Nord e Sud - anno II - n. 13 - dicembre 1955

dall'avv. Frignani, Direttore Generale dell'Isveimer: « egli non ritiene che le Banche, nel fornire il circolante, debbano avere le garanzie relative sugli · impianti o su altri beni immobili. Il credito di esercizio ha sempre fatto e d~ve fare essenzialmente riferimento all'andamento del ciclo produttivo, alle condizioni di mercato, all'efficienza ed alla capacità dei capi e dei dirigenti industriali, basi assai più solide di qualunque pegno o privilegio ». La questione del credito industriale viene anche trattata, sotto un altro punto di vista, da S. Vaccà, su MONDO ECONOMICO del 29 ottobre, il quale asserisce che << in sintesi ciò che occorre è qualcosa che sia in grado di assolvere una funzione analoga a quella che, a suo tempo, fu svolta nel Nord dalla banca mista, quando le banche assunsero no11 solo l'attività di fido ma anche una quota parte del rischio, mediante partecipazioni azionarie nelle iniziative industriali>>. Per cui il V. esprime la necessità di promuovere la formazione di società finanziarie: proposta che richiama l'esigenza di una adeguata riforma della legislazione in tema di società, al fine di evi tare che le società finanziarie si trasformino, da strumenti prop11lsivi dell'economia di mercato, in strumenti di monopolizzazione dell'economia. Vorremmo comunque osservare che, se la partecipazione indiscriminata ai rischi industriali da parte del nostro sistema bancario condusse ai ben noti risultati, non è questo un buon motivo per ritirare il capo nel guscio definitivamente: è necessario che, sia pure con maggiore cautela e avvedutezza, si accettino i rischi necessari allo sviluppo dell'economia meridionale, come un tempo si accettarono i rischi per lo sviluppo dell'economia settentrionale. Non bisog11a insomma dimenticare che industrializzazione significa rischio di capitali, un rischio che non pl1ò addossarsi soltanto alla industria. Rischiare i capitali, abbiamo detto, il che non significa di certo sprecarli, buttarli dalla finestra, come, purtroppo spesso e allegramente, è consuetudine proprio in certi organismi pubblici. Informa, ad esempio, L'ESPRESSO del 6 novembre, che ìl disavanzo delle Ferrovie dello Stato continua a crescere in modo preoccupante (69 miliardi di deficit nel I 954-55, per l'anno in corso essendo previsto un deficit di 80 miliardi). Afferma assai giustamente il settimanale, che << il risanamento dell'azienda ferroviaria può essere ottenuto soltanto affrontando il problema delle linee di scarso e scarsissimo traffico», dal momento cl1e << delle 240 linee della rete gestite dalle FF. SS. solo 21 sono attive, 219 passive, e, tra queste, 60 per uno sviluppo di 2.816 km. importano spese da 4 a 88 volte superiori ai ricavi». Il risanamento, aggiungiamo noi, dovrà essere perseguito restituendo ad un giusto equilibrio i rapporti tra strada e rotaia, bandendo le velleità di << ferrare '> tutto il paese, costi quel che costi e se ne ricavi quel che se ne ricavi (anche [71] Biblioteca Gino Bianco

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