fermata la negazione di ogni filosofia della storia, restava appunto da chiedersi se una rivoluzione possa mai non presentarsi come realizzazione dell'assoluto, possa relativizzarsi, accettare dentro di sè una libertà di contestazione. E se è vero che una rivoluzione ripete la sua .forza e il suo stesso modo di essere dal concentrare tutta la negatività in una forma storica esistente, rovesciata la quale il fiume della positività potrà scorrere ordinato, è evidente che tutto ciò che contesta la violenza rivoluzionaria, sia pure dall'interno, è nei fatti controrivoluzionario. Ammettere la libertà di contestazione equivarrebbe a degradare, a interro1npere, e finalmente a lasciar vincere lo slancio rivoluzionario. Ma rifiutarla equivale a scacciare dal seno stesso della rivoluzione ogni contraddizione e, peggio ancora, a pronunciare la condanna a morte della dialettica, a immaginare la storia avvenire come una linea continua e determinata, a sopprimere, se1nplicen1ente, la libertà. A questa logica non si è sottratta neppure la Rivoluzione di Ottobre: mettendo l'accento sempre di più sull'elettrificazione e sempre di meno sui soviets (si ricordi la famosa formula di Lenin) i dirigenti del comunismo russo hanno finito col creare tutta una serie di poteri e di apparati che suddividono la società rivoluzionaria e la trasformano integralmente, · che uccidono ogni fer1nento, che pietrificano la rivoluzione. E allo stesso equivoco, pensa Merleau-Ponty, si assiste in sede ideologica: quella comunista è diventata una dialettica che prende delle precauzioni contro se stessa, che s'installa nell'essere senza più sottoporsi a contestazione, ma anche che non si usa mai più, che si fa l'essere, e trasforma, dunque, il movimento in im1nobilità. Il « pregiudizio favorevole » non è più possibile perchè è negato nella negazione della libertà, che esso suppone per essere veramente se stesso e che il marxismo sopprime: e si pone il problema di sapere se non vi sia più avvenire in un regime che non pretenda di rifare la storia dal profondo ma solo di cambiarla, e se non sia questo il regime che bisogna cercare invece di cacciarsi ciecamente nel circolo della rivoluzione. Si potrebbe osservare che questa non è una scoperta molto originale: la negazione della libertà e della storia è implicata già nel fatto che la rivoluzione comunista si vuole come un regime senza equivoci e senza rischi, come costruzione di una società interamente nuova in cui il proletariato è veramente l'ultima classe nel tempo e suggella storia. Ma il pro.- blema più rilevante qui non è tanto dell'originalità di una posizione, quanto della coscienza che se ne ha, delle argo1nentazioni che la convalidano e delle conclusioni che se ne traggono. Poichè in sostanza Merleau-Ponty alla fine della sua faticosa analisi non fa altro che porre il problema di un'alternativa democratica alla rivoluzione comunista: e questo suppone che da una parte si opponga a quella marxista un'ideologia che salvi l'esigenza della dialettica, dall'altra, e su un piano tutto diverso dal primo, che si contrapponga una ·certa forza politica a quella con1unista. Ora, per quel che riguarda l'ideologia, muovere dal Marx << giovane », per seguire, giù fino a Lenin, il fatale processo di pietrificazione della dialettica, può essere utile dal punto di vista dimostrativo-, come indica- [105] BiblotecaGino Bianco
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