Nord e Sud - anno III - n. 18 - maggio 1956

si dedusse una scoperta militanza comunista: per questa v'era un <<forse» di troppo. E si scopre finalmente come la posizione derivasse da una scelta pregiudiziale, di cui tutto si poteva dire tranne che fosse fondata razionalmente: la scelta che Sartre doveva poi sintetizzare in una frase sola ( « guardare l'uomo e la società nella loro verità, cioè con gli occhi del meno favorito »), contro cui Merleau-Ponty polemizzerà nelle Aventures de la dial.ectique. Pure un filosofo non poteva arrestarsi in tale situazione: l'equivalenza di marxismo e ragion storica avrebbe dovuto portare in buona logica a considerare pacificate ed anzi risolte le contraddizioni dra1nn1atiche di cui pur si riconosceva essere intessuta l'esistenza, avrebbe dovuto portare al fondo a giocare con la storia, mettendo in essa di soppiatto quel sistema che si pretendeva dedotto. In questa sorta di hegelismo deteriore l'esistenzialismo, che si voleva aderente alla realtà, si negava come filosofia del movimento. Ovvero aveva bisogno di ricorrere alla scappatoia di Sartre, di metter via la sostanza filosofica e dialettica del marxismo, di metter via il marxismo come filosofia della storia e fare dell' azione marxista una creazione pura: la politica sarebbe sempre inventata e il presentarla come una conseguenza necessaria del corso storico si configurerebbe come un accorgimento a posteriori. Ora a parte la considerazione che a questo modo si cadrebbe in un relativismo da cui solo l'opzione del guardare la società con gli occhi del meno favorito può fare uscire, v'è da dire che il secolarizzare il marxismo equivarrebbe a privarlo del pregiudizio favorevole, cui avrebbe diritto come filosofia della storia che si accettasse. Era necessario uscire dunque dalle contraddizioni nelle quali si era irretiti ed era urgente farlo non solo per una personale inquietudine, ma ancl1e, e forse soprattutto, in ragione del dovere di chierici che vivono e vogliono parte~ipare del mondo degli uomini. Non certo a caso nella prolusione letta da MerleauPonty al Collège de France, nell'Éloge de la philosophie, balza ad un tratto in primo piano, ed è un incontro imprevist°> la figura di Socrate. Il problema fondamentale dì Socrate fu quello del1 'uomo nella città, ed è lo stesso che occupa ancora oggi quanti sono solleciti (fuori di ogni retorica dell' engagement) della situazione dell'uomo di cultura nella società. Nella vicenda socratica è contenuto il dilemma decisivo: deve il filosofo parlare, e distruggere le facili cer- . tezze, offrendo in cambio il rischio della ricerca? Ovvero egli deve tacere, e tenere in dispregio (co1ne ad alcuni a torto è parso l'ateniese abbia fatto) la società nella quale gli è toccato di vivere? La risposta non può ammettere dubbi. Se si volesse in un tratto solo indicare la diversità di atmosfera tra il primo e il secondo dopoguerra basterebbe dire che negli anni trenta si riteneva che avessero tradito i chierici che s'impegnavano, laddove oggi si pensa esattamente l'opposto. Per paradossale che ciò possa sembrare, sforzandosi di dare una validità teorica alla posizione del <<pregiudizio favorevole » doveva portare inesorabilmente a negarla. Poichè per farlo era necessario riproporsi tutto intero il problema del marxismo come ragion storica universale e riproporselo proprio nella sua dimensione più drammatica: una volta riaf- [104] Bibloteca Gino Bianco

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