Nord e Sud - anno III - n. 19 - giugno 1956

que, non era certo un raffinato intenditore. Se si leggono di seguito una qualsiasi di queste lettere ed un'altra di un periodo :più tardo, quella da Genova al De Meis (13 sett. 1854, pp. 202-203), ad esempio, in ,cui dà del pedante al Mamiani (<<credeva pedante il marchese Puoti, ma bisogna viaggiare per allargare le idee: il ~uoti a ·petto del mio Elettore è un gran filosofo ») e in cui descrive tutte le visite che ha dovuto fare e le persone che ha dovuto vedere per quel tal posto di direttore del Collegio <<delle Peschiere », per concludere che tutti lo <<stanno orribilmente annoiando con queste coglionerie », sì che gli par mille anni di tornarsene a 'Torino dove pur non lo aspettava gran cosa; se si fa un tal confronto si intende facilmente la differenza. E si intende subito, ad orecchio direi, non solo ·quanto era puotiano il De Sanctis giovane, ma anche quanto importante fu la rivoluzione intellettuale che lo distaccò dal purismo. Ma questo primo manipolo di lettere ci rivelano anche un altro, quasi insospettato, aspetto del De Sanctis, quello dell'uomo pratico, che sa badare alle faccende, che adempie agli incarichi senza dimenticarsene, che segue le vicende dei compaesani che vengono a Napoli per il servizio militare, che partecipa vivamente delle traversie domestiche e segue il fratello Paolino che si fa prete (<<una ordinazione - scrive a lui il padre - che assicura la situazione di un Fratello a voi tanto caro, di un Figlio a me carissimo »), che dà ai suoi saggi consigli (oltrechè danari) col tono risoluto di chi se n'intende e non ha fatto mai altro nella vita che star negli affari (<<in questo mondo ci è bisogno di occhi aperti»; <<pensate per voi; e non v'incaricate degli altri »). Tutte cose che dovevano accrescere la stima che il buon Alessandro aveva per il figlio. In queste lettere si può ben seguire, tra l'altro, il passaggio dalla primitiva gioia per il successo di Francesco (<<Oh Peppe! preghiamo Iddio, che dia lunga vita e buona salute a Ciccillo, e benedica i suoi passi ») alla successiva ammirazione, non scevra di un sentimento di soggezione, nei riguardi di un figlio non solo così intelligente e capace, ma anche così giusto e severo: « voi meritate essere inteso e ubbidito», scriverà sedici anni dopo quell'accenno che si è appena citato. E nelle lettere si rivela anche un De Sanctis completamente sprovincializzato, pel quale la provincia natia si confonde col ricordo sgradevole della rozzezza e dell'ignoranza dei suoi abitatori, orgoglioso anche del suo stato di <<cittadino »: <<che il mio paese creda o non creda il mio viaggio, poco a me monta. Costà le teste sono così meschine, che il viaggio per Roma è tenuto cosa incredibile. Qui è cosa tanto ordinaria ... > (p. 28). Quando la partenza da Cosenza gli sembrerà imminente, saranno Napoli e gli amici che gli verranno in mente, in un'esplosione di gioia: <<rivedrò, rivedrò infine cotesta deliziosa, cotesta incantevole Napoli ... Rivedrò i miei cari, che mai ho amato tanto ». Dovrà trascorrere qualche decennio prima che egli si riconcili in qualche modo col << suo paese». E finalmente vediamo venirci innanzi anche quello che potremmo chiamare <<l'eterno femminino» del De Sanctis: è la lettera a Carolina e Caterina F ernandez, le due giovinette che, come dirà poi nella Giovinezza, Io <<attiravano con un sentimento che non sapevo e non volevo defi- [113] Bibloteca Gino Bianco

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