Nord e Sud - anno III - n. 14 - gennaio 1956

\ ,. ...... niane, vede chiaro che quel che il Nolano descrive (29 ) è esattamente un perdersi della mente finita del cacciatore nell'oggetto infinito della conoscenza, della « venazione », un uscire dal carcere dei perturbati sensi, un farsi morto al volgo per vivere a stretto contatto con la fonte divina delle cose. E come si fa perciò a dire che il mito d'Atteone simboleggia (sia pure in linguaggio neoplatonico) il rilevarsi alla mente dell'infinita natura, della sua sostanziale costanza naturalistica, se è invece proprio la mente dell'uomo a perdersi nell'oggetto infinito, a restarne, come il Bruno. dice chiaramente, compresa, assorbita, unita? La « venazione » della Diana si distingue dalla venazione delle « cose particolari», appunto perchè essa è tale che il suo << fine ultimo e finale >> « è di venire allo acquisto di quella fugace e selvaggia preda, per cui il predator dovegna preda, il cacciator doventi caccia >>: ed essa è esplicitamente definita << divina e universale ». Scrive il Bruno nella sua pagina forse stilisticamente più alta: « Cossì gli c,ani,pensieri di cose divine, vòrano questo Atteone, facendolo morto .al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de' perturbati sensi, libero dal carnal carcere della rp.ateria; onde non più vegga come per forami e per f enestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizzonte>> (30 ). E non si vede veramente in che modo si possa negare che la « venazione » della Diana nuda abbia per fine il superamento di un limite umano, il distacco dal << carnai carcere della materia » e dai « nodi de' perturbati sensi », il perdersi della mente dell'uomo nel1'unità primigenia del tutto. Il Badaloni risponderà che, tuttavia, questo è pur sempre un perdersi nella natura, e non in Dio, che l'universo del Bruno non è quello del cristiano, ma quello del materialista democriteo ed avverroista: che il perdersi della mente implica il superamento delle passioni particolari e del timor della morte nella contemplazione dell'eterna costanza delle cose, ed ha quindi un senso piuttosto epicureo e lucreziano, che cristiano. Che è un'osservazione non priva di verità (anche se, a dire il vero, non altrettanto nuova): ma nessuno ci toglierà dalla mente che questa è metafisica bella e buona, trascrizione in termini naturalistici e anticristiani di una schietta e profonda aspirazione religiosa, ~ che, come ( 29 ) G~ BRuNo, De gli eroici furori, in Opere italiane, II, Dialoghi morali, ed. Gentile, Bari, 1927, pp. 471 sgg·. I ( 30 ) G. BRuNo, Eroici furori, cit, p. 473. [38] Biblioteca Gino Bianco

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