stica) di A San Ftanciisco e di 'O f unneco verde) e quella arcadica delle poesie d'amore - è tra i giudizi critici avanzati da tempo, dal Tilgher, appunto, al Flora; il quale 11ltimo proprio nei sonetti di A San Francisco indicava « il s01nmo dell'arte veristica » del Di Giacomo. La tendenziosità del critico comunista vuole peraltro essere qui più 5ottile e sfumata di quanto non appaia in altri suoi scritti, laddove (come per esempio nella recensione all'antologia della poesia napoletana del Consiglio, nel numero di febbraio di Cronache 1neridionali) dice chiaro e tondo, co•n tono di biasimo, che porre Di Giacomo al centro della poesia napoletana - come fa il Consiglio - I« signittìca non scostarsi di un millimetro dalla vecchia impostazione critica idealistica e . crociana ». In una sede meno 11fficiale, com'è quella dell'edizione vallecchiana, l'impostazione marxistica sembra, sulle prime, un po' più cauta, se non addirittura timida. Il Ricci fa mostra di condividere, ad esempio•, le parole del Croce nelle quali il filosofo, a proposito del Di Giacomo, dice essere indiffe~ente, sul piano della valutazione estetica, il carattere docu1nentario o meno di un'opera d'arte. Di più: qui il critico ccununista rafforza il suo consenso con una frecciata contro « certi facili teo,1izzatori del neorealismo » (mentre abbiamo avuto più volte occasione cli commentare, su questa rivista, certe teorizzazioni sul neorealismo meridionale, di una facilità addirittura elementare, dovute appunto al Ricci). « Ciò che non ci sentiamo di s.o-ttoscrivere - leggiamo più avanti - è l'ostentata indifferenza del critico [Croce] verso tutto ciò che di sofferto e reale e umano e storico può (e deve secondo noi) ispirare un poeta, senza che tutto questo, naturalmente, rimanga puro documento, cioè estraneo alla poesia » •. Dire che qt1esto bagaglio documentario ,< può e deve ispirare un poeta » non significa perfettamente nulla, è ambiguo. Può) o deve? Nella seconda eventualità, che è la sola che possa essere conseguentemente co,ndivisa da un marxista - e che sembra esserlo dal Rioci - bisogna dire subito, chiaro e tondo, che il Di Giacomo lirico non fu un poeta degn·o del nome. Ed allora come si giustifica l'accordo di fondo col Croce? Per un critico della fede politico-estetica del Ricci far passare la distanza dall'interpretazione crociana come una questione di dettaglio, come un fatto di sensibilità o meno rispetto a certi motivi accessori alla valutazio,ne estetica è per lo meno un po' ·comico. Ma a questo punto le argomentazioni del nostro intellettuale « orga11ico » si ingarbuglia110, filano a vele spiegate verso l'assurdo, nella quarta dimensione del luogo comune. « Nella poesia dei grandi artisti s,i sentono riecheggiare le passioni e le idee che animarono le società in cui vissero, anche se questi contenuti rim~ngono impliciti, più sugge~iti da innnagiini che espressi in concetti logici, precisi, didascalici. Il maggior Di Giaco•mo scrive [51] Bibloteca Gino Bianco
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