mente poetico, vi sono, infatti, dei filoni collaterali, delle incrinature, che, se pur non nocciono all'insieme, non vanno tuttavia trascurate: proprio qui, in queste <<parentesi», fa le sue prime prove quell'Alvaro s.aggista che sarà poi così agevole catalogare. E che a noi interess,a qui individuare per mostrare come questo secondo Alvaro in realtà non sia mai stato scisso dal primo, ma sempre vi sia stata una compresenza dei due, salvo che i termini del rapporto son progressivamente mutati. Lo scrittore, che aveva cantato la classicità dei pastori dell'Aspromonte, intimamente già ne scorgeva, ragionando come uomÒ moderno, la necessaria fine: « Come al contatto dell'aria le antiche mummie si polverizzano, si polverizzerà così questa vita. È una civiltà che scompare, e su di essa non c'è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior num~ro di memorie» (15). Erano osservazioni che, se testimoniavano della passione civile dello scrittore, in realtà creavano delle zone d'ombra che valevano solo a turbare un'aura fiabesca che si era sino allora addensata con una spirale poetica felicissima. Alvaro non aveva ancora poeticamente conciliato le sue due nature, e talvolta qualche tentativo di fonderle tra loro - quella istintiva, regionale, e quella colta, razionale, educata alla civiltà - dava luogo a certe note di riflessione quasi dolorosa, che erano proprie del narratore che giudicava - quasi dall'esterno - l' oggetto della propria creazione. Prova questa che Alvaro non era ancora maturo per la fusionè dei due momenti, cioè più semplicemente, non era ancora maturo per uscire dai limiti della narrativa regionale. Ed infatti Vent'anni, ossia l'esperienza della prima guerra mondiale, che è vicinissimo come data a Gente in Aspromonte> fu una prova sbagliata. Esso, in sostanza, è un discorso dell'Alvaro uomo di cultura atteggiato in ·termini narriativi e presenta quindi quei caratteri ibridi che sono stati più sopra notati. E questo, nonostante che Alvaro, ripubblicandolo oggi, abbia seguito il consiglio che allora - si era nel 1930 - da più parti gli venne dato, di sfrondarlo, di alleggerirlo (16). Segno che appunto il vizio era nel nucleo e non nei dettagli. È troppo incolto Fabio Luca, perchè Veni anni possa essere considerato l'Esame di coscienza di un letterato, e troppo lontano dalla Gente in Aspromonte per sopperire con l'intensità istintiva alla penetrazione dell'intelli- ( 15) / vi, pag. 13. ( 16 ) Cfr. paricolarmente Umberto Bosco in Leonardo, aprile 1931. [114] Biblioteca Gino Bianco
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