bilancio di << ciò che è vecchio» e di << ciò che è nuovo», nella nostra cultura come in quella degli altri. Aggiungeremo anc~e, per eccesso di sincerità che la formula di vecchio e nuovo ci dispiace, perchè la troviamo insoddisfacente a spiegare il reale ritmo di avanzamento di una cultura. Ma dopo tutto quel che conta è il fatto, più che la formula. Non siamo disposti, però, a barattare il vero solo perchè sembra vecchio, contro quel nuovo che ci appaia, dopo averlo ben considerato, falso: e questo ci sembra un dovere elementare degli uomini di cultura. Proprio perchè crediamo all'unità dialettica di teoria e pratica, di pensiero ed azione, ci rifiutiamo di confondere pensiero ed azione, teoria e pratica, di mettere l'accento sull'unità e di di- . menticare la dialettica. Questa sembrerà ai Cesarini e agli Onofri, una posizione invecchiata; ma a noi essa sembra vera, e francamente il dimostrarne la falsità è impresa assai superi ore alle forze dei vari turiferari del marxismo italiano. Sarebbe ora, dunque, per l'igiene delle loro menti e delle loro coscienze, ed anche un pò per un rispetto elementare del prossimo, che i marxisti italiani - di carriera o di complemento che siano - la smettessero di fare i furbi, e cominciassero a chiamare le cose col loro vero nome. E se questo dovesse costringerli ad una maggiore familiarità coi loro sacri testi, da Marx a Lenin, da Engels a Zdanov, con quei testi, cioè, di cui parlano con unzione e che considerano con tal rispettoso timore da non osare neppure prender li in mano per leggerli, con quelle dottrine di cui si può sentire l'eco, ma reco soltanto e lontanissima, nelle loro giaculatorie settimanali o trimestrali; se questo dovesse costringerli a tanto, sarebbe un guadagno per tutti. Per loro, che imparerebbero finalmente nei libri e non nell'ultimo discorso dell'onorevole Tale che cosa è il marxismo: per noi, a cui verrebbe caritatevolmente risparmiato un difficile lavorq di decifrazione e di traduzione in prosa delle scritture di cui si compiacciono. Per i marxisti la cultura è niente più niente meno che quello che era la religione per i teorici della Ragion di Stato: uno instrumentum regrii. Anche quando i teorici della Ragion di Stato erano cattolici, la loro visione tutta politica della religione non mutava; anche quando i marxisti si professano uomini di cultura, la loro visione tutta politica della cultura non muta. Questo non vuol dire che non vi siano tra i marxisti autentici uomini di cultura: il temperamento naturale degli uomini, quando è vigoroso e genuino, spezza tutti gli schematismi e bisogna essere marxisti-leninisti-stalinisti per non accorgersene. Pure, considerata nel suo assieme, la cultura marxista, non è altro che uno strumento posto al servizio di interessi politici, di interessi di partito, di cose insomma che con la cultura hanno assai poco da spartire. Abbiamo visto, sappiamo con quanta disinvoltura i marxisti mutino le parole d'ordine di quella che essi chiamano pomposamente la loro << lotta per il rinnovamento culturale», per adeguarle alle necessità [43] Biblioteca Gino Bianco
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