Nord e Sud - anno II - n. 13 - dicembre 1955

Concentrazione in Sicilia Il fantasioso direttore di un giornale scrisse, nei giorni del convegrta palermitano del C.E.P.E.S. (Comitato Europeo per lo Sviluppo Economico e Sociale), che dalla città nella quale brillò la prima scintilla dell'unità politica italiana sarebbe partita, circa un secolo dopo, la prima scintilla dell'unità economica della nazione. In verità, non mi parve che i trecento e più industriali concentrati a Villa Igea si sentissero altrettanti garibaldini, sebbene non si risparmiassero nel mettere in rilievo la determinante importanza della loro presenza nel processo di evoluzione e di trasformazione del Mezzogiorno. E ciò anche per dare una aureola di idealismo a una iniziativa e a propositi determinati da considerazioni d'ordine economico, e solo economico; o tutt'al più stimolati dalla revisione critica di vecchi orientamenti mentali, dei quali i più recenti punti d'arrivo dell'evoluzione economicosociale del Paese, e non soltanto del nostro Paese, si sono incaricati di mostrare la precarietà. A Palermo si trattava appunto di seppellire il cadavere di quell'orientamento mentale che per decenni ha dominato la classe imprenditoriale del Nord: per il quale, cioè, non sarebbe stato possibile nel Mezzogiorno sviluppo di altre industrie che non fossero quelle agrarie o di << trasformazione di prodotti locali a breve ciclo produttivo ». E ciò per la convinzione, non meno errata, che le industrie più dinamiche << non possono aver il loro luogo economico lontano dalla più ricca clientela e dalle materie prime ». È stata certamente questa convinzione una delle cause determinanti di quella politica del << non intervento» che ha caratterizzato i rapporti tra Stato e Mezzogiorno dall'Unità alla fine della seconda guerra mondiale e che ha creato in Italia due aree a livello economico difforme, fino al punto in cui l'area sviluppata ha determinato, col suo costante discendere al di sotto del reddito medio nazionale, una fase di ristagno nello sviluppo dell'area industrializzata, deludendo così la aspettativa di chi in essa aveva ravvisato un inesauribile mercato di consumo. È superfluo qui ripetere le ragioni del mancato approdo, da parte del Mezzogiorno agricolo, al livello medio del reddito nazionale; e quindi della sua incapacità ad assorbire quanto l'industria settentrionale era in grado di offrirgli: basterà fra tutte ricordare la carenza di adeguati capitali e la loro destinazione a fini edonistici da parte di un ceto di grandi agrari affatto destituito di spirito d'iniziativa e di senso di responsabilità sociale. È invece opportuno ricordare che là dove non arrivò, nel momento storico opportuno, l'intuito della iniziativa privata, arrivò la sensibilità politica del nuovo Stato democratico; il quale, con la Cassa del Mezzogiorno, non si propose solo un intervento d'urto e la creazione della infrastruttura in un ambiente caratterizzato dalla deficiente strumentazione di base e dall'immobilismo economico-sociale; non [45] Biblioteca Gino Bianco

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