Nord e Sud - anno III - n. 14 - gennaio 1956

f ondissime differenze, pereh è per quest:a via si finirebbe in particolari tr~ppo minuti e <<specialistici».Ma non si può far a meno di osservare che tutti i termini del problema appaiono qui estremamente semplificati e impoverjti, e che la problematica del nuovo storico si rivela nella sostanza non molto più adeguata di quella di coloro che nelle pagine del Machiavelli · o di altri scrittori andavano misurando col metro quanti centimetri fossero stati concessi alla libertà e quanti alla forturia, pronti ad accendersi di sacro. (e un po' ridicolo) sdegno quando s'incontravano con colleghi che avrebbero voluto far più lunga la necessità della libertà! E innanzi tutto, che la fortuna presupponga un riferimento ad una realtà di fatto, ad una concreta situazione storica, non è, come il Procacci sembr,a ritenere, concetto tanto peregrino e tanto sconosciuto ai critici, se persino uno studioso, serio i:na tremendamente astratto, come il Patch, mostrava di presupporlo chiaramente nei suoi studi (non ricordati dal Procacci) sulla tradizione della fortuna nella. cultura del mondo antico, di quello medievale, e di quello rinascimentale. Ma il punto importante della questione non sta tanto nel1'individuare questo ovvio riferimento alla realtà storica, ma di precisarne il senso presso i vari scrittori, di vedere quali concrete dimensioni il concetto di fortuna assuma nelle loro pagine, quale forza di comprensione reale esso rechi i~ sè. Se si parte dalla premessa (qui veramente aprioristica ed astratta) che il concetto di fortuna è deformazione ideologica e niente altro che deformazione ideologica, ogni concreta indagine storica diviene immediatamente impossibile: perchè l'unica cosa ch_euna simile impostazione permetta di fare è, appunto, di limitarsi a dire che il concetto di fortuna è una deformazione ideologica della realtà strutturale. Ma con questo si rimane appunto ai margini della storia, senza che si possa mai dare la possibilità di attingerla: e la questione risulta quindi del tutto irrisolta. In realtà, anche solo per dimostr,are che il concetto di fortuna è presso questi scrittori del primo cinquecento un'ideologia parziale e deformante, bisognerebbe darsi la pena di scendere all'interno· delle loro ideo- , • logie, di studiarle con molta attenzione in tutte le loro articolazioni, e non già limitarsi ad una r.apida e del tutto insufficiente caratterizzazione in termini « generali » : bisognerebbe vedere se effettivamente questi scrittori son stati così ingenui come il Procacci li dipinge, o se al contrario nelle pagine di alcuni di essi non si sia affermato un concetto assai più profondo e comprensivo della crisi storica a cui p,artecipano (e qui si vede con quanta [45] Biblioteca Gino Bianco r ,,

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