino Bianco

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