Nord e Sud - anno II - n. 13 - dicembre 1955

che essi invano chiedevano alia classe iiberale dell'epoca, poco sensibile ai problemi sociali, perchè eccessivamente preoccupata dei suoi interessi di classe e di ceto proprietario. Per parte sua, invece, la Francia aveva già percorso un notevole cammino nel movimento di conversione del mondo cattolico in favore dei ceti diseredati e non abbienti e nel conseguente abbandono delle posizioni di conservatorismo sociale all'insegna della1 formula di << trono ed altare >>: oltralpe, infatti, sin dal 1848 Federico Ozanam aveva insistito sulla opportunità per l'intiera organizzazione ecclesiastica di abbandonare la rotta fino allora seguita e - come era già accaduto una prima volta dopo la morte di Teodorico - di passare dalla parte dei barbari, cioè a dire degli << uomini che hanno fame », del proletariato. Il grande scontro che ebbe, come è noto, fasi oltren1odo dran1matiche, comincia ad attenuarsi e a comporsi dopo i moti del 1898: la società liberale italiana, che sino allora aveva combattuto la sua battaglia su due fronti, contro neri e rossi, contro papato e socialismo, dinanzi allo spiegamento di forze del 1898, ai movimenti convulsi che in quell'anno agitano l'intera penisola da Milano alla Sicilia, ne trae un senso di sgomento e di angoscia, comprende che d'ora in avanti è impossibile proseguire in una lotta condotta contemporaneamente contro due nemici, e preferisce scendere a patti con l'avversario, che si proclamava, dopo tutto, rispettoso dell'ordine e che nei suoi programmi sociali, in luogo della lotta di classe ~ della eversione, sosteneva l'opportunità della collaborazione e della conciliazione. Se, tuttavia, con gli accordi stretti fra conservatori e cattolici-moderati ne] 1904, nel 1909, e poi nel Patto GentHoni del 1913, la vittoria sembra arridere, secondo una visione superficiale, alla frazione dei cattolici-moderati, che avevano sempre predicato la necessità di una con1- · posizione del conflitto con lo Stato risorgimentale, in realtà il compromesso era possibile, perchè, in conseguenza dell'isolamento e della fattiva intransigenza degli << ultra », il mondo cattolico si era davvero irrobustito, costituiva una forza capace di contrastare vigorosamente il passo al socialismo. Il connubio era concluso attraverso notevoli rinunce da parte dei liberali ai grandi principi, cui si erano costantemente informati nella fondazione dello Stato risorgimentale; ma i loro interessi di classe apparivano salvaguardati dall'apporto e dal peso delle masse cattoliche, discese ormai a difesa e tutela dell'ordine costituito. E' questo, del resto, il giudizio di uno scrittore liberale, il De Viti De Marco: << la borghesia ammette tutto, che alla Monarchia subentri la Repubblica, alla Repubblica una Federazione di Stati italiani, a questa il Papa, e al Papa il dominio dei Goti, a condizione che oltre la scorza della riforma di governo non si tocchi il sistema economico, che è e deve restare il contenuto di ogni mutamento politico» (sul Giornale dell'Economista del giugno 1898). 1v1ala vittoria dei cattolici, a guardar ~ene, è pur essa apparente; e per questo riguardo ci sembra che lo Spadolini, nel suo volume, non abbia ulteriorment~ approfondito la questione. I cattolici, cioè, s'impadroniscono dello Stato, sino a conseguire, di successo in successo, il pieno raggiungimento dell'obiettivo nell'aprile del 1948, ed avranno il merito di inserire le loro masse nella vita dello Stato; non - [125] iblioteca Gino Bianco

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